sabato 29 maggio 2010

Recensione LA NOSTRA VITA

Recensione la nostra vita




Regia di Daniele Luchetti con Raoul Bova, Riccardo Scamarcio, Luca Argentero, Luca Zingaretti, Elio Germano, Isabella Ragonese, Awa Ly

Recensione a cura di Mimmot

E così, finalmente, fatte le debite differenze, l'Italia ha il suo Ken Loach, il suo cantore del nuovo proletariato urbano: il regista Daniele Luchetti.
Fatte le debite differenze, perchè i proletari di Luchetti, diversamente di quelli di Ken Loach, hanno perso la loro identità e si ritrovano ad inseguire miti e mode di un mondo che non gli appartiene e che mai gli apparterrà; ma anche a condividere con quel mondo la fascinazione per tutto ciò che è ostentazione e mancanza di senso etico e morale. Un mondo di squali (o di caimani) con luci (poche) e ombre (molte).
Con "La nostra vita", Luchetti ha fatto il ritratto dolce-amaro di un'Italia che se ne frega delle regole, e del suo sottoproletariato urbano che vive di marginalità e sogna le contraddizioni del nostro tempo. Il ritratto di un'Italia delle scorciatoie e dei piccoli e grandi affari sporchi, che si consumano quotidianamente nell'indifferenza più assoluta; e di quegli italiani che vivono di ristrettezze e sognano il mondo che le tv (commerciali e non) dei reality show e delle soap opera gli propongono, fatto di tronisti e di veline facili, di pupe e di secchioni.
Un ritratto del paese dell'illegalità generalizzata e di noi italiani che la tolleriamo, la scusiamo e la condividiamo, di noi che identifichiamo la corsa alla ricchezza come l'unico modello esistenziale possibile, che viviamo la precarietà del lavoro e votiamo chi su quella precarietà fa la sua fortuna, promettendo miracoli e insegnando stili di vita in cui è meglio apparire che essere, che ci fa credere che gli unici obiettivi di vita sono il benessere, i soldi, le feste, le vacanze, le donne (meglio se a pagamento).
È l'Italia dei soldi che si pensano facili, dei quartieri dormitorio e dei palazzoni anonimi, dove tutto è lontano, dove restano solo gli oggetti a fare la differenza, lo status da sfoggiare: il televisore al plasma, la playstation, l'iPod, i vestiti di marca.
È l'Italia di chi non sa più indignarsi anche se non ce la fa ad arrivare a fine mese; l'Italia del grande illusionista che ha rubato trucchi, mestiere e scena ai vecchi maghi televisivi e, anche se non piega più i cucchiai, fa veri miracoli: ipnotizza milioni di persone, risolve le crisi con la forza del pensiero, appare giovane anche se è decrepito.

È l'Italia di Claudio, l'operaio trentenne che lavora nel campo dell'edilizia nella periferia romana.
Sui ponteggi di uno dei tanti palazzi in costruzione, Claudio coordina il lavoro di altri operai (in maggioranza extracomunitari che nel loro paese facevano i pediatri, e qui ci costruiscono le case), urla ordini e impartisce disposizioni. Nel privato è un uomo felice, anche se vive ai margini della vita sociale e della vita culturale. Sposato con Elena, è padre di due bambini piccoli e in attesa del terzo che deve nascere a breve. Non ha grosse risorse economiche, ma ha una moglie giovane e bella, che ama molto e da cui è riamato.
Lui ed Elena hanno una vita sessuale appagante, comprano i mobili da Ikea, amano Vasco Rossi e sognano la vacanza dei vip in Costa Smeralda. Una sopravvivenza serena che all'improvviso si spezza nella fatalità di una tragedia.
Prima muore un operaio irregolare, precipitando nella tromba dell'ascensore, il cui corpo verrà seppellito di nascosto; poi la tragedia più grossa: Elena se ne va dando alla luce il loro terzo figlio.
E per Claudio la vita diventa un inferno, una vita che gli sfugge di mano ogni giorno di più.

