martedì 31 luglio 2007

Recensione LA ROSA PURPUREA DEL CAIRO

Recensione la rosa purpurea del cairo




Regia di Woody Allen con Van Johnson, Dianne Wiest, Danny Aiello, Jeff Daniels, Mia Farrow

Recensione a cura di Giordano Biagio

"La rosa purpurea del Cairo" è il tredicesimo film di Woody Allen, il secondo senza Allen attore; il primo fu "Interiors".
Questo film, girato nel 1985, è ambientato negli anni '30 nella periferia del New Jersey. E' un'opera stilistica esemplare ed originale, una brillante formulazione per immagini del significato più segreto che anima il cinema in generale.
La sceneggiatura è un vero e proprio gioiello letterario, frutto di un lavoro di scrematura delle parole e delle immagini-simbolo avvenuto lungo un profondo impegno di riflessione autobiografica.
Il contenuto del film prende in considerazione sia i conflitti di identità che animano nel cinema la relazione tra il personaggio e l'attore che lo interpreta, sia il frequente desiderio del personaggio volto a conoscere lo spettatore che più lo ammira e in lui si identifica.

Il film pur divertendo non è di facile apprendimento: si presta, da un punto di vista critico, ad essere interpretato e vissuto in diversi modi. Ciò è dovuto alla natura stessa del suo argomento, che riguarda essenzialmente il sogno, un oggetto di studio da sempre di non facile comprensione e definizione.
In questo caso il sogno non può fare a meno di sfociare, per la complessità che prende l'analisi di Allen, in altri interessanti temi, tutti molto attuali; questi ruotano intorno al senso che il cinema può assumere rispetto a referenti quali lo spettatore, la critica, il produttore, la stampa e non ultime le scelte soggettive di programmazione che la sala cinematografica attua durante l'anno.

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lunedì 23 luglio 2007

Recensione HARRY POTTER E L'ORDINE DELLA FENICE

Recensione harry potter e l'ordine della fenice




Regia di David Yates con Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Jason Isaacs, Helena Bonham Carter, Ralph Fiennes, Michael Gambon, Gary Oldman, Maggie Smith

Recensione a cura di flopinda

E' durata tanto l'attesa del quinto capitolo della saga cinematografica ispirata al mago più famoso degli ultimi anni, ma l'11 luglio, finalmente, è tornato sui grandi schermi, in contemporanea mondiale, Harry Potter insieme ai suoi amici di sempre, Ron ed Hermione, alle prese con una nuova avventura tratta dall'omonimo libro della scrittrice inglese J.K.Rowling.

Quasi in simultanea con l'uscita dell'ultimo e definitivo romanzo dell'occhialuto maghetto, che sarà nelle librerie inglesi in vendita del 21 luglio, e cavalcando l'onda del fenomeno mediatico creata attorno a questo personaggio, esce nelle sale "Harry Potter e l'ordine della Fenice", che già prima dei conti ai botteghini, si sa essere destinato ad uno strepitoso record d'incassi.
E infatti il seguito di fan, che in trepidante fermento attendono di gustarsi questo quinto film, non smentisce le previsioni dei produttori, i quali si ritrovano a fare i conti, già dal primo week end, con cifre da capogiro.
Ma se l'affetto del pubblico non delude le aspettative della Rowling e della WB, non si può certo dire che la cosa sia stata contraccambiata: "Harry Potter e l'ordine della Fenice" è il peggior film della saga che, seppur rispettando a grandi linee la trama originale, non rende assolutamente giustizia al romanzo da cui è tratto.

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lunedì 16 luglio 2007

Recensione FANTASIA

Recensione fantasia




Regia di Ben Sharpsteen con -

Recensione a cura di Amira (voto: 10,0)

