giovedì 22 febbraio 2007

Recensione LA PRIMA NOTTE DI QUIETE

Recensione la prima notte di quiete




Regia di Valerio Zurlini con Alain Delon, Giancarlo Giannini, Sonia Petrova, Renato Salvatori

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 9,0)

"Non ci pensare! Te lo dico per esperienza. Adesso ti sembra insostenibile, ma passa... passa tutto".
"Allora che si vive a fare?".
"Si sopravvive".

Cineasta raffinato e colto, nonché riservato e schivo, Valerio Zurlini ha diretto alcune delle pellicole più interessanti del cinema italiano degli ultimi cinquant'anni. Distaccato dalle mode e sempre attento allo studio psicologico dei propri personaggi, il regista emiliano ama il contrasto fra le pulsioni emotive, intimamente personali, dei protagonisti e tutti quegli eventi esterni ed incontrollabili, che condizionano inesorabilmente le loro scelte e la loro stessa esistenza.

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mercoledì 21 febbraio 2007

Recensione BLOOD DIAMOND - DIAMANTI DI SANGUE

Recensione blood diamond - diamanti di sangue




Regia di Edward Zwick con Leonardo DiCaprio, Djimon Hounsou, Jennifer Connelly, David Harewood, Arnold Vosloo, Ntare Mwine, Jimi Mistry

Recensione a cura di ferro84

Sullo sfondo di una Sierra Leone martoriata dalla guerra civile di qualche anno fa è ambientata questa megaproduzione Hollywoodiana da 100 milioni di dollari.
Quando Hollywood incontra tematiche sociali c'è subito chi storce il naso, ma quando un film come "Blood Diamond" viene girato da un regista come Edward Zwick, la speranza di godersi un prodotto di qualità si ravviva.

Djimon Hounsou interpreta Solomon Vandy, un uomo deportato dai ribelli del Fronte rivoluzionario in una miniera di diamanti. Archer (Leonardo di Caprio) è un trafficante di pietre preziose che per caso scopre che Solomon ha nascosto un diamante di alta caratura nella giungla; promettendo di ricongiungerlo con la famiglia scomparsa, Archer cerca di farsi dire il nascondiglio. E' l'inizio di un viaggio per un paese martoriato dalla guerra, dove sullo sfondo di una caccia al tesoro si rispecchiano tutte le miserie umane.

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Recensione ODISSEA SESSUALE

Recensione odissea sessuale


Regia di Gerard Damiano con Michael Gaunt, Sandy Long, Nancy Dare, Richard Bolla

Recensione a cura di kowalsky

"All'inizio nasciamo, alla fine moriamo; ciò che sta in mezzo si chiama vita"

"The Beginning, the Middle and the End" tre episodi narrativamente separati ma uniti nello stesso film. Un inizio, una fine, e, al centro di tutto, il trait d'union tra unione e separazione (definitiva?).
"Odissea sessuale" è probabilmente il film più ambizioso di Gerard Damiano, in una filmografia che conta una settantina di lungometraggi, a partire dalla fine degli anni Sessanta fino alla metà degli anni Novanta.
La carriera di Damiano è esplosa probabilmente con il classico "Gola profonda", un film che ha segnato decine di generazioni, interpretato dalla prima moglie dell'autore, Linda Lovelace, scomparsa di recente. Altri film significativi sono "The devil in Miss Jones" (1973), "The story of Joanna" (1976), "People" (1978), "Night magic" (1984) e "Giochi di coppia" (1991).

