mercoledì 30 novembre 2011

Recensione TOWER HEIST: COLPO AD ALTO LIVELLO

Recensione tower heist: colpo ad alto livello




Regia di Brett Ratner con Ben Stiller, Eddie Murphy, Matthew Broderick, Casey Affleck, Téa Leoni, Michael Peña, Gabourey Sidibe, Alan Alda, Judd Hirsch, Nina Arianda

Recensione a cura di pompiere (voto: 8,0)

"Ho sempre avuto un sentore misto a fascino e repulsa per il gioco degli scacchi. Infervorato dalle regole, ho creduto di poter naturalmente ambire a risultati strabilianti muovendo quegli adorabili pezzi da una casella all'altra, superando il mio avversario con sistematica abilità. E invece... non avevo fatto i conti con la complessità e gli intrecci delle mosse possibili e ho finito per perdere pedoni in gran quantità, e poi torri, alfieri, cavalli. Una disfatta dopo l'altra. Ma, e di questo sono fiero, ho sempre difeso la regina a spada tratta. Non l'avrei mai sacrificata, per niente al mondo. Solo adesso mi rendo conto che, per vincere la partita, avrei potuto benissimo immolarla".

Josh Kovacs (Ben Stiller) e Arthur Shaw (Alan Alda) giocano a scacchi online. Il primo stira i panni da solo e macina il caffè alla mattina, il secondo nuota in una piscina coi dollari (vedere per credere) ed è il proprietario di un attico spaziale: un alloggio di lusso in quel di New York per un magnate della finanza, all'interno di una "Tower" (chiamata nel film "La Torre") che affitta e vende abitazioni, e che mette al servizio dei clienti personale qualificato e devoto. Una mattina qualcuno tenta di rapire il signor Shaw. Ed è da questo punto che prende il via una delle più avvincenti partite a scacchi cinematografiche.
Ci sono almeno due "coppie" all'interno del film: quella tra Stiller (direttore del personale del grattacielo) e Alan Alda (il suo capo), e quella tra lo stesso Stiller e il redivivo Eddie Murphy, nei panni di un delinquente senza quei sorrisi perseveranti da "Beverly Hills Cop".
Entrambe trovano il loro giusto equilibrio, tra le esigenze di una miccia narrativa attendibile e una sospensione di incredulità da action comedy. Numerose e incalzanti inquadrature ci catapultano in un gradevole intreccio che oscilla tra la risata più pura in stile sitcom (battute improvvise accompagnate da appariscenti gesti attoriali) e necessarie prove di abilità psicofisiche, cucite addosso a personaggi più che ordinari.

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Recensione L'UOMO CHE SAPEVA TROPPO

Recensione l'uomo che sapeva troppo




Regia di Alfred Hitchcock con James Stewart, Doris Day, Brenda De Banzie, Bernard Miles, Ralph Truman, Daniel Gélin, Mogens Wieth, Christopher Olsen, Reggie Nalder, Carolyn Jones

Recensione a cura di antoniuccio (voto: 10,0)

"A single crash of cymbals and how it rocked the lives of an American family".

Benjamin e Jo McKenna sono una coppia di americani in viaggio con il loro piccolo Hank. Lui è un chirurgo dell'ospedale del Buon Samaritano a Indianapolis, lei è la famosa Jo Conway, una cantante di musical che ha lasciato il palcoscenico per formare famiglia. Approfittando di un convegno a Parigi, la famigliola coglie l'occasione per visitare un po' di Europa e di paesi del Mediterraneo, giungendo prima a Casablanca e poi a Marrakech in Marocco.

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martedì 29 novembre 2011

Recensione THE LIMITS OF CONTROL

Recensione the limits of control




Regia di Jim Jarmusch con Bill Murray, John Hurt, Tilda Swinton, Gael García Bernal, Isaach De Bankolé, Paz de la Huerta

Recensione a cura di K.S.T.D.E.D.

Ennesima pellicola di Jim Jarmusch ed ennesima conferma di quella creatività rivolta all'atipico che caratterizza e rende particolarmente riconoscibile il suo cinema.
Questa volta, tuttavia, la differenza è sostanziale. La pellicola non solo propone storie e personaggi per l'appunto atipici, ma propone un'atipicità cosciente di sé, la rende protagonista quale fulcro di una sceneggiatura rigorosamente singolare. Un Jarmusch che parla di se stesso e del proprio cinema, in un prodotto che si pone al tempo stesso come atto d'accusa, difesa e sfogo.