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venerdì 28 maggio 2010

Recensione LA MORTE E LA FANCIULLA

Recensione la morte e la fanciulla




Regia di Roman Polanski con Ben Kingsley, Stuart Wilson, Sigourney Weaver

Recensione a cura di Giordano Biagio

"La morte e la fanciulla", uscito nel 1995, è ambientato nel 1992.
Il film è tratto da un'opera teatrale del cileno Ariel Dorfman, magistralmente interpretata in Italia dallo scomparso Giancarlo Sbragia che impersonava il medico Miranda (nel film Ben Kinsley).

Le scene esterne si svolgono in un promontorio cileno che dà sull'oceano pacifico, negli interni di una villa isolata nei pressi della punta della penisola dove risiedono l'avvocato Gerardo Escobar (Stuart Wilson), responsabile di una commissione governativa per “la violazione dei diritti dell'uomo” avvenuta durante la precedente dittatura, e Pauline Escobar (una magistrale Sigourney Weaver), sua moglie, vittima di torture nel 1977, ex militante studentessa di sinistra, dissenziente da ogni regime politico totalitario.
Una sera, durante un forte temporale, l'avvocato Gerardo, di ritorno in automobile da una riunione governativa sui diritti umani da lui presieduta, fora una gomma in prossimità della sua zona di residenza e dopo aver scoperto che la ruota di scorta era bucata è costretto a fare l'autostop buttandosi, all'arrivo della prima automobile, praticamente in mezzo alla strada e fermando l'auto guidata dal medico Miranda, abitante nel suo stesso quartiere.
All'arrivo di Gerardo segue una discussione animata tra i due: Pauline è delusa dalle decisioni prese dalla commissione presieduta da suo marito perché questa, con l'avvallo del presidente Romero, ha deciso di trattare in giudizio solo quei casi legati alla morte delle vittime di torture.

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giovedì 27 maggio 2010

Recensione COPIA CONFORME

Recensione copia conforme




Regia di Abbas Kiarostami con Juliette Binoche, William Shimell, Jean-Claude Carrière, Agathe Natanson, Gianna Giachetti

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 10,0)

"Potenza della lirica, dove ogni dramma è un falso
che con un po' di trucco e con la mimica puoi diventare un altro
"
L. Dalla, "Caruso"

Lui e Lei sono separati. Ieri sarebbe stato il loro quindicesimo anniversario di nozze. Lui, inglese, è uno studioso di arte; lei, francese, un'antiquaria che vive ad Arezzo, insieme al figlio quattordicenne (di Lui?). Il caso vuole che lui si trovi a presentare un suo libro proprio ad Arezzo. Lui e Lei, dopo la conferenza, passano una giornata insieme, come una vecchia coppia, a Lucignano – uno dei borghi squisiti di cui è costellata la Toscana. Forse vogliono provare, per un giorno, di nuovo, com'è sentirsi coppia. Gioco? Tentativo di ricominciare? Lei, sembrerebbe, lo ama ancora. Ma l'originale si è perduto; il miracolo di far rivivere il passato non riesce. Lui non conserva nemmeno i ricordi. Ma forse sta mentendo, ha paura, e non vuole più stare al gioco.

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Recensione IL BOSCO 1

Recensione il bosco 1




Regia di Andrea Marfori con Coralina Cataldi Tassoni, Diego Ribon, Luciano Crovato, Elena Cantarone, Stefano Molinari

Recensione a cura di julian (voto: 3,5)

"Fuori di casa… ti aspettano le radici della paura"
tag-line del film

Molti cinefili disprezzano, ignorano o semplicemente non danno peso al lato oscuro del Cinema, offuscati dalla brillantezza e perfezione delle opere d'autore e dalla quasi fastidiosa superiorità su tutti i fronti dei classici.
E' un fatto però che un'altra buona parte, da almeno una ventina di anni, sta ritenendo degno di nota e di attenzione il fenomeno del cinema di serie B, o trash, se vogliamo essere british, produzioni a bassissimo costo, quasi sempre indipendenti, con attori non professionisti (anche se talvolta ritroviamo inspiegabilmente coinvolti in questi film nomi importanti) e soluzioni artigianali.
Un assaggio di simili "sperimentazioni" a basso costo si ebbe nei 50s con Edward Wood Junior, considerato a ragione un trash maker ante litteram, ma il fatto che la critica ufficiale lo abbia catalogato come il peggior regista di tutti i tempi può dare un'idea della considerazione che si dava allora a quell'innovativo modo di esprimersi.