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martedì 20 febbraio 2007

Recensione LA CENA PER FARLI CONOSCERE

Recensione la cena per farli conoscere




Regia di Pupi Avati con Vanessa Incontrada, Ines Sastre, Violante Placido, Diego Abatantuono

Recensione a cura di GiorgioVillosio

Il regista emiliano ci ha abituato a un cinema molto sostanzioso, dalla densa materia narrativa, mirante ad abbracciare le più ampie tematiche dell'umano.
La premessa è mossa da due ragioni di opposta natura: da un canto rispondere a chi gli rimprovera la prima caratteristica (ma a farlo sono pochi) sostenendo che mette troppa carne al fuoco; dall'altro fugare il dubbio che si tratti di argomenti leggeri, come lui stesso lascia credere (per vezzo o convenienza commerciale) definendo l'opera in oggetto come semplice "commedia sentimentale". Ai primi basterebbe rispondere che generi come il romanzo, soprattutto nell'ottocento, hanno sempre rappresentato l'umano sotto ogni aspetto, con una storia principale "centripeta", intorno a cui si muovevano una miriade di personaggi e vicende "centrifughe"... come infatti avviene nell' esistenza reale.
Niente di male, dunque, che il cinema segua questa modalità, disponendo di strumenti tecnici ancora più ricchi di quelli letterari. Mentre per il secondo punto, nella apparente "leggerezza" del racconto, sembra quasi che il regista si muova "con pudore", per paura che il grande pubblico si volatilizzi di fronte a discorsi troppo impegnativi (viviamo pur nell'epoca de "Il Grande Fratello").
A conferma di questo ci rifaremmo al titolo, che sembra parafrasare film di evasione (tipo "Venga a prendere il caffè da noi") e alla divertente didascalia finale, dove compaiono i titoli dei "filmacci" girati dal povero protagonista (dove l'ironia fa dimenticare il dramma della di lui scomparsa).

Nel film, invece, si trattano tematiche drammatiche e di amplissimo respiro, come già negli ultimi del regista; se in "Quando arrivano le ragazze" il clou del racconto era l'amicizia, e ne "La seconda notte di nozze" era il conflitto tra il bene della mitezza e il male della disonestà, in questo si tratta ad ampio spettro la vicenda eterna ed irrisolta di un amore Edipico che lega irrazionalmente le donne alla figura del padre.
Per quanto fanfarone, irresponsabile e assente sia stato, questi non viene "scaricato" dalla figlia, che se ne fa tutrice in vece della madre, trionfando in tal modo sulla sua "rivale" primigenia. Non dunque una sposa vilipesa che lo odia, e dunque lo perde, ma un angelo salvifico che gli perdona comunque, amandolo senza pregiudiziali, come una madre.
Tale il personaggio impersonato (splendidamente) da Abatantuono, gaglioffo impenitente e attore fallito, che tenta il suicidio fittiziamente, dopo una fallita operazione di chirurgia estetica (con cui si illudeva di risalire la corrente del successo). Torna qui il tema, frequente in Pupi Avati, della mancata realizzazione professionale, causa di insuperabili ferite narcisistiche nell'uomo, di profonde depressioni e di una concezione pessimistica e disperante dell'esistenza.

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Recensione RESPIRO

Recensione respiro




Regia di Emanuele Crialese con Valeria Golino, Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Veronica D'Agostino, Elio Germano

Recensione a cura di peucezia

Emanuele Crialese, mancata nomination per il recente "Nuovomondo", si è fatto conoscere dal pubblico cinematografico con il film "Respiro", in realtà sua opera seconda, uscita sugli schermi qualche anno fa. La regia di Crialese, particolare per la tematica scelta, si mostra forse spesso troppo intellettuale, costringendo lo spettatore a concentrarsi sulle immagini per cercarne il recondito significato.

L'opera, originale e ricca di citazioni cinematografiche, è affidata quasi totalmente ad attori poco noti; caratteristica questa che le conferisce un taglio quasi neorealistico unito anche all'ambientazione squisitamente mediterranea, con sequenze girate perlopiù in esterni sotto un sole abbacinante e privilegiando i colori tipici del nostro Sud: l'azzurro di mare e cielo, il giallo del sole, il rosso ed il bianco delle case. Al di là da questa connotazione esclusivamente "visiva" la storia può definirsi come un ritratto dell'alienazione nel senso più ampio del termine, laddove alienato significa allontanato, distante.

