venerdì 28 marzo 2014

Recensione MR. PEABODY E SHERMAN

Recensione mr. peabody e sherman




Regia di Rob Minkoff con -

Recensione a cura di JackR

"Ogni cane dovrebbe avere un bambino"

Mr. Peabody, cane geniale, premio Nobel, eminente diplomatico e scienziato di fama internazionale vive con suo figlio adottivo Sherman, per il quale ha costruito il Tornindietro, una Macchina del Tempo che consente ai due di visitare i momenti salienti della storia dell'umanità e viverli in prima persona. Durante il primo giorno di scuola, Sherman è vittima del bullismo di Penny, una compagna di classe gelosa dell'inevitabile bravura del bambino con la Storia. Penny accusa Sherman di essere un cane come suo padre, lo aggredisce fisicamente e Sherman la morde. L'assistente sociale minaccia quindi Mr. Peabody di togliergli la custodia di Sherman e, per rimediare, Peabody invita Penny e la sua famiglia a cena. Per far colpo su Penny, Sherman la fa salire sul Tornindietro, con conseguenze inaspettate...

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mercoledì 26 marzo 2014

Recensione SOTTO UNA BUONA STELLA

Recensione sotto una buona stella




Regia di Carlo Verdone con Carlo Verdone, Paola Cortellesi, Tea Falco, Lorenzo Richelmy, Eleonora Sergio

Recensione a cura di Paolo Ferretti De Luca aka ferro84 (voto: 4,0)

Non sono tante le cartucce rimaste al nostro cinema, fortuna vuole che ogni tanto il tempo ci consegni cineasti di grande spessore come Garrone, Crialese o Sorrentino che regalano film di grande qualità mantenendo alta la bandiera del nostro passato glorioso.
Potrebbero essere segnali positivi se le nuove leve si affiancassero ai grandi nomi della nostra industria cinematografica; il problema è che vuoi una certa autoreferenzialità, vuoi una maturazione tardiva, spesso anche i grandi cominciamo a perderli per strada.
Un tempo le speranze risiedevano negli Opzetek e Muccino, i quali ben presto, seguendo strade diverse hanno adeguato il proprio cinema a standard preconfezionati perdendo quella spontaneità e stile che avevano fatto puntare su di loro. E che dire di un gigante come Bertolucci completamente dimenticato nonostante il suo recente ritorno?
Il caso Verdone è di sicuro quello più emblematico, quello che doveva essere l'erede di Risi, Monicelli o Sordi verso la fine degli anni 90, in parte per una crisi artistica, in parte per convenienze commerciali, ha tirato i remi in barca, consegnando il suo cinema ai produttori di cinepanettoni.

Un lento declino artistico che ha toccato punte che non si vedevano dai tempi di Dario Argento e che con "Sotto una buona stella" si può dire aver raggiunto il punto più basso.
Addirittura si insinua il dubbio che non ci sia lui dietro un lavoro così scialbo, narrativamente povero ma soprattutto tecnicamente penoso tanto da farci dire che questo non sia un film di Verdone ma al massimo con Carlo Verdone. A dire il vero un risultato così scadente era già intuibile dal terrificante trailer, certo i film non si possono valutare dai loro spot promozionali, ma se anche "il the best" sembra essere preso da un video youtube di Maccio Capatonda, il sospetto comincia a venire.
Il racconto di una storia di un uomo di successo che improvvisamente perde il lavoro e si ritrova a casa i figli nullafacenti sarebbe uno spunto tipico del suo cinema se non fosse che ben presto, tutto quello che ci aveva abituato Verdone sparisce.
Se il Verdone degli anni 80 avrebbe concentrato interamente il film su rapporto fallimentare padre-figlio, quello di oggi, "filmaurizzato", si concentra su una stucchevole storia d'amore con un'improbabile Paola Cortellesi, vicina di casa, che con fare originale si insinua nella vita del protagonista.
E di li parte un film che non si capisce cosa voglia essere, se una semplice commedia romantica, se un film sul rapporto padre figli oppure un'opera di gag in gran parte sconnesse.
Ma se il profilo narrativo è terribile quello tecnico grida vendetta. Verdone sostiene che questo film sia sperimentale perché usa per la prima volta il digitale; arrivare a considerare sperimentale il digitale dopo che da 15 anni se ne fa comunemente uso al cinema è coraggioso ma soprattutto non si capisce per quale motivo si sia cimentato in questa "nuova" tecnica.
Il ritmo è spento segno anche di un pessimo montaggio e non bisogna essere esperti di tecnica cinematografica ma qui siamo al cospetto di errori macroscopici che gridano vendetta. Per non parlare dell'abitudine che sa di masochistico, di adeguare il nostro cinema alla nostra pessima fiction dando ruoli importanti a improbabili attori come la Cortellesi, ai soliti figli d'arte come Lorenzo Richelmy o a mediocri come Tea Falco? Braccia rubate all'agricoltura.