Un uomo (Isaach de Bankolé), in un bagno d'aeroporto, effettua esercizi di rilassamento e meditazione. Quest'uomo ne incontra altri due, di cui uno è un interprete. Gli viene descritto un qualche tipo di lavoro, ma con frasi e modi tra i quali si fa fatica a scorgere quella logica che il protagonista, tuttavia, sembra afferrare, seppur in un modo tutto suo.
Questo è l'inizio del film, non si può aggiungere molto altro, non perché si rischierebbe di svelare troppo ma semplicemente perché non c'è nient'altro da aggiungere.

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lunedì 28 novembre 2011

Recensione IL MURO DI GOMMA

Recensione il muro di gomma




Regia di Marco Risi con Antonello Fassari, Laura Rossi, Ivo Garrani, Angela Finocchiaro, Corso Salani

Recensione a cura di Giordano Biagio

Il 27 giugno del 1980 alle ore 20,59, l'aereo DC-9-Itavia, con la sigla di volo HI 870 impiegato nella tratta di linea Bologna-Palermo, precipita tra Ustica e Ponza, nel mar Tirreno, con 81 persone a bordo. Nessuno sopravvivrà al terribile impatto.
A 31 anni dall'evento le cause della tragedia rimangono in buona parte misteriose. Il lavoro delle varie commissioni d'indagine e della magistratura, svolto dal 1980 in poi, non è approdato ad alcuna certezza. Non si è andati oltre qualche ipotesi, a volte sostanziosa, in altri casi labile. Le congetture più fantasiose sono state frutto dei numerosi depistamenti delle indagini messi in atto da personaggi oscuri legati a poteri politici e militari di origini anche internazionale.

Le ipotesi più note sono tre:
1) cedimento strutturale dell'aereo per probabile corrosione della struttura di base, causata da sale marino: un logoramento dei metalli di sostegno principale dell'aereo avvenuto presumibilmente quando il DC 9 veniva usato per il trasporto di prodotti ittici.
2) Una battaglia in cielo tra caccia di diverse nazioni, Libia, Francia, Stati Uniti, con possibile lancio per errore di un missile aria-aria nella direzione sbagliata che impatta casualmente sul DC 9, transitante in quel momento nelle vicinanze della zona di combattimento.
3) Uno scontro accidentale ma fatale tra l'aereo dell'Itavia e un caccia straniero.
L'ultima sentenza della magistratura è recente, del 10 Settembre 2011, competente la Procura di Palermo: riguarda il processo per una causa civile.
Il verdetto dei giudici è sorprendente, essi decidono la condanna del Ministero dei Trasporti e della Difesa a un risarcimento alle vittime di 100 milioni di Euro, con la motivazione che i due organi di governo si sono dimostrati negligenti nella prevenzione del disastro. Il cielo, che quella sera aveva un intenso traffico aereo, non era stato controllato a dovere dai radar italiani, sia civili che militari, in parte spenti o mal funzionanti. Inoltre i due ministeri, così come viene scritto nella sentenza, risultano colpevoli di aver ostacolato, in diverse occasioni, le indagini della magistratura.

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venerdì 25 novembre 2011

Recensione LA CANZONE DI CARLA

Recensione la canzone di carla




Regia di Ken Loach con Robert Carlyle, Oyanka Cabezas, Scott Glenn, Salvador Espinoza

Recensione a cura di Mimmot

Dopo essere stato per anni il cantore appassionato dei proletari britannici, dopo aver narrato con grande partecipazione la guerra civile che nel 1936 insanguinò la Spagna, con "La canzone di Carla" Ken Loach rivolge la sua attenzione al Nicaragua e alla guerra che negli anni '80 oppose i Contras ai Sandinisti che, in seguito ad una rivoluzione popolare, avevano instaurato nel paese un sistema di ispirazione marxista.
Una guerra intestina fomentata dagli USA e dal loro braccio armato, la CIA, che appoggiava, attrezzava e addestrava i Contras nelle loro azioni di repressione, anche fra la popolazione civile, allo scopo di rimettere in piedi, perfino con un colpo di Stato, un governo locale collaborazionista gradito alle amministrazioni americane.
Naturalmente Ken Loach è dalla parte dei Sandinisti, naturalmente è dalla parte di un popolo che ha cercato di liberarsi da una pesante dittatura, naturalmente è dalla parte degli uomini e delle donne martoriati da una dura repressione a cui, in nome di un anticomunismo viscerale, si vuole imporre una "democrazia" che puzza di dollari e cocaina. Naturalmente è dalla parte di un paese che Pentagono e CIA, con il beneplacito della Casa Bianca, vogliono trasformare in un inferno asservito agli interessi grandi multinazionali americane.