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lunedì 19 febbraio 2007

Recensione LE LUCI DELLA SERA

Recensione le luci della sera




Regia di Aki Kaurismaki con Janne Hyytiäinen, Maria Heiskanen, Maria Järvenhelmi, Ilkka Koivula, Aarre Karén, Tommi Korpela, Juhani Niemelä, Matti Onnismaa

Recensione a cura di matteoscarface (voto: 9,5)

L'estremizzazione della passività. Ecco come definire l'ultimo capolavoro di Aki Kaurismaki. Il regista finlandese firma un'opera dallo stile personale, dal sapore prettamente europeo e ancor di più del nord Europa.

Ne "Le luci della sera" le classiche vicissitudini dell'uomo solo, perduto e divorato dalla società tremenda e spietata, peculiarità del cinema di questo artista della macchina da presa, tornano nel loro aspetto più estremo. Ancora una volta, dopo "L'uomo senza passato", il protagonista della vicenda, il guardiano notturno Koistinen, diventa un oggetto ad uso e consumo dei suoi simili, a tratti mostruosi, a tratti gentili. Ma se l'unica persona a concedere un po' di speranza di vivere è la proprietaria di un furgone-bar, tutto il resto dell'umanità è composta da individui orribili. Non vi è nessun personaggio che possa esprimere un senso di tranquillità. Le fredde e vuote serate invernali finiscono per diventare sconvolgenti per Koistinen, e noi, con lui, proviamo la stessa sensazione.

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Recensione LE ALI DELLA LIBERTA'

Recensione le ali della liberta'




Regia di Frank Darabont con Tim Robbins, Morgan Freeman, James Withmore, Bob Gunton

Recensione a cura di Antonio Cocco

"Alcuni uccelli non sono fatti per la gabbia...sono nati liberi e liberi devono essere; e quando volano via ti si riempie il cuore di gioia perché sai che nessuno avrebbe dovuto rinchiuderli, anche se il posto in cui vivi diventa all'improvviso grigio e vuoto senza di loro!"

Con queste parole Red (un immenso Morgan Freeman) commenta l'evasione capolavoro dell'amico Andy Dufresne (Tim Robbins) dal carcere di massima sicurezza di Shawshank in cui era recluso da più di vent'anni.
Andy, bancario di mezza età, ingiustamente condannato all'ergastolo per l'omicidio della moglie, vede la sua vita finire di colpo e rinascere lentamente fino ad una vera e propria redenzione (da qui il titolo del romanzo originale di Stephen King "The Shawshank Redemption").
In carcere subisce ogni tipo d'angheria, riuscendo sempre a sopravvivere alle sevizie delle "nonne"; ma pian piano lo spirito remissivo e l'apatia che nei primi anni di carcere imprigionavano l'anima di Andy spariscono e la sete di libertà prende il sopravento.
Andy stringe una forte amicizia con un carcerato di colore, da tutti chiamato Red e guadagna il rispetto degli altri carcerati e dei secondini, alcuni dei quali sono dei veri aguzzini al servizio dello spietato direttore Samuel Norton (impersonato da Bob Gunton).

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giovedì 15 febbraio 2007

Recensione INLAND EMPIRE

Recensione inland empire




Regia di David Lynch con Julia Ormond, Scott Coffey, Justin Theroux, Harry Dean Stanton, Jeremy Irons, Laura Dern

Recensione a cura di maremare (voto: 10,0)

"Che fine ha fatto la ragazza?"
(da 'Mulholland Drive', 2002)

INLAND EMPIRE inizia laddove finisce Mulholland Drive.
Entra nella sua BLACK BOX.
LYNCH rompe gli indugi e ci conduce nella sua privatissima 'fabbrica dei sogni', nella sua mente.
La scoperchia e ce la fa vedere.