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lunedì 24 marzo 2014

Recensione CHOCO'

Recensione choco'




Regia di Jhonny Hendrix Hinestroza con Karent Hinestroza, Esteban Copete, Fabio García, Daniela Mosquera, Jesús Benavide

Recensione a cura di marcoscafu

Al confine di un piccolo villaggio colombiano Chocò (Karen Hinestroza, "El Vuelco del Cangrejo" e "El Faro") vive col marito Everlides (Esteban Copete) e i due figli: Candelaria (Daniela Mosquera) e Jeffre (Sebastiàn Mosquera). La vita non è semplice in quella parte della foresta pluviale e mentre lei cerca di portare a casa i soldi necessari all'istruzione dei ragazzi lavorando duramente in una miniera dove viene estratto oro, l'uomo sembra più interessato al gioco in cui sperpera quel poco che guadagna suonando la marimba.
Oltre a perdere alle carte, Everlides si ubriaca, torna tardi, è violento e pretende di ricevere quell'amore che non merita. Come se non bastasse, Chocò viene licenziata, ma rimboccandosi le maniche riesce a trovare subito un altro datore di lavoro. Solo l'amore per i suoi figli le rende sopportabile tutto questo. Fino al giorno in cui, rendendosi conto di non poter più vivere in quella capanna, decide di compiere un atto estremo, per salvare sia se stessa che Candelaria e Jeffre.

Il dipartimento in cui la storia si svolge si chiama come la protagonista: Chocò, ed è uno dei 32 di cui si compone la Colombia, il suo capoluogo è Quibdò e include altri 30 comuni. Proprio lì è nato Jhonny Hendrix Hinestroza, regista, sceneggiatore e produttore di questo che è il suo primo lungometraggio, dopo aver diretto due corti: "Cuando Ilegan los muchachos" nel 2010 e "Tricolor fùtbol club" nel 2005.
Uscito nel 2012 e presentato al Festival di Berlino sezione Panorama, il film si concentra su una storia in particolare, quella di Chocò, per mostrare la realtà, più generale, di quei luoghi. Si passa da temi come la discriminazione razziale nei confronti degli afro-colombiani (sembra incredibile, eppure anche in America latina esistono queste divisioni), fino al lavoro sottopagato nelle miniere dove viene estratto oro, in cui gli speculatori non risparmiano l'uso del mercurio, altamente inquinante, che sembra tornare come un boomerang con effetti visibili a livello morfologico sugli abitanti sfruttati da anni.

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venerdì 14 marzo 2014

Recensione LEI

Recensione lei




Regia di Spike Jonze con Joaquin Phoenix, Amy Adams, Rooney Mara, Olivia Wilde, Scarlett Johansson

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 10,0)

"Her" in italiano si intitola "Lei". Sarebbe perfetta come traduzione, fosse "lei" solamente complemento oggetto. Ma in italiano "lei" è ormai anche soggetto. Così, la percezione della parola secondo la dizione comune falsa la sottile allusione contenuta nel titolo originale. "Her", infatti, in luogo di "she", è indizio preciso: implica una relazione. Lei, "her", è destinataria di qualcosa. Di curiosità; di desiderio. Di amore. Il soggetto è Theodore.
Theodore - soggetto introverso e mite - per lavoro scrive lettere private per conto terzi. Una professione curiosa, ma verosimile nella nostra era digitale (chi non si è mai ritrovato a mandare cartoline d'auguri da siti dedicati? O a cercare, sul web, frasi adatte a specifiche circostanze?), che Theodore esegue con bravura, spesso con passione. Theodore è divorziato, vive solo, e pensa costantemente alla sua ex. Quando arriva sul mercato una nuovo sistema operativo personalizzabile, dotato di un'evoluta intelligenza artificiale, comincia a sviluppare con la propria versione di questo sistema (Samantha) una relazione che diverrà complicata: parecchio complicata, e dagli sviluppi imprevedibili.