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mercoledì 26 maggio 2010

Recensione L'INFERNO DI CRISTALLO

Recensione l'inferno di cristallo




Regia di John Guillermin, Irwin Allen con Steve McQueen, Paul Newman, William Holden, Faye Dunaway

Recensione a cura di peucezia

Il film uscito nel 1974 e subito tra i titoli di testa al botteghino, appartiene al cosiddetto genere "catastrofico" inaugurato a inizio decennio Settanta da "Airport".
Caratteristiche principali: lunghezza (la durata è di circa 165 minuti), eventi drammatici al limite dell'impossibile con morti e feriti ma poi conclusi con inevitabile anche se un po' amaro happy end e infine cast all stars con prevalenza di ex divi hollywoodiani in disarmo ed eventuale aggiunta di starlettes in ascesa.

"L'inferno di cristallo" (titolo originale "The towering Inferno" fusione di due diversi romanzi da cui è tratta la sceneggiatura) adempie a ogni punto soprattutto per la grande infornata di old stars: da William Holden e Jennifer Jones (qui alla sua ultima interpretazione) che si ritrovano dopo quasi vent'anni dalla loro storia d'amore cinematografica - anche se curiosamente non recitano mai insieme - al popolare ballerino Fred Astaire (prima nomination all'Oscar della sua lunga carriera).
Stringe un po' il cuore vedere la celebre Jennifer Jones ridotta a un ruolo da comprimaria, ormai maschera di se stessa, e fa sorridere Robert Wagner futuro interprete di una divertente serie giallorosa nel ruolo di un dirigente un po' playboy e scarsamente brillante.

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martedì 25 maggio 2010

Recensione ADAM

Recensione adam




Regia di Max Mayer con Hugh Dancy, Rose Byrne, Amy Irving, Peter Gallagher, Frankie Faison

Recensione a cura di Mimmot

La sindrome di Asperger è una variante dell'autismo, appartenente alla categoria dei disturbi pervasivi dello sviluppo, e si caratterizza principalmente per le grosse difficoltà nelle relazioni sociali e nella presenza di interessi molto circoscritti per intensità e tipologia, che le persone affette da tale patologia presentano.
Pur essendo accumunata all'autismo, in realtà le persone con sindrome di Asperger non presentano ritardi intellettivi e linguistici, tipici dell'autismo classico. Al contrario, i soggetti che soffrono di questa patologia presentano capacità razionali molto sviluppate o superiori alla norma, anche se circoscritte a pochi o ad un solo argomento, spesso insolito per le altre persone, a cui si dedicano con dedizione quasi maniacale e impegno ossessivo. Presentano inoltre grosse difficoltà nella comprensione dei linguaggi non verbali e delle situazioni sociali, con conseguente tendenza ad affrontarle in modo rigido e stereotipato; capacità empatica molto ridotta, uso peculiare del linguaggio, a cui spesso si aggiunge un certo impaccio motorio ed un ritardo ad acquisire alcune abilità manuali (come andare in bicicletta, stappare una bottiglia, allacciarsi le scarpe, ecc).
La sindrome risulta essere molto più diffusa tra i maschi che tra le femmine e, secondo alcune convinzioni molto diffuse, si ritiene sia la patologia dei geni, perchè si reputa ne soffrissero personaggi come Mozart, Einstein, Newton, Darwin e parzialmente lo stesso Bill Gate (per sua ammissione), anche se, ovviamente, non si hanno notizie certe al riguardo, in quanto la sindrome di Asperger è stata introdotta nel manuale diagnostico solo nel 1994, e i clinici hanno cominciato ad a riconoscerne i sintomi e a promuoverne interventi solo a partire da quella data.