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Recensione PICCOLO GRANDE UOMO

Recensione piccolo grande uomo




Regia di Arthur Penn con Dustin Hoffman, Faye Dunaway, Martin Balsam, Chief Dan George

Recensione a cura di Terry Malloy (voto: 9,0)

Piccolo grande uomo. Piccolo grande attore. Piccolo grande film. Arthur Penn è magistrale nel dirigere questa storia di valore, qualità e sensibilità immensa e di difficile classificazione, attingendo dalla commedia, dal drammatico, dal western e dallo storico.
"Piccolo grande uomo" è una storia semplice, ma nella sua semplicità grandiosa, commovente, struggente: solo l'abilità di un grande regista poteva realizzare ad una pellicola così perfetta, senza rischiare di cadere nel banale.

Un bambino viene allevato dai Cheyenne, dopo essere caduto in un agguato ad opera dei Poniees in cui perde tutta la famiglia tranne la sorella, e vive da indiano fino a circa diciotto anni nei quali Penn, con brio ed eleganza, documenta lo spettatore circa stile di vita e sui costumi e tradizioni di questo popolo.
Nella prima parte "Piccolo Grande Uomo" apre numerose vie che si concluderanno alla fine in una catena di avvenimenti che saranno essenziali per l'aspetto didascalico del film e del suo svolgimento (come il nemico indiano di Jack cui non era stato permesso dal medesimo di ricambiare il "favore").
Uno specchio americano degli anni della strage dei Cheyenne in cui si muove questo personaggio intricato, ambiguo e fuori dal tempo: dinamico nei caratteri psicologici poichè tramite le peripezie, le cadute e le esperienze (in gran parte disastrose, ma dalla comicità irresistibile) muta nel corso del film assumendo una coerenza e un'assennatezza che pur derivandogli in origine dal Popolo degli Uomini, era andata scomparendo a causa della negatività dell'Uomo Bianco e della profonda sfiducia nutrita nei confronti di questi.
Jack lotta per tutto il film contro il suo essere bianco di pelle ma indiano di spirito come tra due fuochi, in cerca di una risposta a quella violenza subita da piccolo, una ricerca impossibile di accettazione e comprensione da parte di quel popolo che, accecato dall'odio verso i Cheyenne, non capisce il disagio del protagonista provocandone amarezza e dolorosa consapevolezza di solitudine.

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giovedì 8 febbraio 2007

Recensione DREAMGIRLS

Recensione dreamgirls




Regia di Bill Condon con Jamie Foxx, Beyoncé Knowles, Jennifer Hudson, Keith Robinson, Eddie Murphy, Anika Noni Rose, Hinton Battle

Recensione a cura di ferro84 (voto: 5,5)

Uscite le nomination per gli Oscar, "Dreamgirls" l'ha fatta da protagonista, collezionando ben otto candidature e accendendo nuovamente i riflettori su un genere -il musical- mai troppo amato dal grande pubblico se non negli Stati Uniti.
Che l'Academy avesse un debole per questo tipo di film si sapeva da tempo, donando ben 13 nomination a "Chicago",5 a "Walk the line", ma se anche un'opera mediocre come "Dreamgirls", viene candidata a ben otto statuette, la credibilità della manifestazione stessa viene messa in discussione.

Lo spunto viene dato dalla biografia di Diana Ross, la sua scalata al successo con il gruppo The Primettes e relativo scioglimento, il tutto raccontato con moltissime licenze tanto che il film rinuncia da subito a qualsiasi intento biografico.
Andando con ordine la storia segue tutti i cliché dei film che trattano la scalata al successo: tre ragazze di periferia sfondano negli anni '60 nella Detroit della musica nera, da lì diventeranno un piccolo fenomeno musicale. Come al solito a un certo punto della trama, il solito impresario cattivo altera gli equilibri del gruppo e ne mina l'amicizia, portando all'abbandono di una componente.
Il prezzo del successo indurrà le protagoniste ad inseguire sogni irrealizzabili, a perdere di vista le vere cose importanti della vita, fin quando un evento drammatico le porterà a riconsiderare le proprie priorità.