La cinematografia hollywoodiana ha tentato varie volte di trattare il tema della situazione politica nell'America Latina e di tutto ciò di orrendo che capitava (o capita?) in quella parte del continente americano (colpi di stato, stragi di oppositori, desaparecidos, squadroni della morte, torture della polizia e dei corpi paramilitari), edulcorando la verità o non dicendola completamente, che è quella di un intero continente asservito totalmente alla politica USA e agli interessi delle grandi multinazionali di quel paese, traffico di stupefacenti compreso.
Anche film più impegnati come "Salvador" di Oliver Stone o "Romero" di Duigan, dove non si nascondono i rapporti tra CIA, Pentagono e Governi locali collaborazionisti (in genere frutto di colpi di stato d'ispirazione filoamericana) partono dalla premessa che quei rapporti, prettamente di natura locale, sono frutto di strategie di lotta al comunismo.
E invece "La canzone di Carla" quella verità la dice.
Dice che gli avvenimenti che negli anni '80 insanguinarono il Nicaragua non furono spontanei fenomeni locali di destra, di opposizione ad un governo comunista, ma creature esclusive dell'establishment capitalistico americano, da sempre timorosa dell'influenza dei comunisti sulla società statunitense e americana in genere.
"La canzone di Carla" la verità sui fatti accaduti in Nicaragua la dice, forse perchè non è un film hollywoodiano, o forse perchè regista, produttori, sceneggiatore e attori non temono il boicottaggio americano e le ritorsioni della USIA (United States Information Agency - Agenzia Federale USA di controllo della cinematografia, creata nel 1954 dal governo Eisenhower), forse perchè gente intellettualmente onesta che crede nella forza delle sue idee e non ha paura di manifestarle.

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giovedì 24 novembre 2011

Recensione MIRACOLO A LE HAVRE

Recensione miracolo a le havre




Regia di Aki Kaurismaki con André Wilms, Kati Outinen, Jean-Pierre Darroussin, Elina Salo, Evelyne Didi, Quoc Dung Nguyen

Recensione a cura di paul (voto: 9,0)

Miracolo Kaurismaki. A 4 anni da "Le luci della sera" il regista finlandese torna sul grande schermo, e lo fa da grande Maestro.
Marcel Marx, un ex scrittore bohemmienne che ora fa il lustrascarpe, vive in un quartiere popolare di Le Havre, nord della Francia, insieme alla moglie Arletty e la cagnetta Laika.
Un giorno casualmente incontra Idrissa, un ragazzino di colore giunto clandestinamente in Francia attraverso un container e scappato dai controlli della polizia. Marcel, nonostante le ingenti difficoltà economiche, si promette di far arrivare Idrissa in Inghilterra, dove vive la madre.Nel frattempo però deve affrontare anche l'improvvisa malattia della moglie.

"Miracolo a Le Havre" è una favola dickesiana, ma anche stile Frank Capra (e che cita, già dal titolo, "Miracolo a Milano", indimenticabile film sui barboni meneghini Palma d'oro a Cannes nel 1951): non solo nei contenuti, ma anche nella delineazione della storia, seppure il riferimento dostojevskiano non manca mai.
I poveri cristi, gli ultimi, i perdenti: è da loro che può ripartire la società. La "società delle formiche" prevista più volte da Ingmar Bergman, forse avrà già attecchito nel nostro Occidente, ma tra le classi più abbienti, non tra i poveri.
E' non è un caso che Kaurismaki ambienti la storia in Francia: "Libertè! égalité! fraternité!". Forse i primi due motti non sono espressi nel racconto, ma il terzo di sicuro.

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Recensione TROLL 2

Recensione troll 2




Regia di Claudio Fragasso con Michael Stephenson, Connie McFarland, George Hardy, Margo Prey, Robert Ormsby, Deborah Reed

Recensione a cura di Edgar Allan Poe (voto: 7,5)

Spesso le scoperte scientifiche avvengono per caso. E' ben più raro, però, che un bel film si faccia per caso. "Troll 2" è uno di questi.

Scritto dalla coppia Claudio Fragasso-Rossella Drudi, è un horror abbastanza strano e molto artigianale.