Di una lieve forma della sindrome di Asperger soffre Adam Raki, il protagonista della pellicola, che prende il suo nome, scritta e diretta da Max Mayer, che racconta la storia di questo ragazzo quasi trentenne di New York, bello, intelligente, gentile, tenero, ma goffo e impacciato.
A prima vista parrebbe una persona normalissima (è un brillante ingegnere elettronico, anche se lavora in una fabbrica di giocattoli) con una forte passione per l'astronomia (ha costruito un planetario nel suo salotto e spesso ama indossare la tuta da astronauta). E invece è goffo, insicuro, ha profonda difficoltà a instaurare relazioni sociali, non guarda mai negli occhi i suoi interlocutori, non riesce ad entrare in sintonia con la gente, non riesce a decodificare i messaggi non verbali né a capire e trasmettere emozioni e ad agganciarsi alla realtà.
Il problema principale di Adam è che non riesce a capire cosa pensino gli altri, ovvero non riesce a capire il senso recondito di un discorso se gli altri non lo esplicitano apertamente; è incerto e imbranato ma anche terribilmente sincero, come se gli mancasse il comune "buon senso", tale da non permettergli una vita "normale", qualunque significato possa assumere questo termine.
Dopo la morte dei genitori (specialmente del padre, che costituiva il suo principale punto di riferimento), vive praticamente da solo nel suo appartamento in un condominio di Manhattan. Ha un unico e solo amico, Harlan, un omone di colore che lo aiuta e si prende cura di lui con dedizione e calore umano.

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Recensione SILENI

Recensione sileni




Regia di Jan Svankmajer con Pavel Liska, Jan Triska, Anna Geislerová

Recensione a cura di Zero00 (voto: 9,5)

Sileni è una parola ceca che significa delirio, pazzia.
I Sileni sono figure mitologiche della Grecia antica, divinità dei boschi lascive e selvagge, molto spesso associate ai satiri e legate al culto di Dioniso e Pan.
Non ultimo, "Sileni" è il titolo del quinto lungometraggio del regista ceco Jan Svankmajer, artista praticamente sconosciuto alle masse, nato a Praga nel lontano 1934 e totalmente snobbato dai circuiti cinematografici e home video d'Europa.

Girato nel 2005, questo film è la storia di Jean Berlot, giovane affetto da turbe psichiche, che al ritorno dal funerale della madre si imbatte in uno strambo nobiluomo francese, un Marchese che lo invita a passare la notte nel suo castello.
Lì il giovane si troverà a vivere esperienze stranianti e blasfeme, tra messe nere, orge, fino ad arrivare agli strani esperimenti del Marchese nell'esercizio del controllo della paura e alle teorie di uno psichiatra che crede nella totale libertà dei pazienti all'interno del proprio istituto. Il tutto intramezzato da scenette in stop motion, con come protagonisti pezzi di carne di animale.

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lunedì 24 maggio 2010

Recensione DRAQUILA - L'ITALIA CHE TREMA

Recensione draquila - l'italia che trema




Regia di Sabina Guzzanti con Sabina Guzzanti

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 8,0)

Certo, chi si reca a vedere l'ultimo docufilm di Sabina Guzzanti pensa di sapere già cosa lo aspetta e crede di scoprire nulla di nuovo, chi invece detesta la comica non ci penserà proprio a visionare la pellicola. E allora? Allora sarebbe utile seguire attentamente il film, invece, perché chi pensa di sapere già tutto troverà la conferma del detto "non c'è limite al peggio" e chi rifiuta aprioristicamente il film avrà la possibilità di valutare gli avvenimenti dell'ultimo anno da una prospettiva non così faziosa come si aspetta.

Si, perché Draquila è un film diverso dagli ultimi due lavori della Guzzanti, Viva Zapatero e Le ragioni dell'aragosta, nei quali il sarcasmo graffiante della regista mascherava la personale urgenza di denunciare una soperchieria, di sottolineare la subdola restrizione alla libertà di espressione. Restrizione che nel 2003 l'aveva duramente colpita con la chiusura del suo ultimo programma televisivo Raiot e che negli anni successivi aveva fatto altre vittime illustri.