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mercoledì 7 febbraio 2007

Recensione L'ARTE DEL SOGNO

Recensione l'arte del sogno




Regia di Michel Gondry con Gael García Bernal, Alain Chabat, Charlotte Gainsbourg, Miou-Miou, Inigo Lezzi, Jean-Michel Bernard

Recensione a cura di GiorgioVillosio

Voltare le spalle alla ragione, come strumento espressivo della tradizione, privilegiare modalità di comunicazione istintuali e metaforiche, pilotate da automatismi psichici e condizioni oniriche, avvertendo al contrario il reale come assurdo, è appannaggio preciso del surrealismo; inteso questo come movimento artistico e culturale nato tra le due guerre, guarda caso in Francia.
Forse per questo il regista americano Michel Gondry.. ha voluto sciacquare i panni in Senna... per produrre il suo secondo film a cavallo tra sogno e realtà. Se nel primo ("Se mi lasci ti cancello") questa dialettica si sviluppava con la rimozione del ricordo, in un viaggio nella memoria, in questo ultimo lavoro si tratta invece di un percorso esistenziale nel sonno, e dunque nel sogno.
Ma, al di là della dimensione artistico culturale, la tendenza a confondere lo stato di veglia col sonno, il passato col presente, insomma la realtà col sogno, ha una precisa valenza anche in termini psichiatrici, nell'arcipelago delle schizofrenie; esse assumono diversissime dimensioni, riguardando aspetti di demenza, di dissociazione con la perdita dei nessi logici, o della coscienza della propria identità, e varie forme di deliri e allucinazioni. Anche la psicanalisi (junghiana in particolare) ha fornito una sua spiegazione del fenomeno, addebitando questa disintegrazione della personalità alla "forza primaria dell'inconscio", che emerge sovente per la scissione tra i contenuti "mentali" e la carica affettiva.

Questa lunga premessa solo per fornire preliminarmente due possibili interpretazioni dell'opera surreale di Gondry, stante il fatto che la maggior parte della critica dichiara di averne perso le fila, accontentandosi di giudizi puramente formali. In effetti il film è difficile da seguire, nei meandri della scissione mentale del giovane (e bravissimo) protagonista; l'impressione che se ne trae, in prima battuta, è quella che si prova abitualmente alle mostre scolastiche di pitture di bambini, o talora di assistiti psichiatrici naif, dove è evidente la volontà di esprimere un proprio mondo di pure fantasie, espressione chiara di un inconscio non pilotato dal controllo razionale (peraltro fino ad un certo punto peculiare in ogni forma d'arte).
Personalmente tenterei un'altra interpretazione, vedendo il film come racconto di un'infanzia prolungata, anzi di un'adolescenza irrisolta, come succede a molti nella vita. Si parla tanto di un "complesso di Peter Pan", sovente per scherzarne, dimenticando che invece per molte persone il passaggio all'età adulta è davvero difficile, quando non addirittura irrealizzato. A favore della seconda ipotesi gioca la storia, appena accennata, del protagonista che da bambino perde la mamma seguendo il padre: questo significa cristallizzazione della personalità al momento dell'abbandono, e perdita dell'apporto educativo-formativo delle madri onnipresenti, il che crea, come si sa, turbe particolari a livello di linguaggio, sindromi autistiche, difficoltà a realizzare rapporti intersoggettivi. Ed ancora disturbi della sfera sessuale, con la tendenza a non uscire dal livello auto libidico, regredendo addirittura a quello fetale. E questo sembrerebbe trasparente nel film, con la storia d'amore per la vicina di casa, tra l'altro ossuta e "asessuata" come le adolescenti anoressiche, carenti di affettività. Con un lieto fine, però, ne "L'arte del sogno", se è vero che la cavalcata in comune dei due ragazzi sembrerebbe preludere ad un superamento dell'adolescenza grazie alla vita sessuale e matrimoniale. Così in effetti si entrava un tempo nell'età adulta.