"Coniugazione di immagini e musica", questo era il desiderio di Walt Disney: per la prima volta la musica non è creata come colonna sonora in funzione dell'immagine, ma è l'immagine che accompagna e completa la musica.
Un esperimento pericoloso però per gli anni '40; la pellicola infatti avrebbe avuto un costo tutt'altro che contenuto, ma soprattutto l'unico modo per rendere a pieno l'anima del film era un impianto acustico che pochissimi cinema dell'epoca potevano vantare. Per l'uscita del film (13 novembre 1940) infatti in ogni sala appartenente al ridotto gruppo di cinema adibiti alla rappresentazione, vennero installate più di trenta casse acustiche, che circondavano gli spettatori seguendo un determinato disegno, andando a riprodurre per la prima volta un suono definibile "stereofonico". Walt Disney teneva molto all'opera realizzata, considerandola molto più importante di un semplice film d'animazione, e voleva che alle sue rappresentazioni tutti gli spettatori si presentassero vestiti al massimo dell'eleganza.
Purtroppo però la Walt Disney non riuscì a salvarsi dall'imminente crisi finanziaria dovuta al così ristretto numero di sale cinematografiche in grado di adeguarsi alle potenzialità sonore del film; così nel 1941 venne incentivata la distribuzione del film grazie a una nuova versione avente un audio monofonico.

Per oltre trent'anni il film ha subito numerosi tagli e modifiche, dovuti anche alla lunghezza dell'opera; i primi elogi che avevano accolto la pellicola vennero ben presto soppiantati dalle critiche più disparate, in particolar modo dagli amanti della musica classica. Una delle sequenze meno apprezzate rimaneva la rappresentazione "mitologica" della "Sinfonia n°6" di Beethoven, vista l'associazione dell'opera tedesca a un paesaggio mitologico greco. Fu persino necessario, viste le accuse di razzismo che si andavano sollevando, censurare uno dei personaggi metà donna di colore e metà asino.
Rimane comunque indubbio che, come era volontà del suo creatore, "Fantasia" rimane un capolavoro artistico senza precedenti, in cui l'immaginazione degli animatori ha saputo esaltare con eleganza la bellezza di alcuni dei più famosi e storici brani della musica classica.

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venerdì 13 luglio 2007

Recensione SMOKIN' ACES

Recensione smokin' aces




Regia di Joe Carnahan con Ben Affleck, Jason Bateman, Common, Andy Garcia, Alicia Keys, Ray Liotta, Jeremy Piven, Ryan Reynolds

Recensione a cura di matteoscarface (voto: 8,5)

"Smokin'Aces" è tutto quello che Tarantino avrebbe dovuto fare negli ultimi anni e che non ha fatto. La pellicola di Joe Carnahan, già acclamato specialista del cinema nero-poliziesco, è infatti totalmente moderna ma allo stesso tempo appartiene dal primo fotogramma fino all'ultimo a quel genere, finito negli anni '70, che il regista di "Pulp Fiction" omaggia continuamente.
La sfida vinta di Carnahan è stata proprio questa: riuscire a scrivere e dirigere un film di exploitation allo stato puro senza trasformarlo in una fiera delle citazioni.
I possibili rimandi, volti più che altro all'occhio cinefilo, rimangono circoscritti all'interno del genere, o meglio dei generi, e non oltrepassano mai quei confini. Ed ecco che la pellicola non è più citazione ma Cinema.
Quando si oltrepassano i limiti imposti dal b-movie allora quel Cinema diventa gioco e divertissement del regista col pubblico. Non è il caso, questo, di Smokin'Aces, in cui il poliziesco si contamina con l'azione, lo splatter, lo humour nero e tanto ritmo narrativo.

Nella follia visiva e creativa troviamo personaggi che sembrano usciti dalle pagine di un racconto di Joe Lansdale: cecchini con benda sull'occhio, nazisti burloni ricalcati sulle fattezze dei Motorhead, loschi cacciatori di taglie, Bonneville del '66 e mazzi di carte assassini, motoseghe e mafiosi, sbirri, avvocati bizzarri e voilà, folli e raffinati maestri dell'antica arte della tortura. Non mancano naturalmente le donne da urlo, come la brava Alicia Keys, qui nelle vesti di un'assassina a contratto.
Il tono del film è corale, tutti i personaggi alla fine si ritrovano nello stesso punto ma in momenti diversi, quasi una sorta di Paul Thomas Anderson in salsa pulp; e vai col divertimento dunque: l'enorme caos allegro e scanzonato messo in piedi da Carnahan farà scattare anche il più rigido degli spettatori.