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Recensione BIG DADDY - UN PAPA' SPECIALE

Recensione big daddy - un papa' speciale




Regia di Dennis Dugan con Cole Sprouse, Jon Stewart, Joey Lauren Adams, Adam Sandler

Recensione a cura di foxycleo (voto: 7,0)

Questa è la storia del trentenne Sonny Koufax, una storia non troppo originale, perché dai tempi del cinema muto e in bianco e nero ci sono state raccontate numerose vite di uomini adulti, single ed egoisti, che grazie a una serie di fortuite circostanze cambiano il proprio modo di essere senza affrontare insormontabili difficoltà.
Quindi cos'ha questo film di particolare per cui merita di essere visto? Niente di particolare. È una commedia lineare con una trama sintetizzabile in sole due righe di un foglio Word, ma non per questo la visione è sconsigliata. Spesso il puro intrattenimento diverte e fa sentire bene, fa trascorrere novanta minuti di spensieratezza e di risate e ancor più spesso ci si può trovare in empatia con i protagonisti senza aspettarselo.

Sonny sta vivendo una prolungata adolescenza con tanto di padre assillante che non manca di ricordargli la sua età e il fatto che sia ancora un peso sia per la società sia per la propria famiglia d'origine, rimarcando le scarse doti organizzative del figlio e la sua totale mancanza di senso di responsabilità.
Nel suo loft cosparso di pile di custodie di videogiochi, di contenitori vuoti di cibo take away, dvd, cd e di lattine di birra Sonny si sente bene, così com'è felice di lavorare come casellante un solo giorno la settimana. Questo trentenne non avverte sicuramente la smania della società contemporanea che porta a cercare di essere il più utile possibile, il più sfruttabile possibile con la minaccia di diventare un cittadino di serie B se non impegnato sufficientemente. La sua vita sembra un bel luna park da cui nessuno avrebbe voglia di scendere; ma un giorno accade un incontro fatale e non con una donna...
Un bambino suona al suo campanello, stringe in mano una lettera in cui c'è scritto che il suo nome è Julian e che il coinquilino di Sonny, Kevin, è il padre del piccolo. Quest'ultimo dovrà prendersi cura di lui poiché la madre è deceduta, alternativamente può prendere contatto con l'assistente sociale Arthur Brooks per trovare una sistemazione al bambino di cinque anni. Kevin, il padre naturale di Julian, è in partenza per un viaggio di lavoro in Cina, oltre ad essere prossimo alle nozze con la fidanzata Corinne. In tale frangente Sonny decide nell'immediato di telefonare all'assistente sociale, ma essendo il Columbus Day l'ufficio risulta chiuso; l'unica soluzione è quindi quella di occuparsi, almeno per ventiquattro ore, di Julian. In seguito Sonny riuscirà a prendere contatto con Arthur Brooks, ma essendosi divertito con il bambino si fa credere il padre biologico di Julian e afferma di volersene occupare. Questi giorni in cui questa strana coppia andrà a scuola con vestiti improbabili, canterà ciclicamente la canzone del canguro e si divertirà al parco in maniera certamente originale e non priva di conseguenze, saranno più educativi e rilevanti per l'adulto che per il bambino. Infatti Sonny svelerà a se stesso prima e agli altri poi la sua voglia di stabilire una relazione duratura nella vita, di entrare davvero in contatto con un altro essere umano e di volersene occupare. Sente finalmente di non essere più intimorito dalle responsabilità e di non essere nemmeno tanto dissimile dai suoi amici che ogni giorno affrontano la vita con qualche preoccupazione in più di lui, ma anche con soddisfazioni di altra natura da quelle che Sonny abitualmente ha sperimentato. Da questo punto parte la vera formazione del protagonista come uomo che si fa carico delle conseguenze delle proprie scelte e delle proprie azioni, facendo entrare nel suo mondo nuove persone.

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venerdì 21 maggio 2010

Recensione THE ROAD

Recensione the road




Regia di John Hillcoat con Viggo Mortensen, Charlize Theron, Robert Duvall, Guy Pearce, Molly Parker, Garret Dillahunt, Michael K. Williams, Bob Jennings, Jack Erdie, Brenna Roth

Recensione a cura di kowalsky (voto: 6,0)

"Quando si svegliava in mezzo ai boschi nel buio e nel freddo della notte allungava la mano per toccare il bambino che gli dormiva accanto. Notti più buie del buio e giorni uno più grigio di quello appena passato. Come l'inizio di un freddo glaucoma che offuscava il mondo".
("The road", Corman McCarthy)