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martedì 6 febbraio 2007

Recensione BLACK BOOK - IL LIBRO NERO

Recensione black book - il libro nero




Regia di Paul Verhoeven con Carice van Houten, Sebastian Koch, Thom Hoffman, Halina Reijn, Derek de Lint

Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,0)

Il ritorno in Europa di Paul Verhoeven, dopo circa vent'anni di esperienza hollywoodiana, sancisce soprattutto una rivalsa e un rifiuto alle regole dello star-system americano, cosa di per sè abbastanza atipica e paradossale per chi ha sempre ritenuto il cineasta olandese perfettamente integrato in un cinema di consumo, di alta spettacolarità, esteticamente e formalmente idoneo al grande pubblico.
Per quanto tutto ciò non sia completamente vero, Verhoeven rimarrà per anni autore sottovalutato e tacciato, con inguaribile snobismo, di bieca superficialità. Tutto a causa del successo internazionale di film come "Basic instict" o alla cronica incapacità dei critici di comprendere il potenziale creativo di film di genere come "Robocob", "Atto di forza" e "Starship troopers".
Resta francamente incomprensibile aprire un dibattito tra cinema commerciale e non, visto che dell'esperienza americana di Verhoeven restano anche film che non hanno ottenuto lo stesso successo delle pellicole sopracitate, come "Showgirls".

Visto all'ultima edizione della Mostra di Venezia, "Zwartboek" (o "Black book", secondo i canoni della distribuzione internazionale, se preferite) mantiene le sue promesse e probabilmente è il suo film più emblematico: da una parte il regista mostra la sua indubbia capacità visiva, dall'altra esplora i territori piu' consueti che gli hanno procurato fama ricchezza ma anche diversi detrattori.
Per inciso, "Black book" è un film difficile da amare/odiare, va amato alla follia o rifiutato in toto, a seconda delle modulazioni. Anche descriverlo diventa un'operazione ben ardua, e questo fa comprendere quanto davanti a un'opera di disarmante (o apparente?) facilità lo spettatore si trovi in difficoltà, empaticamente avverso alla propria coscienza, oppure costretto suo malgrado a godere la spettacolarizzazione romanzesca della storia.

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Recensione DIES IRAE

Recensione dies irae




Regia di Carl Theodor Dreyer con Thorkild Roose, Lisbeth Movin, Sigrid Neiiendam, Preben Lerdorff Rye, Anna Svierkier, Albert Høeberg, Olaf Ussing

Recensione a cura di amterme63

Il regista danese Carl Theodor Dreyer (1889-1968) è forse sconosciuto al grande pubblico dei frequentatori dei cinema. Eppure è stato autore di capolavori indiscussi tra cui Dies Irae, uscito in Danimarca nel 1943. Nella sua carriera cinematografica si è occupato di occulto, demonismo e di misticismo religioso (Pagine dal Libro di Satana 1921, Vampyr 1931, Ordet 1954) e della celebrazione di grandi figure femminili (La Passione di Giovanna d'Arco 1928, Gertrud 1964). Dies Irae è il film dove si esprimono al meglio tutti i temi preferiti del regista.

La fama di Dreyer è dovuta soprattutto alla perfezione formale delle sue opere. Ogni elemento, dalla scenografia, alle riprese, alla recitazione è curato in maniera maniacale. Niente è superfluo o casuale. Il prodotto finale è un film essenziale, che va subito al dunque. Riesce a colpire lo spettatore grazie alla nudità e alla concentrazione delle scene e lo emoziona con la chiarezza e la profondità dei sentimenti espressi. Dies Irae si differenzia dai film precedenti per un maggiore movimento della cinepresa, anche se spesso ci sono degli improssivi stacchi di primo piano che danno solennità ai personaggi. Bellissima è la scena del funerale, in cui la cinepresa da un punto fisso segue il movimento in circolo dei chierichetti, rivelando tutti i particolari della stanza. In pratica il punto di vista diventa la bara del morto. Spesso gli attori sono disposti quasi a rappresentare dei quadri olandesi del Seicento, in particolare di Rembrandt, ma il tutto avviene con molta naturalezza, senza forzature. L'inizio e la fine sono segnati dalla drammatica recita dell'Apocalisse. Tutto questo, insieme all'atmosfera cupa e persecutoria che si respira nel film, ha fatto pensare ad accenni al nazismo e alla guerra in corso all'epoca.

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