mercoledì 30 marzo 2005

Recensione IL FANTASMA DEL PALCOSCENICO

Recensione il fantasma del palcoscenico




Regia di Brian De Palma con Paul Williams, William Finley, Jessica Harper

Recensione a cura di Kater

Swan è una leggenda dell'industria discografica. Infallibile scopritore di talenti "é alla ricerca di un nuovo magico sound per inaugurare il suo santuario, la sua disneyland, il PARADISO, il massimo tempio del rock".
Questo sound entra subito in scena ad opera di Winslow Leach, che durante un'audizione esegue una ballata sulla storia del Faust. La musica è perfetta ma Winslow no così Swan, che nel microcosmo del film non è solo un industriale ma un dio onnipotente che governa qualunque luogo, persona o evento, lo deruba della musica e lo fa rinchiudere a Sing Sing.
Ma Winslow evade, folle di rabbia si precipita alla Death Records, la casa discografica di Swan. Nel tentativo di sfuggire ai suoi inseguitori si sfigura -scherzo del destino! - in una pressa per dischi. Da quel momento in poi sarà il fantasma, il mostro-uccello che minaccia il Paradiso, prossimo alla sua innaugurazione.
Wislow rivuole la musica, la sua creazione, l'unico patrimonio che può vantare un artista, ma decide poi di cederla a Swan (insieme alla sua anima) per poterla adattare a Phoenix, una giovane cantante della cui voce Winslow è innamorato, e dare così il via al Paradiso.

La critica al mondo del Rock è evidente: Swan è il padrone di un universo lascivo e corrotto, costituito da uomini senza scrupoli e donne che si vendono per cantare nel coro (quando ci riescono). Il pubblico una massa indistinta che và in estasi per qualunque prodotto-complesso venga lui propinato (non ha caso 3 differenti gruppi musicali sono interpretati dagli stessi attori). La droga scorre a fiumi, come la violenza e la finta allegria. Un inferno insomma, il cui santuario si chiama ironicamente Paradiso, all'interno del quale il kitsch impera creando un'atmosfera da bordello.

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venerdì 25 marzo 2005

Recensione L'ULTIMO BACIO

Recensione l'ultimo bacio




Regia di Gabriele Muccino con Stefano Accorsi, Giovanna Mezzogiorno, Stefania Sandrelli, Marco Cocci, Pierfrancesco Favino, Sabrina Impacciatore, Regina Orioli, Giorgio Pasotti, Daniela Piazza, Claudio Santamaria, Martina Stella, Luigi Diberti, Piero Natoli, Vittorio Amandola

Recensione a cura di GiorgioVillosio

Divertente e accattivante sotto molti aspetti, il film cult di Muccino si presta a giudizi molto differenti, perché di difficile definizione. Impostato come "commedia di costume", per via di certi toni scherzosi e per il ritratto di una gioventù non più così giovane, ma decisamente incerta, potrebbe inquadrarsi nel genere "dramma borghese di serie B" un po' alla Verdone; dove ci sono spunti tematici e di sostanza, ma di tocco molto leggero e manieristico, da "commedia all'italiana", con strizzata d'occhio al portafoglio e al botteghino. Peraltro l'umanità ivi descritta è proprio di questo segno "mercantile", tutta borghesia medio-alta, poco coinvolta dai seri problemi quotidiani dei ceti economici non privilegiati. E di questa vocazione alla leggerezza è certamente intriso l'ambiente dei vari amici trentenni, una compagnia (semi)gaudente, col complesso di Peter Pan: "cosa mai faremo da grandi??".
Ma sarebbe riduttivo sostenere che il film di Muccino sia tutto qui. In realtà, al di là di un certo goliardismo impenitente dei personaggi, ne "L'ultimo bacio" troviamo una serie di riflessioni di notevole peso: genericamente sui destini della coppia al dì d'oggi, e, nello specifico, un paio di ritratti di personaggi di emblematica rappresentatività.