Il cinema fatica ogni volta di più a rappresentare il nostro immaginario ed a concretizzarlo nelle paure ataviche di una profezia futura. Sembra arrendersi all'evidenza, all'impossibilità di creare uno spazio, una lettura inedita, anche attraverso le minacce - sempre meno improbabili - dell'universo letterario.
Il cinema contemporaneo sembra complice di una maschera, per cui, per quanto discutibile, il volto divistico di Will Smith nella recente versione cinematografica di un classico Mathesoniano ("Io sono leggenda") assiste inerme alla fine definitiva del blockbuster classico, consegnato ai posteri di una tangibile prospettiva "umana".
"The road" non è forse soltanto la "cartolina inerte di un'apocalisse prossima ventura", come ha duramente giudicato Paolo Mereghetti sul "Corriere", ma travisa lo spirito di un romanzo universale come quello di McCarthy oltre che deludere le tante aspettative della critica e degli spettatori.
Il "viaggio" di un uomo e di suo figlio davanti alle macerie di un mondo perduto, di una civiltà distrutta e senza speranza, non può e non deve ridursi all'aspetto iconografico di uno scenario apocalittico di una certa suggestione visiva (l'ottima fotografia di Xavier Aguirre, così scarna e sommessa, così sinistra e placidamente terrificante!).
Hillcoat affonda nelle pieghe del bellissimo romanzo di McCarthy senza lasciare traccia: l'eterna e inesorabile sopravvivenza (e lotta contro o in favore di ogni anelito di speranza) dei due protagonisti sembra essa stessa denutrita dalle ambizioni mccarthiane, che osava sfidare ogni regola sconfinando l'atrocità del mondo distrutto nei territori della fede perduta (Cristologica, forse), del plausibile assassinio di un padre verso il proprio figlio, dell'amore che annienta la morte, della separazione "divina" con la sacralità della famiglia, del terribile dramma umano dell'Uomo che non riconosce più il senso della propria esistenza, nè il suo habitat naturale ("Forse per la prima volta capì che ai suoi occhi lui era un alieno. Un essere venuto da un pianeta che non esisteva più").

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Recensione ADDICTED

Recensione addicted




Regia di Park Young-hoon con Lee Byung-hun, Lee Mi-yeon

Recensione a cura di Francesca Caruso

"Addicted" segna il debutto alla regia cinematografica del coreano Yeoung-hoon Park. Il film è molto interessante ed emozionante, tanto da indurre nuovamente la macchina da guerra hollywoodiana a farne un remake tutto americano.

"Addicted" sviluppa la relazione familiare che intercorre tra Ho-jin, Eun-soo, sua moglie, e il fratello minore di lui, Dae-jin, che vive in perfetta armonia con la coppia. La vita trascorre idillicamente. Ho- jin è un artigiano del legno e sta mettendo a punto una mostra dei suoi lavori per presentarli al pubblico. Eun-soo è un'organizzatrice di eventi, quali concerti e sfilate di moda. Dae-jin è un pilota nelle manifestazioni sportive di circuito. La coppia è molto innamorata e quotidianamente, con piccoli gesti, rinnovano il loro amore, si prendono cura l'uno dell'altra e, al tempo stesso, di Dae-jin, il quale, di contro, sembra non essere interessato ad avere una fidanzata e formare una famiglia. Il pilota partecipa al 3° Campionato di Motori Coreano, ma il giorno della gara accade un duplice incidente automobilistico, mentre Dae-jin rimane coinvolto in un incidente sulla pista, il fratello Ho-jin viene travolto da un camion sulla strada che lo sta conducendo al circuito automobilistico. Entrambi finiscono in coma. Dopo qualche giorno Eun-soo viene rintracciata al telefono dall'ospedale per informarla che uno dei due uomini ha ripreso conoscenza. Chi si risveglia è Dae-jin, debole e confuso. I problemi cominciano dal momento in cui Dae-jin inizia ad agire nel modo in cui soleva fare Ho-jin: prepara la cena a Eun-soo, le fa trovare pronto sul ripiano del lavandino lo spazzolino da denti col dentifricio sopra, lavora nel capanno completando i lavori di Ho-jin e dice alla donna cose che solo suo marito poteva conoscere. Infine, e non è di poco conto, Dae-jin afferma di essere Ho-jin. Questo sconvolge la vita di Eun-soo, che non crede possibile che lo spirito del marito si trovi nel corpo del cognato. La donna è persuasa che l'uomo abbia subito un trauma. Il tempo passa inesorabile ed Eun-soo si convice che l'uomo che ha di fronte sia l'amato marito Ho-jin. Un segreto taciuto fino all'inverosimile rivelerà la verità.