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mercoledì 23 novembre 2011

Recensione HEIMAT

Recensione heimat




Regia di Edgar Reitz con Dieter Schaad, Michael Lesch, Gertrud Bredel, Marita Breuer

Recensione a cura di elio91 (voto: 9,5)

Potremmo ridurre il significato della parola tedesca" Heimat" in italiano con Patria. In realtà è qualcosa di ben più profondo e significativo di un sentimento patriottico: scava a fondo nelle radici, nel senso di comunità. È il luogo nativo da cui tutti partono e in cui tutti, irrimediabilmente e senza eccezioni, ritornano.

È anche il nome di una delle opere più imponenti di sempre del cinema tedesco, pensata, scritta e diretta da Edgar Reitz. Un film diviso in tredici parti che affronta la storia della Germania dal 1919 al 1982 attraverso la vita di un paesino dell'Hunsruck di nome Schabacch, paese inventato, anche se dalle origini profonde nella biografia di Reitz, che da un posto simile è partito per Monaco ad iniziare la sua carriera di regista.
Certo, strutturare qualcosa di tanto complesso richiede tempo e bravura: ambizioso fino all'inverosimile per quello che vorrebbe rappresentare, il film dura quasi ben 16 ore suddivise in 13 capitoli.
Attenzione però a non confondere lo stile di "Heimat con quello di una qualsiasi serie tv dei giorni nostri, in quanto è cinema allo stato puro che non ha paura di sperimentare: dal bianco e nero che passa al colore, fino alle musiche splendide e sperimentalii di Mamangakis), Reitz riesce a dettagliare gli episodi, rendendoli quasi autoconclusivi, ma, in quanto capitoli di un romanzo più vasto, vanno ovviamente intesi nell'opera d'insieme. E non deve stupire questo riferimento alla letteratura, se lo stesso regista ha affermato più volte di aver preso spunto da essa per concepire questo suo progetto.

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martedì 22 novembre 2011

Recensione LE AVVENTURE DI TINTIN: IL SEGRETO DELL'UNICORNO

Recensione le avventure di tintin: il segreto dell'unicorno




Regia di Steven Spielberg con Daniel Craig, Cary Elwes, Jamie Bell, Simon Pegg, Andy Serkis, Nick Frost, Tony Curran, Mackenzie Crook, Toby Jones, Daniel Mays

Recensione a cura di JackR

"Le Avventure di Tintin - Il Segreto dell'Unicorno" è un film che solleva nello spettatore più accorto molti dubbi e lo obbliga sostanzialmente a considerare la propria opinione su vari aspetti della tecnica cinematografica contemporanea e dell'industria del film in generale, prima di emettere un giudizio.
Steven Spielberg, Peter Jackson, il 3D, l'animazione, la performance capture, l'opera originale di Hergè, i compromessi delle trasposizioni in film di opere concepite per altri media: solo una riflessione su ciascuno di questi aspetti, presi uno per uno, consente di formulare un giudizio su un film che nasce dalla loro convergenza e che offre un'occasione più unica che rara per analizzare lo stato del cinema di intrattenimento, in particolare quello americano. Anticipando la conclusione della nostra riflessione, "Le Avventure di Tintin" è un capolavoro mancato, perchè, sebbene quasi ineccepibile dal punto di vista tecnico, sostanzialmente non cerca la chiave per risuonare in tutte le fasce di pubblico.
E' un film per ragazzi: non per cinefili, non per spettatori occasionali, forse nemmeno (necessariamente) per fan del fumetto.

Andiamo in ordine cronologico: i fumetti di Hergè. Pubblicati tra il 1929 ed il 1986, i ventitré libri (più uno incompleto) di Tintin hanno venduto centinaia di milioni di copie e sono stati tradotti in decine di lingue, dando luogo a diverse trasposizioni radiofoniche, animate e cinematografiche prima di quella di Spielberg, oltre che a numerosi studi letterari e qualche polemica (sterile) sul presunto razzismo di Hergè per la sua rappresentazione spesso ingenua delle altre culture.