Sul fatto che oggi "la coppia scoppi" nessuno ha più niente da obiettare; e Muccino sa registrare a dovere il come, il quando e il perché. Con uomini che, non più attratti dalle compagne, stentano a capirlo, ma poi lo ammettono; e donne, invece, in grado di capire ben prima quando tutto è finito, ma che si ostinano a fare finta di niente, in preda a profondissime crisi isteriche (e a questo proposito va citata la sorprendente bravura di Giovanna Mezzogiorno nel recitare la parte della donna tradita). Comunque il messaggio (ambiguo) del film sembra essere: l'amore di coppia ha vita breve, ma può valere la pena di arrendercisi, costruendo insieme una vita duratura. La frase detta dal padre della giovane al genero traditore, finisce per convincere quest'ultimo a rientrare nei ranghi, senza rendersi conto di essere stato ingannato; infatti, il suocero gli passava inconsciamente il testimone di una accettazione fatalistica della vita al femminile: della donna che nel suo disegno genetico-evolutivo coopta con prepotenza l'energia maschile del riproduttore scelto, per garantire la sopravvivenza del figlio nascituro; pronta, a cose fatte, a guardare più avanti , verso altri destini (dopo tutti i casini, mentre Stefano Accorsi si spupazza edipicamente la bimba piccola, la giovane madre è già in giro nel parco a fare footing, ammiccando amabilmente al corridore, coloured, di turno).

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giovedì 24 marzo 2005

Recensione CONSTANTINE

Recensione constantine




Regia di Francis Lawrence con Keanu Reeves, Rachel Weisz, Shia LaBeouf, Djimon Hounsou, Max Baker, Pruitt Taylor Vince

Recensione a cura di Demetrio

Inizio con il dire che a me questo genere di film affascina e interessa molto, non certo per effetti speciali o altro ma soprattutto per la trama e i personaggi al suo interno.

Dopo questa piccola premessa passerei alla recensione vera e propria; innanzitutto "Constantine" è un film tratto da un famoso fumetto il cui nome è "Hellblazer", nel fumetto il protagonista, come nel film, è John Constantine ma, a differenza della versione cinematografica, nel fumetto Constantine è sì un agente del soprannaturale ma i caratteri somatici differenziano da quello interpretato su pellicola: il vero detective è di chiara origine anglosassone capello biondo occhi chiari e le sue avventure sono ambientate in Inghilterra. Ma questo non importa, come ha detto il regista di questo film - l'esordiente Francis Lawrence - che ha dichiarato che Constantine è un personaggio che non appartiene ad un luogo specifico. Il misterioso detective Constantine è interpretato da Keanu Reeves che, a dispetto della critica, a me è sembrato calato egregiamente nella parte con quell'aria distaccata da tutto e da tutti che lo rende a volte simpatico e coinvolgente, altre altezzoso e arrogante e, ridotto in fin di vita da un vizio poco salutare quale il fumo, proprio come il Constantine del fumetto. Accanto a John Constantine appare come un fedele scudiero Chas, un ragazzo che, interessato dalle avventure di Constantine, lo segue prestando macchina e aiuto all'annoiato detective.

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martedì 22 marzo 2005

Recensione CHOCOLAT

Recensione chocolat




Regia di Lasse Hallstrom con Juliette Binoche, Johnny Depp, Judi Dench, Alfred Molina, Carrie-Anne Moss, Lena Olin, Peter Stormare

