giovedì 30 dicembre 2004

Recensione PER UN PUGNO DI DOLLARI

Recensione per un pugno di dollari




Regia di Sergio Leone con Clint Eastwood, Gian Maria Volontè, Marianne Koch, Bruno Carotenuto

Recensione a cura di paul (voto: 9,5)

Il primo western di Sergio Leone, regista che se non per tutti ha rivoluzionato il western, ha sicuramente rivoluzionato il cinema. Dopo questo film il modo di girare e di concepire la violenza sul grande schermo cambierà completamente. Già dalla sigla (che verrà poi ampiamente "completata" ne "Il Buono, Il Brutto e il Cattivo") si capisce che ci troviamo di fronte a qualcosa di mai visto prima e le inquadrature iniziali lo dimostrano.La fotografia originalissima è di Massimo Dallamano ma Leone ci mette del suo.
Gira in Andalusia con due lire (120 milioni) e incassa uno sproposito in tutto il mondo (oltre 20 miliardi di allora). Tra l'altro a tutt'oggi Leone è l'unico regista non anglofono ad essere penetrato nel mercato americano direttamente dalla porta principale.
Mi spiego meglio: quando esce o usciva un film europeo, questo veniva sempre distribuito su una sorta di mercato parallelo. Vale a dire che, per fare un esempio, se un abitante di New York avesse voluto vedersi un film di Bunuel o Kurosawa allora, come un film di Roberto Benigni o Kusturica oggi, questi film venivano proiettati in cinema diversi da quelli dove venivano proiettati i film statunitensi o britannici.
Da qui il perchè film di grande successo come "La dolce vita" ad esempio, hanno in realtà incassato in America più sulla carta che nei dati di fatto. "L'ultimo imperatore" di Bertolucci, il più grande successo europeo negli States prima de "la vita è bella", non arrivò ai 20milioni di dollari di incasso. La vita è bella ne ha incassati 70, ma fa eccezione.
Leone invece è sempre riuscito a farsi distribuire sul normale circuito, in pratica i suoi film erano normali film americani che uscivano nelle sale in cui poteva a fianco venire proiettato un blockbuster del momento.
Per la verità fino al 1966 (l'anno de "Il Buono, Il Brutto e il Cattivo") i film di Leone non erano ancora stati distribuiti: lo saranno appunto nel '66, quando verrà lanciata sul mercato americano, a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, l'intera trilogia del dollaro, ottenendo il successo di pubblico che tutti sanno.

Incredibile e indovinatissima la scelta di Clint Eastwood come protagonista, il quale tutt'oggi deve tutto al regista italiano (anche se ci volle molto a convincere Leone sul ruolo dell'uomo senza nome assegnato all'allora sconosciuto Clint. Leone infatti avrebbe preferito Charles Bronson, ma questi rifiutò, mentre la successiva scelta cadde su James Coburn, ma il cachet richiesto dal suo agente era troppo oneroso). Eastwood rappresenta l'eroe cinico, che bada più al proprio tornaconto che al bene dell'umanità.
L'attore, monoespressivo, ha trovato in ogni caso in quella sua imperturbabilità del viso,una sorta di nuova concezione dell'eroe. Scorsese disse di essersi ispirato ad Eastwood per disegnare il suo taxista del celeberrimo film interpretato da De Niro. Con questo film Leone entra nel mito e disegna il mito (sono certi i riferimenti a Shakespeare, oltre che all'"Arlecchino servo di due padroni" di Goldoni).

[...]

Leggi la recensione completa del film PER UN PUGNO DI DOLLARI su filmscoop.it

mercoledì 15 dicembre 2004

Recensione UNA STORIA VERA

Recensione una storia vera




Regia di David Lynch con Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Harry Dean Stanton, Everett McGill

Recensione a cura di Blutarski

"La cosa peggiore della vecchiaia è il ricordo di quand'eri giovane". David Lynch racconta, commuove e torna a far riflettere sui temi importanti della vita, in modo dolce e poetico come solo un genio dietro la macchina da presa sa affrontare. La vecchiaia, l'importanza della famiglia, i ricordi e la saggezza, la vita e la morte, il regista abbandona momentaneamente gli incubi, le sue ossessioni e lo studio dei sogni per affrontare temi più forti e allo stesso tempo delicati con una storia incredibilmente straordinaria, basata su un fatto realmente accaduto.