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lunedì 21 novembre 2011

Recensione I DIABOLICI

Recensione i diabolici




Regia di Henri-Georges Clouzot con Véra Clouzot, Paul Meurisse, Simone Signoret, Michel Serrault, Charles Vanel

Recensione a cura di Ciumi (voto: 8,0)

A fondo di quell'acque, torbide, gelide, chiuse, fisse ad affogare la prima inquadratura, cosa, che in superficie pare quasi sardonico brilli, ribollisce, che non aggalla? La musica, lì si esaurisce. Abbandona le immagini. Sino ai titoli di coda; dove, solo allora, riemergerà, come avendo trattenuto il respiro, impotente e siccome soffocata.
Il tema dell'acqua scorre per tutto l'arco del film, ma caustico, aridamente. Nei suoi innumerevoli travasi, nei suoi gonfiori improvvisi, nei suoi corsi sotterranei; simbolo di quel ciclo oscuro che, attraverso vasi segreti, i nostri sentimenti comanda. Ne fa parte quella metafora fulminea: la barchetta di carta in una pozzanghera lasciata a galleggiare da un qualche bambino, schiacciata dall'automobile di lui che torna, nel cortile del collegio. Ci introduce al pessimismo misantropico dell'opera e del suo autore.

Appena un anno dopo l'uscita di un altro vertice nella filmografia del regista, "Vite vendute", Clouzot nel 1954 firma quello che oggi rimane probabilmente il più noto dei suoi film, tratto dal romanzo "Les diaboliques. Celle qui n'était plus" di Pierre Boileau e Thomas Narcejace, e che gli varrà l'appellativo di "Hitchcock francese"...
Lo stile sobrio, ma non per questo privo d'invenzioni registiche, in contrasto con la torbidezza degli argomenti trattati, è notevole per la capacità con cui l'autore sa creare un clima di suspense che, in queste due opere, passa dal genere avventuroso al thriller. Come anche notevoli sono la modulazione dei tempi narrativi, non sempre convenzionali agli schemi classici, e la direzione degli attori, la caratterizzazione dei personaggi o la precisione con cui vengono curati i dialoghi. Ma al cospetto di tali aspetti tecnici non riusciamo a non considerare come primo ciò che vi sta alla base, i greti che dietro a essi si sollevano, i ruvidi deserti morali ed esistenziali che costituiscono il mondo di Clouzot.
Cinico, violento, sporco, crudele ben oltre i limiti del sadismo; la sua indagine del male, prima che sociologica, parte da un'acuta osservazione dell'individuo. I suoi personaggi - gli uomini, tutti nessuno escluso - vengono osservati nei loro comportamenti più crudi, più vili: sono amanti in fuga ("Manon"); loschi concittadini ("Il corvo"); uomini corrotti, individui sfruttati, spesso profughi, esistenze in attrito tra loro e con l'ambiente circostante; vite che si muovono in scenari squallidi, ostili, che siano essi urbani, naturali, esotici, bellici; esistenze disperate, cannibali, votate al fallimento, immischiate in intrighi irrisolvibili, morse tra un passato oscuro e un avvenire ancora più nero, attirate dentro miraggi che si prosciugano.
Se pensiamo proprio a "Vite vendute", nel torrido e polveroso limbo di un remoto paese dell'America latina, l'autore raccoglieva, a confronto con la popolazione locale, svariate etnie, uomini di diversa estrazione culturale, ma li ritraeva nei medesimi atteggiamenti: ferocia, egoismo, vigliaccheria, avidità e assieme spossatezza, stessi erano i fili che li animavano e come dadi li lanciavano, in una corsa spietata di tutti contro tutti, verso una meta a cui - quale veramente? - nessuno arrivava; mentre altrove si festeggiava e si ballava crudelmente. Non a caso l'introduzione, dove i personaggi venivano presentati e approfonditi uno ad uno, stabiliva, per durata, una sorta di primato nella storia del cinema.
Un discorso analogo si può ripetere per "I diabolici": nella periferia parigina, in un collegio (critica alle istituzioni? alla classe agiata cui fanno parte i diabolici del titolo? non propriamente), egli raccoglie e accomuna: direttrice, maestri, bidelli, bambini; diverse età, diversi ceti sociali, assieme, a bollire.