Recensione a cura di GiorgioVillosio

L'uomo è intimamente dilaniato da profonde dicotomie. Ad un tempo buono e cattivo, onesto e furfante, vigliacco e coraggioso è attratto unitamente dal sacro e dal profano, dallo spirito e dalla carne. Ogni scelta "manichea" tra gli estremi opposti, tra il bene e il male, rappresenta comunque una diminutio, per il destino del singolo, che lo fa soffrire di carenze. E anche quando, come nel caso di mistici, profeti od eremiti, la spiritualità dovrebbe fornire le più elevate e sublimi gratificazioni, il patimento della carne, il flagellamento e l'auto punizione diventano causa di inibizioni e di indicibili sofferenze, anche se non riconosciute.
Non tutte le scuole di pensiero, però, inneggiano alla sofferenza come valore in sé, predicando invece un sereno distacco dalle passioni, come nel pensiero stoico ed epicureo, provenienti dal lontano Oriente; o come nel pensiero del Tao e nelle filosofie "laiche" confuciane e buddiste.
C'è poi ancora un'altra impostazione, di taglio più edonistico, che, lungi dal cercare di allontanarci dalle passioni, ci inclinerebbe al godimento dei vari piaceri, se pure in proporzioni variabili e diverse. Purtroppo per noi, invece, in Occidente siamo stati allevati ad una scuola di rigido moralismo, fondata sulla mortificazione della carne, sul rinvio della gratificazione e sul senso di colpa, classici del pensiero cristiano; con possibilità di redenzione attraverso la confessione, per i cattolici, ma, ancor peggio, con una severissima etica di autoresponsabilizzazione sempre immanente nel mondo protestante.
Da cui i segni evidenti di gravissime nevrosi, che inseguono tutti noi dall'alba al tramonto della nostra vita: dove godere è peccato, e il piacere cede sempre il passo al dovere, con una perenne mortificazione dei sensi e della nostra stessa fisiologia, soprattutto in chiave erotico-sessuale.
Il grande merito di aver cercato di ridare all'uomo l'originale integrità "fisico-sensuale", va, in Occidente, alla psicologia, soprattutto freudiana; laica e pragmatica, nel portare l'individuo a ritrovare e ad accettare le pulsioni profonde del suo inconscio, recuperando genericamente il diritto a "stare bene" e senza sensi di colpa.

Questo tipo di vicenda potrebbe raccontarsi in vari modi, dal dramma borghese alla commedia, dalla tragedia alla farsa. O magari anche in chiave favolistica e simbolica, come nel caso del film anglo-americano "Chocolat", dove una coppia madre-figlia arriva inopinatamente a seminare scompiglio in un piccolo paese arretrato e bigotto, aprendo un negozietto di dolciumi. Gli abitanti, abituati da sempre a mortificanti rinunce, scoprono un po' per volta le delizie del palato, ma, ancor più, a degustarne senza provare rimorsi e sensi di colpa. Mamma e figlia, emblematicamente in viaggio da sempre, e incapaci di mettere radici, choccano il paese con le loro dolci proposte, destando negli abitanti una superiore consapevolezza del loro diritto al piacere. Ciò facendo, ovviamente, incontrano pesanti ostilità presso il potere costituito delle istituzioni, Sindaco e Chiesa locale; che dovranno però capitolare dopo avere personalmente sperimentato le lusinghe del piacere. Per estensione, poi, la vicenda si allarga, nel caso della splendida mamma (Juliette Binoche) anche ad incontri sessuali ed amorosi, con un giovane nomade vocazionale (Johnny Depp), che incarna per l'appunto l'anelito di libertà insito in tutti noi, di fronte alle costrizioni moralistiche.

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venerdì 18 marzo 2005

Recensione DALLA CINA CON FURORE

Recensione dalla cina con furore




Regia di Lo Wei con Bruce Lee, Nora Miao, James Tien, Maria Yi, Robert Baker

Recensione a cura di Anakin

"Dalla Cina con Furore" ("Jingwu men"/"Fist of fury") è il primo film di Bruce Lee ad essere stato distribuito in Italia, ma è in realtà la seconda pellicola che lo vede protagonista; purtroppo si tende a confondere i primi film arrivati in Italia con i primi girati solo ad Hong Kong rischiando di non evidenziare bene l'evoluzione di un attore.

In molti pensano che "Dalla Cina con furore" sia stato anche il primo film di arti marziali in assoluto ad essere giunto nel nostro paese. In realtà le cose non stanno così e questo "onore" spetta a "Cinque dita di violenza". Quello che è certo è che "Dalla Cina con furore" è stato quello che qui ha avuto più successo, poiché neppure i successivi film di Bruce Lee distribuiti in Italia, sarebbero riusciti ad incassare maggiormente!