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Recensione MANHATTAN

Recensione manhattan




Regia di Woody Allen con Woody Allen, Diane Keaton, Michael Murphy, Mariel Hemingway, Meryl Streep

Recensione a cura di Terry Malloy (voto: 10,0)

Insieme ad "Annie Hall" ed "Hannah e le sue sorelle", "Manhattan" forma una triade di commedie indimenticabili e meravigliose firmate Woody Allen.
Lo stile è inconfondibile, ma in ognuna di queste si notano molteplici differenze tantochè spesso sorgono divergenze al momento di stabilire quale sia il vero capolavoro del grande regista.

Mentre "Io e Annie" inevitabilmente assume maggiore importanza storica perché rappresenta la nascita della commedia alleniana e in "Hannah e le sue sorelle" la presenza di Allen si sacrifichi in favore dell'intelligenza della storia consentendogli di raggiunge l'apice di maturazione artistica (insieme a "Crimini e Misfatti"), "Manhattan" si pone come un film molto esclusivo e intimo, estremamente personale con cui il regista omaggia la sua città, New York e la sua cultura improntandolo in minor misura sulle sue tematiche consuete, maggiormente invece sulla sua figura con una particolare attenzione alla qualità visiva e alle inquadrature, mai notata prima.
È proprio questo il punto di forza del film, la maestria raggiunta da Allen alla regia è sbalorditiva, questa è indubbiamente la sua opera più raffinata dove l'utilizzo della macchina da presa è curatissimo e l'armonia fra gli elementi del film è perfetta.

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giovedì 12 luglio 2007

Recensione SOSTIENE PEREIRA

Recensione sostiene pereira




Regia di Roberto Faenza con Marcello Mastroianni, Stefano Dionisi, Nicoletta Braschi, Daniel Auteuil

Recensione a cura di Terry Malloy (voto: 8,0)

Un giornalista anziano, grasso e con problemi di cuore cammina per una strada di Lisbona nell'Agosto del 1938 all'epoca della dittatura salazarista. Porta un bastone e quando passa dalla portineria non manca di avere un battibecco con la portinaia, moglie di un poiliziotto quindi spia del regime. Tutte le volte che torna a casa ascolta musica nazionale e parla col ritratto della moglie, morta di tisi qualche anno prima; è appena stato al lavoro, ovvero alla redazione del giornale, il Lisboa, del quale dirige, solo, la pagina culturale: per lui la letteratura è la cosa più importante che esista, quindi passa le giornate a tradurre racconti di Balzac e a interrogarsi e interrogare Padre Antonio riguardo alla resurrezione della carne (è un buon cattolico, ma non capisce perché la sua pinguedine debba accompagnarlo anche dopo il trapasso). Pereira è un giornalista, ma a lui non interessano né la cronaca, né la politica, né la libertà di pensiero e parola; di quando in quando si fa informare dal suo barista Manuel circa quelle "cose turche" che accadono per mano della polizia o di qualcun altro ai manifestanti repubblicani o agli ebrei.

Questo è il quadro che si presenta agli occhi dello spettatore che incomincia la visione di "Sostiene Pereira", tratto dall'omonimo romanzo di Antonio Tabucchi ("Notturno Indiano", "Piccoli Equivoci Senza Importanza"). Trasporre un libro di quest'autore il cui stile è essenziale, ma estremamente complesso, è faccenda assai ardua per un regista, soprattutto in questo caso dove ogni minimo elemento concorre a tratteggiare una figura articolata e pericolosamente oscillante fra realtà e invenzione. È appunto la verosimiglianza dei fatti narrati che rimandano a quell'"impegno romantico" di scrittori italiani come Manzoni e Berchet che creando la loro metafora storica cercavano di sollevare la coscienza nazionalistica del popolo contro gli occupanti stranieri. Sostiene Pereira dunque si pone come un romanzo civile in cui il personaggio antitetico del giornalista compie un viaggio di metamorfosi a esempio verso tutti i cittadini; l'elemento di stravaganza sta nell'anno in cui Tabucchi scrisse questo romanzo, ovvero il 1997 che non presentava alcun motivo per comporre un'opera di quel tipo. Fortunatamente nel film vengono riprese tutte quelle caratteristiche che ne fanno uno scritto civile (o romantico) a partire dal titolo e dalla forma in cui Tabucchi imposta il suo capolavoro: enfatizzando infatti quell'intercalare si vuole rendere l'idea che il personaggio sia esistito e abbia compiuto quelle azioni veramente e che la voce del regista stia riferendo le sue parole in tempo reale.