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venerdì 18 novembre 2011

Recensione UNA FARFALLA CON LE ALI INSANGUINATE

Recensione una farfalla con le ali insanguinate




Regia di Duccio Tessari con Helmut Berger, Giancarlo Sbragia, Ida Galli, Silvano Tranquilli, Lorella De Luca, Carole André

Recensione a cura di Giordano Biagio

A Bergamo, in una giornata di primavera, un noto giornalista televisivo, Alessandro Marchi (Giancarlo Sbragia), offre un passaggio in automobile alla bella studentessa francese Françoise Pigaut (Carole Andrè), di 17 anni, che cammina di fretta mentre piove. Il giornalista accompagna la ragazza al parco, dove ha un appuntamento con un uomo.
I due arrivano sul luogo con un certo anticipo, Marchi, desideroso di conoscere meglio Francois, coglie l'occasione per proporle una passeggiata.
In seguito la ragazza verrà trovata uccisa nel parco: sul corpo, rotolato lungo un breve pendio, verranno riscontrate diverse lacerazioni, tagli profondi inferti con un coltello a serramanico.
Alessandro Marchi sarà l'unico imputato dell'omicidio; è privo di un alibi e durante la fuga dal luogo del delitto è stato visto in volto da una donna che sostava in automobile con l'amante nella stradina interna al parco.

Marchi viene condannato all'ergastolo, nonostante l'arguta difesa di Giulio (Gunther Stoll), ottimo avvocato, suo amico.
Giulio, in realtà, è convinto della colpevolezza del giornalista ed è contento di aver perduto la causa poiché è l'amante di Maria (Ida Galli), moglie di Alessandro, con la quale potrà finalmente vedersi alla luce del sole.
La giovane figlia di Maria, Sarah (Wendy D'Olive), si sente attratta da un giovane contestatore, Giorgio (Helmut Berger). La donna ha avuto il primo approccio con Giorgio per caso, tra i vicoli di Bergamo, a seguito di una brusca frenata della sua automobile che stava per investirla: dopo la paura provata i due hanno sorriso e deciso di rivedersi.
Maria conosce Giorgio fin dall'adolescenza, trascorsa insieme a Bergamo, ma non ha avuto una vera occasione per fare amicizia. Giorgio in tribunale darà una testimonianza a favore dell'imputato, dicendo di aver visto, il giorno dell'omicidio, un uomo in fuga dal parco, nei pressi dell'uscita, il cui aspetto non corrispondeva affatto a quello di Alessandro Marchi. Forse Giorgio ha mentito, per scagionare il padre di Sarah.
I due giovani finiscono per iniziare una relazione ma senza una passione duratura; Giorgio dopo l'atto d'amore con Sarah appare nervoso, turbato, tanto da proporre alla donna di non vedersi per un po' di tempo.

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giovedì 17 novembre 2011

Recensione ONE DAY (2011)

Recensione one day (2011)




Regia di Lone Scherfig con Anne Hathaway, Jim Sturgess, Patricia Clarkson, Romola Garai, Jamie Sives, Jodie Whittaker, Georgia King, Rafe Spall, Ken Stott, Amanda Fairbank-Hynes

Recensione a cura di pompiere (voto: 6,5)

"Se a St. Swithin ti piove in testa, vedrai vedrai vedrai... che qualcosa resta".

E' un piovoso 15 Luglio (giorno di festa in Inghilterra) del 1988. Emma e Dexter (Anne Hathaway e Jim Sturgess) si sono appena laureati, e trascorrono insieme una notte apparentemente uguale a tante altre. Invece la ciclicità di questo giorno profetico sarà fondamentale durante il corso delle loro intere vite.

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mercoledì 16 novembre 2011

Recensione A DANGEROUS METHOD

Recensione a dangerous method




Regia di David Cronenberg con Michael Fassbender, Keira Knightley, Viggo Mortensen, Vincent Cassel, Sara Gadon, Katharina Palm, André Dietz, Andrea Magro, Bjorn Geske, Christian Serritiello

Recensione a cura di Gianluca Pari aka VincentVega1

"Non penso mai ai miei film del passato quando ne giro uno nuovo. Anzi, ho sempre voglia di dimenticarli tutti"

Il regista David Cronenberg, durante un'intervista al Festival del Cinema di Venezia 2011, usa queste parole per descrivere il suo metodo di lavoro. Parole che sembrano smentite da chiunque conosca il suo percorso cinematografico, fatto di rimandi ai suoi film passati e di tematiche affini, diretti a scarnificare la natura stessa dell'essere umano e a rivoltare metaforicamente la sua pelle per mostrarne gli organi. In effetti però "A Dangerous Method" trova una differenza sostanziale da tutte le sue opere precedenti: l'assenza totale di esplosione della violenza e di sequenze disturbanti. Un taglio su uno zigomo, sangue del primo amplesso su una sottoveste e sbobba d'ospedale come viscere umane sono le uniche immagini riconducibili alla carriera di un regista che ha fatto del body horror il suo lasciapassare per entrare nell'entourage degli autori.

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