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giovedì 17 marzo 2005

Recensione DRACULA

Recensione dracula




Regia di Francis Ford Coppola con Gary Oldman, Winona Ryder, Anthony Hopkins, Keanu Reeves, Richard E. Grant, Cary Elwes

Recensione a cura di Kater

Castelli di cartone, marionette, ombre... il Dracula di Coppola è una fiaba gotica, un po' paurosa come spesso sono le fiabe. Dichiarando fin dall'inizio una fedeltà al racconto (infatti il titolo è Bram Stoker's Dracula), Coppola ci conduce però non là dove il racconto ha inizio, ma dove ha origine la stessa fantasia dello scrittore, nel XV secolo, presso Vlad III, Vlad l'impalatore, Principe di Valacchia, che la storia - quella vera - vuole tiranno sanguinario che amava banchettare tra i corpi torturati dei nemici. Ed è all'origine di questa storia che accade il fatto che darà un senso alla ri-lettura del personaggio Dracula, se ci si pensa l'unica possibile alle soglie del 2000.
Si perchè, per quanto indubbiamente 'fedele', la trasposizione del romanzo è falsata da questo antefatto che ci mostra fin dall'inizio Vlad-Dracula che si danna non per sete di potere ma per amore. E' per amore della sua Elisabetta che Dracula sfida un Dio ingrato e si costringe ad una condizione di non-morte, ad una vita di tenebra, alla necessità della morte altrui per la propria vita.

Coppola, insieme allo sceneggiatore Jim Hart, ci porge la chiave per trasformare il principe delle tenebre in principe azzurro, nel malinconico dandy che passeggia nelle vie di una Londra vittoriana incontrando la sua Mina, l'amore, per la quale attraversa gli oceani del tempo e trasforma le lacrime in diamanti.
Coppola alimenta le nostre suggestioni e ci ammalia come Dracula fa con Mina, portandoci anche qui non alla storia ma alla preistoria, quella del cinema, con i giochi di ombre e i caleidoscopi. Un autentico omaggio al cinema come visione e anche come stupore, attraverso i sontuosi costumi di Eiko Ishioka (premio Oscar) e la fluida immaginazione della fotografia di Michael Ballhaus.
Il richiamo al cinema è continuo, a partire dalle ovvie citazioni di Murnau, ma anche di Nightmare e Peter Pan, fino al richiamo più esplicito, la centrale scena del cinematografo, che "ovviamente" diviene il luogo della seduzione e dove si dichiara, attraverso lo sguardo in macchina, l'operazione di vampirismo del cinema verso chi lo ama.
E' sempre l'amore che torna, è l'amore che giustifica ogni azione, anche la più efferata. L'amore romantico, esagerato, surreale, dannato, l'amore che porta Mina ad uccidere l'amato con la promessa di un amore celestiale, riscattandolo con la propria vita terrena dalla tenebra.

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mercoledì 16 marzo 2005

Recensione THE AVIATOR

Recensione the aviator




Regia di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Cate Blanchett, John C. Reilly, Kate Beckinsale, Jude Law, Adam Scott, Kelli Garner, Gwen Stefani, Nellie Sciutto, Alec Baldwin, Danny Huston, Matt Ross, Ian Holm, Alan Alda, Frances Conroy, Vincent Laresca, Brent Spiner