Alvin Straight (Richard Farnsworth) ha settantatré anni, vive a Laurens nell'Iowa con la figlia Rose (Sissy Spacek), una madre ritardata alla quale hanno portato via i figli. Le sue condizioni di salute sono pessime: oltre a non vedere bene - che non gli consente di avere la patente -, convive, infatti, con un principio di enfisema polmonare e un'artrite che lo costringe ad usare ben due bastoni. Presto viene a sapere che il fratello Lyle del Wisconsin è molto malato e si avvicina alla morte. Malgrado non si parlino da tanto tempo a causa di un banale litigio e le proibitive condizioni fisiche non glielo permettano, Alvin decide di mettere da parte l'orgoglio e di intraprendere un viaggio lungo più di 350 miglia attraverso gli stati dell'Iowa e del Wisconsin, con un vecchio tosaerba che traina un piccolo rimorchio - la sua "casa" durante il viaggio -. Tra lande sterminate e paesaggi mozzafiato nel cuore dell'America, ripresi da raffinate inquadrature panoramiche, Alvin trascorre quasi due mesi di viaggio e incontra tanta gente, dispensando autentica saggezza e suscitando infinita tenerezza. Un pellegrinaggio interiore dunque, che si sublima con il ricordo sbiadito e nostalgico di un cielo stellato. La pellicola è una grande metafora del tempo e della sua ineluttabilità sottolineata magistralmente dalle scelte registiche; geniale in tal senso introdurre il gruppo di giovani ciclisti che sfrecciano ad alta velocità accanto al vecchio Alvin, in contrasto con la sua ponderatezza e la sua flemma, resa perfettamente con movimenti dolci dell'inquadratura e dalla splendida interpretazione di Farnsworth. Sembra quasi che questo voglia sottolineare la fretta e la furia di arrivare tipica dei giovani d'oggi, che non si fermano mai, che hanno un'ansia instancabile di crescere, paragonata alla serenità e lentezza di chi conosce il valore del tempo. E il viaggio di Alvin, in una visione più generale, potrebbe essere comparato alla vita stessa, fatta d'incontri e di un gran numero d'esperienze, nella quale forse il punto d'arrivo non è importante quanto il percorso in sé: non conta dove riusciamo ad arrivare, ma il panorama che il viaggio ci riserva.

[...]

Leggi la recensione completa del film UNA STORIA VERA su filmscoop.it

venerdì 10 dicembre 2004

Recensione VOLEVO SOLO DORMIRLE ADDOSSO

Recensione volevo solo dormirle addosso




Regia di Eugenio Cappuccio con Giorgio Pasotti, Cristiana Capotondi, Eleonora Mazzoni, Carlo Freccero

Recensione a cura di peucezia

Secondo film di Eugenio Cappuccio e pellicola da protagonista assoluto dopo i successi cinematografici (Dopo mezzanotte) e televisivi (Distretto di polizia) per Giorgio Pasotti, il film porta lo spettatore nel cuore della Milano post da bere dei giorni nostri.
Il protagonista del film è Marco Pressi giovane formatore, benvoluto in azienda e di sicuro avvenire che un giorno riceve l'ingrato compito di licenziare i rami secchi.