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giovedì 20 maggio 2010

Recensione PIACERE, SONO UN PO' INCINTA

Recensione piacere, sono un po' incinta




Regia di Alan Poul con Jennifer Lopez, Alex O'Loughlin, Danneel Harris, Eric Christian Olsen, Anthony Anderson, Noureen DeWulf, Michaela Watkins, Melissa McCarthy, Tom Bosley, Jennifer Elise Cox, Linda Lavin, Adam Rose, Carlease Burke

Recensione a cura di Mimmot

"Sei il mio miglior amico, non vuoi aiutarmi? Non dobbiamo fare sesso, mi basta il tuo sperma"

La prima impressione che si ricava dalla visione di "Piacere, sono un po' incinta" è di sorpresa. Sorpresa perchè l'osceno e fuorviante titolo italiano induce a credere si tratti di una boiata, una sorta di cinepanettone o meglio (vista la stagione) di cinecocomero in salsa americana. E invece non è così, perchè il film del debuttante Alan Poul è una piacevole sorpresa, una commedia rosa brillante e gradevole, attuale e leggera, dai toni ora ironici ora marcatamente satirici, nei confronti del desiderio di maternità che prende molte donne, e delle loro solitudini, che le porta a ricorrere all'inseminazione artificiale pur di soddisfare il desiderio di avere un figlio, anche in mancanza del partner ideale.
Certo non si tratta di un film memorabile, uno di quei film quelli destinati a passare alla storia e neppure a diventare patrimonio dell'umanità, ma siamo in presenza di una commedia che ha una sua dignità formale e un impianto classico in puro stile hollywoodiano.

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mercoledì 19 maggio 2010

Recensione ROBIN HOOD

Recensione robin hood




Regia di Ridley Scott con Russell Crowe, Cate Blanchett, Scott Grimes, Kevin Durand, Mark Strong, Alan Doyle, Matthew Macfadyen, Danny Huston, William Hurt, Max von Sydow, Oscar Isaac, Eileen Atkins, Léa Seydoux, Bronson Webb, Robert Pugh

Recensione a cura di Fulvio Baldini aka peter-ray

A distanza di quasi vent'anni dall'ultima rappresentazione cinematografica del famigerato arciere fuorilegge, Ridley Scott ha sentito la necessità di girare un altro film che ritraesse le gesta di questo nobile ladro, figura per metà storica e per metà leggendaria, ma la domanda che tutti si sono posti è: c'era bisogno davvero di un altro Robin Hood?

Recitato dall'ormai consolidato e fedele Russel Crowe, Robin Longstride (Hood), arruolato come arciere nell'esercito di Riccardo Cuor di Leone, inizia a scrivere la propria leggenda grazie alla morte dello stesso Re sul campo di battaglia. I soldati incaricati di riconsegnare la corona alla regina d'Inghilterra vengono sorpresi e uccisi in un'imboscata in territorio francese; trovandosi nel mezzo, Robin e i suoi tre compagni riescono a mettere in fuga il nemico. Un soldato del Re di nome Robert Loxely chiede a Robin di riportare la sua spada al Padre nella città di Nottingham. In segno di rispetto per l'uomo che gli stava morendo tra le braccia, Robin promette di riconsegnare la spada, ma le sue vere intenzioni sono quelle di approfittare della situazione per ritornare incolume in Inghilterra insieme ai suoi compagni di crociata.
Spacciandosi per i soldati del Re e in possesso della sua corona, diviene un gioco da ragazzi avere libero accesso alle navi che li avrebbero riportati in patria, ma durante il viaggio Robin nota delle scritte sull'impugnatura della spada di Robert che lo turbano, e sente di conseguenza il bisogno di seguire il suo istinto che gli suggerisce di non sfidare troppo la fortuna e di mantenere la promessa fatta a Robert, mettendosi in cammino per la città di Nottingham al fine di riconsegnare la spada a suo padre.

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