Recensione a cura di kowalsky

Non ho mai capito veramente cosa si intenda per cinema. Non certo l'agiografia della settima Arte, nè l'esaltazione maxima del biopic strutturato come un'invadente pamphlet letterario à la Fitzgerald (chi non ricorda "Il grande Gatsby"?). Ho riconosciuto all'ultimo Scorsese una capacità tecnica da cinque stelle, ma è un pregio o rischia di diventare il suo limite per i prossimi anni, per il suo "mezzo del futuro"? Scorsese è anche l'uomo che ha rischiato di più negli ultimi due decenni, arrivando a un'insolito dramma in costume (il bellissimo "L'età dell'innocenza"), a una discussa ma coraggiosa rilettura apocrifa della vita di Cristo, a un'inquietante, vagamente didascalico ma a suo modo lucidissimo viaggio nell'inferno delle coscienze smarrite, poi d'improvviso... d'improvviso è come se sentisse il peso degli anni, rivivesse (sindrome di Woody Allen?) tutta l'ambizione e il limite di poter riscrivere il cinema che ama, da incantatore neutrale del meccanismo hollywoodiano ("viaggio nel cinema americano") o da riverente (un po' fasullo a dire il vero) "allibratore" del nostro cinema, come ogni buon Americano ama fare guardando dall'alto in basso il piccolo stivale che gli dette anche una moglie ("viaggio in Italia", comunque straordinario). Ha rischiato di perdere il suo pubblico con "the last temptation" o "al di là della vita", ma si è fatto imprigionare nei fasti della grandeur di cui "gangs of new york" ha rappresentato il delirio massimo della sua vocazione fetici(sta)nefila: un sontuoso e accademico (assolutamente impeccabile dal punto di vista figurativo) colosso girato con una propensione fiamminga (Bruegel dietro le quinte?) e personaggi che lordano - più che il sangue la Passione barocca delle Democrazie predestinate ad esaurirsi in un beffardo consenso di law and disorder.
Tutto questo è Scorsese al suo delirio d'onnipotenza, come quando ha tentato di rivitalizzare il musical - con risultati efficacissimi dal punto di vista del marketing sonoro/celebrativo - in "New York, New York".Poi qualcuno ti suggerisce che sta realizzando un film su Hughes, pensi a Welles ("Citizen Kane") e ne sei compiaciuto.

Ma qualcosa non torna: Di Caprio ha abbandonato le lotte fraticide di quartiere e il sangue dei coltelli per vestire Armani o giu' di lì, strada spianata all'ennesimo viaggio "al tempo che fu". già la storia: tanto per cominciare tutti gli Erroll Flynn, le Jean Harlow (mito ultramaledetto citato sguaiatamente da Madonna), le Katherine Hepburn, le Ava Gardner, diventano figurine liebig utili ai fini del gossip hollywoodiano più in voga lustri e lustri fa (Hedda hopper e le "pettegole", fino alla recente Mary Jo Pace). Tutto quel "si diceva che", o "sapete cosa ho saputo di lei?". Irritante, tanto più che di katherine Hepburn vediamo esattamente cio' che abbiamo sempre saputo, eppure tutto ci sfugge: che era una pasionaria dalle idee reazionarie (per gli Usa), che era di sinistra, che vestiva forzatamente da "maschio" e coltivava amicizie lesbiche (no, il film non lo dice 1), che Hughes non poteva essere più lontano dalla sua ottica ma che proprio per questo due anime distanti si sono incontrate e forse amate (per lo stesso motivo Kate e John Wayne sono andati d'amore e d'accordo sul set di "torna il Grinta").

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martedì 15 marzo 2005

Recensione IL FURORE DELLA CINA COLPISCE ANCORA

Recensione il furore della cina colpisce ancora




Regia di Lo Wei con Bruce Lee, Maria Yi, Han Ying Chieh, Tony Liu, Paul Tien, Miao Ker Hsiu

Recensione a cura di Anakin

"Il furore della Cina colpisce ancora" ("Tangshan daxiong"/"The Big Boss") è il primo film ad essere stato realizzato con Bruce Lee come protagonista. Il titolo italiano è fuorviante, poiché porta a far credere che si tratti di un sequel di "Dalla Cina con Furore", che in realtà è stato girato dopo e la cui storia non è neppure collegata al film precedente. La motivazione è nota: "Dalla Cina con furore" è stato distribuito in Italia per primo.

E' risaputo che Bruce Lee rimase deluso dalla sua esperienza cinematografica americana, in cui era riuscito ad avere soltanto ruoli di secondo piano. Il più famoso è stato quello di Kato (la spalla di Green Hornet, protagonista dell'omonima serie televisiva), che ha ispirato il Kato de "La Pantera Rosa", ma ha anche recitato la parte di Winslow Wong, un killer incaricato di uccidere il protagonista del film "L'investigatore Marlowe" di Paul Bogart.
Il personaggio di Kato ha però avuto un discreto successo ad Hong Kong (dove la serie "Green Hornet" è stata ribattezzata "Kato Show") e si fa notare da Raymond Chow, un produttore locale, che decide di scritturare Bruce Lee per un film di arti marziali. Fallito il tentativo di sfondare in occidente, Bruce decise di tentare la carta orientale...