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mercoledì 11 luglio 2007

Recensione UNDER THE SKIN - A FIOR DI PELLE

Recensione under the skin - a fior di pelle




Regia di Carine Adler con Samantha Morton, Claire Rushbrook, Rita Tushingham, Christine Tremarco, Stuart Townsend, Matthew Delamere, Mark Womack, Clare Francis

Recensione a cura di Luca.Prete

La rivalità tra sorelle per conquistare l'amore materno e il dolore autolesionista che può essere generato da un lutto: sono questi i due temi principali che sono affrontati e sviluppati in "Under the Skin", opera prima della regista inglese Carine Adler.

Iris (Samantha Morton) è una ragazza inglese sfrontata e perennemente irrequieta che vive a Liverpool con la madre (Rita Tushingam) e la sorella Rose, la quale, secondo la giovane, è da sempre la prediletta della mamma. Iris dunque si adopera in tutte le maniere per far ricadere ogni attenzione su di sé, a costo anche di assumere un comportamento irrispettoso. Quando però la madre si ammala di tumore e successivamente muore, per la ragazza inizia un lenta ma costante discesa verso l'autodistruzione: se ne va di casa abbandonando la sorella, rompe la relazione con il suo ragazzo, sprofonda in un disagio e in una confusione sempre più invasiva e rabbiosa. Il dolore per la tragedia la disorienta a tal punto da condurla ad avere rapporti sessuali occasionali ed umilianti (uomini che si divertono ad urinarla), a credere di disprezzare Rose e soprattutto, a perdere ogni contatto con la realtà. Iris, infatti, è come se vivesse in un mondo tutto suo creato da lei stessa nel quale l'amore e la compassione non debbano trovare posto.
Con il tempo, però, Iris si accorge di aver toccato il fondo, e di non riuscire a risalire da sola. Il solo mondo per poter rinascere è quello di liberarsi dalla sofferenza che la schiaccia e che condiziona la sua vita. Il risveglio da questo dolore incancrenito e intorpidito può avvenire solamente con l'aiuto dell'affetto della sorella incinta. Entrambe le donne, ma soprattutto Iris, capiscono che il patimento debba essere condiviso, reso esplicito ed espresso e non più celato. Se la morte della madre aveva originato un deterioramento che sembrava irreversibile tra le due, aveva avuto il potere altresì di farle nuovamente riavvicinare. Con la consapevolezza che il dolore sarebbe stato ancora presente, Iris ricomincia a vivere, a cambiare stile di vita. Emblematica l'ultima scena nella quale, la voce fuori campo della ragazza ci rivela di aver trovato un lavoro in un fioraio, e ci fa partecipe della sua rinascita proprio come un fiore.

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martedì 10 luglio 2007

Recensione INVITO A CENA CON DELITTO

Recensione invito a cena con delitto




Regia di Robert Moore con Eileen Brennan, Truman Capote, James Coco, Peter Falk, Alec Guinness, Elsa Lanchester, David Niven, Peter Sellers, Maggie Smith, Nancy Walker, James Cromwell

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 9,0)

"...Ben Signora. Si, signora. James, signore..."
"...Conoscele storiella di funghi plimaticci?..."
Sono battute ormai entrate nella storia della parodia cinematografica, ascoltarle ed associarle ad un successo annunciato come "Invito a cena con delitto" è un momento. Dopo la sua uscita nel 1976, infatti, era sufficiente cogliere anche solo una frase citata dal film per riconoscerlo immediatamente e ridere di gusto.

Questa fortuna capita solo alle opere cinematografiche destinate ad ergersi a veri e propri cult movie. Difficile, però, oggi dire se la fama della parodia di Robert Moore, tratta da una piece teatrale di Neil Simon, abbia avuto col tempo la stessa sorte del più conosciuto "Frankestein Junior", uscito due anni prima.
Probabilmente il film di Mel Brooks vince in popolarità e fama rispetto a quello scritto dal grande commediografo brodwayiano, nonostante l'originale "Murder by death" rappresenti per molti una perla di raffinato umorismo sempre piacevole da rivedere, e per gli afecionados un vero e proprio film- feticcio.