Infarcito di gergo aziendale (disagio emotivo, ti stimo molto sono delle frasi molto presenti nel modo di esprimersi di Pressi) il film è forse uno dei primi in Italia accanto a Mi piace lavorare ad occuparsi dei problemi del lavoro anche se però con un ritmo da commedia sempre a metà strada tra il comico e il drammatico.
Comico sembra essere il buffo amico del protagonista che si dimette prima di venire a sapere di essere tra i licenziabili dell'azienda, comico è il collega Giorgio Bonghi (Massimo Mollea) meneghino fino al midollo con linguaggio e modi da paninaro in carriera (mi asciughi, è la sua frase standard), comico l'impiegato alle soglie della pensione che rifiuta di andar via prima del tempo. Patetica è l'impiegata condannata da un male incurabile che riceve la proposta di andar via "per dedicare più tempo a se stessa e alla famiglia" e patetico è lo stesso Pressi, giovane rampante che ha tempo solo per il lavoro, parla telefonicamente con la madre per pochi minuti e viene continuamente insultato dalla colf sudamericana per la scarsa cura verso la sua abitazione.
La protagonista femminile del film è la giovane Cristiana Capotondi che, dopo tanti ruoli secondari in fictions televisive e in film natalizi accanto a De Sica e Boldi in cui interpretava il ruolo della ragazzina romana un po' coatta, in questa pellicola sfodera un inaspettato e abbastanza perfetto accento meneghino.
La Capotondi è Laura, quasi fidanzata di Marco, ragazza vivace e un po' inconsistente che spinge Pressi a una vita notturna che lui detesta e che poi lo lascia delusa quando si accorge che lo scopo di lui era soltanto "dormirle addosso" come un bambino con il suo orsetto di pezza preferito.

[...]

Leggi la recensione completa del film VOLEVO SOLO DORMIRLE ADDOSSO su filmscoop.it

martedì 7 dicembre 2004

Recensione IL POSTO DELL'ANIMA

Recensione il posto dell'anima




Regia di Riccardo Milani con Silvio Orlando, Michele Placido, Claudio Santamaria, Paola Cortellesi

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 9,0)

Un film italiano, questo di Milani, uscito un po' in sordina, ma che avrebbe meritato maggiore pubblicità ed una distribuzione più congrua al reale valore dell'opera. "Il posto dell'anima" è un bel film, sostenuto da una solida sceneggiatura e dall'interpretazione magistrale dei tre bravi attori protagonisti: Silvio Orlando, Michele Placido, Claudio Santamaria.

I tre interpretano tre amici operai in una fabbrica di pneumatici della Carair, multinazionale americana. Insieme si oppongono al licenziamento di 500 operai coinvolti nella chiusura dello stabilimento.

[...]

Leggi la recensione completa del film IL POSTO DELL'ANIMA su filmscoop.it

venerdì 3 dicembre 2004

Recensione THE MANCHURIAN CANDIDATE

Recensione the manchurian candidate




Regia di Jonathan Demme con Denzel Washington, Meryl Streep, Liev Schreiber, Jon Voight, Kimberly Elise, Jeffrey Wright, Ted Levine

Recensione a cura di Susanna!

Jonathan Demme torna al grande cinema con il remake dell'omonima pellicola di Frankenheimer del '62 (in Italia con il titolo di "Va' e uccidi") con Frank Sinatra come protagonista. Si tratta di un thriller di buona fattura, senza sbavature malgrado il temibile incontro fra elementi fantascientifici e la cruda realtà della narrazione di una campagna elettorale-tipo americana. La regia si sofferma appena sui ricordi che affiorano dagli incubi dei soldati, senza compiacimenti. Il racconto di quei terribili giorni emerge soprattutto dai volti scavati dei suoi protagonisti, dalle mani che tremano al ricordo, dal dolore e dallo smarrimento di non riuscire a capire cosa sia successo o cosa stia accadendo.

Denzel Washington, icona del cinema impegnato nero, interpreta bene il ruolo del soldato che cerca di capire la verità, salvo qualche piccola sbavatura, qualche smorfia e ammiccamento di troppo per un attore del suo calibro (un po' quello che fa sempre il nostro Stefano Accorsi, inchiodato nelle sue faccette fra il meravigliato e l'ebete).

[...]

Leggi la recensione completa del film THE MANCHURIAN CANDIDATE su filmscoop.it