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lunedì 14 marzo 2005

Recensione TICKETS

Recensione tickets




Regia di Abbas Kiarostami, Ken Loach, Ermanno Olmi con Valeria Bruni Tedeschi, Carlo Delle Piane, Martin Compston, Gary Maitland, Silvana De Santis, William Ruane, Klajdi Qorraj

Recensione a cura di Pietro Salvatori

E se il treno deraglia?

L'idea è buona e al contempo strampalata.
Tre registi, tre "autori" (se questo concetto è concesso oggi come oggi) s'incontrano per dar vita a un progetto comune. Un film a più mani insomma o una raccolta di più episodi. Esperimento questo tanto in voga negli anni '70, ripreso ultimamente da (uno spento) Antonioni insieme a Wong Kar Wai e Soderbergh nel film Eros.
Incontro questo forse più omogeneo, più intersecabile contenutisticamente, seppur anch'esso totalmente distante. Olmi, di formazione tutta italiana, Loach, un unicum per fama e maestria nel mondo inglese e lo scandinavo Kiarostami hanno un modo di sentire il cinema tutto europeo, e in questo si rispecchiano e trovano un dipanarsi della trama secondo convenzioni e convinzioni comuni.

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venerdì 11 marzo 2005

Recensione NATURAL CITY

Recensione natural city




Regia di Min Byung-chun con Yoo Ji-tae, Seo Ryn, Yoon Chan, Lee Jae-eun

Recensione a cura di peucezia

Film del 2003, Natural city è stato proiettato in anteprima nazionale al Future show 2005 di Bologna.
Si tratta dell'ennesimo prodotto giunto in Italia dalla Corea del Sud a dimostrazione di quanto risultino a noi graditi i prodotti di questa nazione asiatica (autovetture, elettrodomestici e ora anche film).

Siamo nel 2080 nell'affollata e ripiegata città-stato di Melcaline city sconvolta da una misteriosa guerra. Una potente multinazionale produce androidi adibiti a varie attività. Di una di queste si innamora il protagonista, solitario e integgerimo poliziotto R (Yoo Ji-tae), il quale passerà settantadue ore per cercare di impedire che Rya, l'oggetto del suo amore sia distrutta.
Fin qui la trama, che risente molto del film da cui pare abbia tratto ispirazione (Blade Runner) così come anche la storia risulta notevolmente influenzata dall'autore dell'omonimo romanzo, Philip K. Dick, visionario scrittore di fantascienza da cui la cinematografia di science fiction sta attualmente attingendo a piene mani. Come in Blade Runner, la presenza di androidi è un segno rimarchevole della società e anche qui la città è caratterizzata da una sottile quanto continua pioggia, mentre tutto intorno ci sono solo rovine, macerie e solitudine.

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giovedì 10 marzo 2005

Recensione SIDEWAYS - IN VIAGGIO CON JACK

Recensione sideways - in viaggio con jack




Regia di Alexander Payne con Paul Giamatti, Sandra Oh, Thomas Haden Church

Recensione a cura di peucezia

Alexander Payne già noto per l'altro film minimalista A proposito di Schimdt con Jack Nicholson, ci regala questa perla di cinema americano "colto" valsogli il premio Oscar 2005 per la miglior sceneggiatura non originale.

Titolo assai indigesto per gli italofoni (è stato corretto non tradurlo perché in italiano suona all'incirca "a sghembo", "laterale" e non avrebbe avuto alcun senso per noi), attori del tutto sconosciuti: l'italoamericano Paul Giamatti (il barbuto Miles) e il biondo Thomas Haden Church (Jack), insieme all'asiatica Sandra Oh, già vista in Sotto il sole della Toscana, il film che aveva tutte le carte in regola per non "sfondare" nelle sale nostrane, è diventato invece un piccolo oggetto di culto.
All'apparenza si tratta di una storia piuttosto piatta, a metà tra i racconti di amicizia virile e le storie on the road, ma in realtà nasconde delle venature più profonde che vengono fuori via via e fanno capire che l'idea di andare a vedere questo film non è stata affatto malsana.