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venerdì 6 luglio 2007

Recensione UN UOMO DA MARCIAPIEDE

Recensione un uomo da marciapiede




Regia di John Schlesinger con Dustin Hoffman, Jon Voight, Sylvia Miles, John McGiver, Brenda Vaccaro, Barnard Hughes

Recensione a cura di thohà (voto: 9,0)

John Schlesinger, regista inglese di film che si possono annoverare ormai tra i classici, piccoli e grandi capolavori, come "Il maratoneta", "Domenica maledetta domenica", esce nel 1969, con questo bellissimo film tratto dal libro: "Cowboy di mezzanotte" di James Leo Herlihy. All'epoca, deve avere destato scalpore, dato l'argomento scottante e certamente non convenzionale: la prostituzione maschile. Non si dimentichi che era l'epoca del Vetnam, di Kennedy e dei figli dei fiori.

Joe Buck (Jon Voight) un ragazzo giovane ed attraente; tutto incomincia con la sua partenza: abito in pelle e frange, stivali con tacco, cappello, valigia foderata di vacca pezzata bianca e marrone, chewingum, aria spavalda e un lungo, lungo viaggio in pullman verso la Grande Mela. Una volta arrivato, l'idea è appunto di proporsi come stallone a donne ricche e sole, disposte a pagarlo. Ben presto si scontrerà con una dura realtà e niente andrà come lui sperava. Centrale, nella storia, è l'incontro con Rico (Dustin Hoffman, detto Sozzo), un piccolo ladruncolo italo-americano, un emarginato, claudicante ed affetto da tisi, con il quale Joe intraprenderà un percorso parallelo di perdizione e di redenzione che approderà ad un'amicizia forte e sincera.
Schlesinger punta sull'amicizia come leit motiv per un'accusa severa del sistema americano, mostrandoci la cruda disillusione delle sue false promesse, a quei tempi vera e propria fede per chi desiderava cambiare vita. Il sogno di Joe dapprima sbiadisce, fino a spegnersi del tutto a contatto con l'allucinante realtà dei sobborghi di New York, brutalmente raccontata per la prima volta in un film e a contatto con l'amico, riflesso di se stesso, simbolo di emarginazione e fallimento. La loro amicizia, nata per convenienza, si rafforza lungo il comune cammino che avrà un triste epilogo per uno di loro e l'acquisizione di una nuova consapevolezza per l'altro.

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mercoledì 4 luglio 2007

Recensione BUENOS AIRES 1977 - CRONACA DI UNA FUGA

Recensione buenos aires 1977 - cronaca di una fuga




Regia di Adrián Caetano con Nazareno Casero, Rodrigo De la Serna, Pablo Echarri

Recensione a cura di Mimmot

Dopo la morte di Juan Domingo Peron, avvenuta il 1° luglio del 1974, alla presidenza del governo argentino lo sostituisce la vedova, Maria Estella Martinez detta Isabel, la terza moglie, un'ex ballerina di non eccelse qualità e priva di qualsiasi esperienza politica.
La grossa crisi economica e sociale che da tempo attanaglia il Paese, e l'inconsistenza del governo di Isabelita favoriscono le mire golpiste di un gruppo di militari (Massera per la marina, Agosti per l'aeronautica e Videla per l'esercito, che sarà il presidente di fatto), che, il 24 marzo 1976, rovesciano il governo e assumono il potere in Argentina.
Con il pretesto di effettuare il Processo di Riorganizzazione Nazionale e di combattere il "terrorismo di sinistra", la Junta Militar instaura, a sua volta, una campagna di terrorismo di Stato, che diffonde molto più terrore di quanto ne avrebbe dovuto eliminare, costituendo il più grande genocidio della storia argentina: quello dei "desaparecidos", consumatosi senza che si diffondesse la coscienza di tale annientamento.
Salita al potere, la giunta militare dichiara lo stato di assedio, abroga i diritti costituzionali, proibisce i giornali non schierati, abolisce le organizzazioni sindacali e studentesche, chiude il Congresso ed emana la legge marziale.