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martedì 8 marzo 2005

Recensione MULHOLLAND DRIVE

Recensione mulholland drive




Regia di David Lynch con Naomi Watts, Laura Harring, Justin Theroux, Ann Miller, Chad Everett, Robert Forster, Wayne Grace

Recensione a cura di stefano76 (voto: 9,0)

Recuperando come un abile prestigiatore il pilota di un film per la televisione che gli era stato rifiutato dalla ABC in quanto incomprensibile, David Lynch torna sul grande schermo con la sua ultima opera, Mulholland Drive. Richiamati gli attori principali a distanza di circa un anno e mezzo, Lynch ha dovuto riprendere quell'episodio pilota di una serie televisiva che non si sarebbe più fatta e che stolti individui avevano giudicato poco idoneo al grande pubblico, cercando di scomporlo e di trovare altri tasselli da aggiungervi, in modo da creare un'opera completa e finita e che non sembrasse, appunto, la puntata zero di una serie.
Il risultato è qualcosa che è andato sicuramente oltre ogni più rosea aspettativa dell'autore stesso che ha confessato di aver faticato non poco nel trovare il bandolo della matassa per ricucire il tutto e trasformarlo in un film. Lynch è riuscito a sfornare uno dei film più solidi e maturi di tutta la carriera, che racchiude i temi principali che contraddistinguono il suo lavoro e che risulta essere così una vera e propria summa del suo cinema.

La trama: una giovane donna sta per essere uccisa da due sicari nella macchina su cui sta viaggiando, ma un provvidenziale incidente la salva. Scampata alla sciagura scopre di non avere più memoria e si rifiugia nella casa di un'aspirante attrice che la prende in amicizia e con cui inizia a indagare sul suo passato. Tra registi frustrati a cui vengono imposte le attrici, nani seduti su poltrone e teatri in cui si consumano spettacoli fumosi e onirici, la trama è destinata a ribaltarsi e ad aggrovigliarsi senza mai tuttavia perdere la sua intrinseca logicità e diventando infine una stupenda storia di amore, di morte e di pazzia.

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venerdì 4 marzo 2005

Recensione IL MERCANTE DI VENEZIA

Recensione il mercante di venezia




Regia di Michael Radford con Al Pacino, Lynn Collins, Jeremy Irons, Charlie Cox, Joseph Fiennes, Kris Marshall, Zuleikha Robinson, Allan Corduner, Gregor Fisher, Tony Schiena, John Sessions, Radica Jovicic, Julian Nest

Recensione a cura di peucezia

Michael Radford, già regista de "Il postino" con Massimo Troisi, (1994) regala una nuova versione di una delle commedie meno rappresentate di William Shakespeare e lo fa cercando l'assoluta fedeltà al testo.

Il film, girato a Venezia per una maggiore immedesimazione, è curatissimo nelle scene e nei costumi: perfetti i colori, indimenticabili le caratterizzazioni dei corteggiatori di Portia (il sovrano scuro di pelle, l'hidalgo spagnolo- caricatura a metà tra il cavaliere della triste figura e un inquisitore).
Si avverte da parte del regista una maniacale attenzione ai particolari forse per la paura di sbagliare, dopo tutto anche se Radford non è stato il primo a portare sullo schermo quest'opera di Shakespeare, (una prima versione italiana risale addirittura al 1910)la sua straordinaria aderenza ai nostri tempi, l'essere ancora troppo politically incorrect potrebbero renderla scomoda o indigesta.
La vicenda si snoda tutta intorno ai protagonisti: Shylock l'ebreo reso straordinariamente da Al Pacino (e per noi italiani altrettanto straordinariamente doppiato da Giancarlo Giannini), Antonio il mercante un po' ambiguo nel suo affetto nei confronti dell'amico Bassanio (interpretato da un gelido Jeremy Irons), il giovane innamorato Bassanio (Joseph Fiennes, nota un po' storta nel trio di primi attori con la sua interpretazione monocorde e incolore) e infine la bella Portia alias Lynn Collins, algida e distaccata ma anche capace di dare grande pathos nel celebre monologo " La qualità della misericordia" (The quality of mercy nell'originale).

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