Con l'obiettivo di neutralizzare i gruppi di opposizione, si utilizza la tortura come mezzo per estorcere informazioni, si applica il metodo della sparizione di massa per creare paura e diffondere il terrore, si creano centri clandestini per incarcerare detenuti illegali e si realizza un perverso sistema che consentiva il furto dei neonati delle detenute in stato di gravidanza.
Tra il 1976 e il 1983 migliaia di persone, molte delle quali semplici dissidenti o innocenti cittadini che non avevano alcun legame con il terrorismo, furono sequestrati da gruppi non identificati, caricati su vetture senza targa, torturati e poi fatti scomparire senza lasciare traccia di sé, gettati in mare dagli elicotteri in volo.
Oltre cinquecento neonati furono sottratti alle detenute e adottati dal personale militare o da famiglie vicine al regime e considerate affidabili dal punto di vista ideologico, che li registrarono come figli naturali partoriti a domicilio, per impedire alle famiglie originarie di rintracciarli. Il furto aveva lo scopo di eliminare la memoria storica dei loro genitori e la loro stessa identità.

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Recensione TRANSFORMERS

Recensione transformers




Regia di Michael Bay con Shia LaBeouf, Megan Fox, Josh Duhamel, Tyrese Gibson, John Turturro, Jon Voight, Anthony Anderson, Rachael Taylor, Michael O'Neill, Sophie Bobal, Charlie Bodin

Recensione a cura di flopinda

Era il 1984 quando per la prima volta veniva trasmessa in Italia una serie animata che sarebbe entrata non solo nel cuore delle generazioni di allora, ma anche in quelle più recenti: era "Transformers", e trattava di robot alieni dotati di vita e di intelligenza propria, in grado di mimetizzarsi sulla terra grazie alla capacità di trasformarsi in automobili, camion, navi e aerei.
Sono passati più di vent'anni da allora ma il fascino di questi personaggi è rimasto immutato, tanto da convincere due nomi più che noti nel mondo del cinema di fantascienza ad investire nel progetto della trasposizione cinematografica del cartone animato: è cosi che nasce dalla collaborazione di Michale Bay (in qualità di regista) e di Steven Spielberg (nella veste di produttore) il film più atteso dell'estate 2007, uscito nelle sale venerdì scorso e già campione d' incassi.

La storia segue a grandi linee l'idea originale: su un pianeta lontano chiamato Cybertron impazza una terribile guerra fra gli Autobots e i Decepticons, la cui posta in gioco è il futuro dell'universo. Dopo aver distrutto il loro stesso mondo, entrambi i rappresentanti dei due schieramenti si disperdono nel cosmo alla ricerca del Cubo di Energon, oggetto il cui potere supremo è quello di infondere la vita a corpi inanimati, andato perduto durante la battaglia e caduto, milioni di anni fa, sulla Terra. Proprio per inseguire tale oggetto il capo dei "villain" Megatron rimane intrappolato nel ghiaccio del Circolo Polare Artico, ibernato fino a quando un esploratore, alla fine del 1800, riattiva involontariamente le sue poche funzioni rimaste attive grazie alle quali riesce a incidere sulle lenti dell'uomo la mappa con l'ubicazione dell'Allspark.
Protagonista della storia è il discendente del suddetto esploratore, Sam Witwicky, teenager sveglio ma un po' imbranato, interpretato magnificamente dall'astro nascente Shia LaBeouf, che, non conoscendone il valore, cerca di vendere gli oggetti appartenuti al suo avo per racimolare qualche soldino con cui acquistare la tanto attesa prima macchina. Ignaro del suo ruolo, Sam si trova suo malgrado coinvolto nella guerra fra le due fazioni aliene, che nel frattempo ha raggiunto il nostro pianeta, e stringe amicizia proprio con la sua automobile, Bumblebee, una Camaro gialla (sostituta del maggiolino del cartone) incaricata di proteggerlo, e con i suoi alleati, capitanati dall'impareggiabile Optimus Prime, che in Italia si ricorda come Commander.

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