Alla sua prima pellicola interamente sceneggiata in proprio, Jonze ha realizzato il suo film più bello. Curiosamente, vi è giunto bandendo la sperimentazione visiva e narrativa delle sue opere precedenti, ma realizzando un film drammaturgicamente lineare, di stampo classico, affidato a un elemento di forte originalità: l'assenza fisica della protagonista femminile, che dà il titolo al film. Tra l'altro, per la splendida interpretazione vocale di Samantha, Scarlett Johansson ha persino vinto il premio come miglior attrice al festival di Roma 2013 (ci auguriamo che il doppiaggio di Micaela Ramazzotti, non male stando al trailer, possa rivelarsi adeguato).
Si sente bene, ad ogni modo, che Jonze in passato ha collaborato con Charlie Kaufman (sceneggiatore di "Essere John Malkovich", 1999, e di "Adaptation - il ladro di orchidee", 2002). Il soggetto di "Her" ha più di un debito con l'universo poetico del geniale Kaufman.
Kaufman, poi, è anche lo sceneggiatore di quel capolavoro del 2003 che era "Eternal sunshine of the spotless mind", diretto da Michel Gondry: una pellicola, oggi di culto, alla quale "Her" sarà senz'altro raffrontata, diventando, azzardiamo, oggetto di culto analogo. Molte infatti le affinità, le suggestioni comuni alle due pellicole, che si confrontano entrambe - sia pur con modalità narrative diverse - con il tema della rimozione e della persistenza della memoria emotiva, e della tentazione di sottrarsi al confronto con un partner, in un'era, quella del cosiddetto web 2.0, in cui l'individuo si sente più solitario pur in presenza di una foltissima compagnia di "amici" virtuali. Un'era nella quale, inoltre, la convergenza uomo-macchina inizia a presentare risvolti insoliti, come profetizza Cronenberg a modo suo già da qualche decennio.
Per quanto concerne in particolare la tendenza all'introversione, alla virtualizzazione solipsistica delle relazioni umane (anzitutto sentimentali), un altro film recente che dialoga intimamente con "Her" è quel gioiello di "Ruby sparks" (2012), la seconda prova registica della coppia Dayton-Faris (quelli di "Little miss sunshine", 2006).

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martedì 11 marzo 2014

Recensione ALLACCIATE LE CINTURE

Recensione allacciate le cinture




Regia di Ferzan Ozpetek con Kasia Smutniak, Francesco Arca, Filippo Scicchitano, Francesco Scianna, Carolina Crescentini, Elena Sofia Ricci, Carla Signoris, Paola Minaccioni, Giulia Michelini, Luisa Ranieri

Recensione a cura di amterme63 (voto: 7,5)

Presenza ormai costante nelle stagioni cinematografiche italiane (sforna un film al ritmo di un anno sì e un anno no), Ferzan Ozpetek ritorna sugli schermi nel 2014, riproponendo ancora una volta (repetita juvant?) una storia in cui l'amore, la solidarietà e il dolore sono gli incontrastati protagonisti.

Ci troviamo nell'ambiente della media borghesia leccese nell'anno 2000. Due amiche, Elena e Silvia, lavorano presso un bar del centro insieme a Fabio, un ragazzo dichiaratamente omosessuale (presenza quasi costante nei film di Ozpetek). La vita di Elena viene sconvolta dall'arrivo di Antonio, il nuovo ragazzo di Silvia. Rozzo, ignorante ed omofobo rappresenta proprio l'opposto dell'ideale di uomo a cui aspirerebbe. Aspirerebbe, appunto; perché il fascino molto maschile di Antonio, la sua insistenza, il gusto per l'avventura hanno la meglio su Elena, che si lascia andare, nonostante che Antonio sia il ragazzo della sua migliore amica.
Un'abile dissolvenza incrociata ci fa fare in un secondo un salto di 13 anni. Nel 2013 Elena e Fabio gestiscono un bar tutto loro, con tanto di successo anche finanziario. Elena è adesso sposata con Antonio e ha due bei bambini. I rapporti fra i due non vanno però bene: le incomprensioni, i litigi, i tradimenti (da parte di lui) sono all'ordine del giorno. Evidentemente Elena ed Antonio non erano fatti l'una per l'altro. Ci pensa di nuovo però il destino a mescolare le carte. Elena scopre di avere un carcinoma alla mammella. I rapporti interpersonali, la vita stessa delle persone viene ad assumere così un nuovo valore, un nuovo significato. Elena oscilla fra voglia di vivere e rassegnazione alla morte. Non sappiamo come andrà a finire, ma sappiamo cosa pensa e soprattutto cosa sogna Elena, duramente provata dalle cure chemioterapiche.

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lunedì 10 marzo 2014

Recensione SAVING MR. BANKS

Recensione saving mr. banks




Regia di John Lee Hancock con Emma Thompson, Tom Hanks, Annie Rose Buckley, Colin Farrell, Ruth Wilson, Paul Giamatti, Bradley Whitford, B.J. Novak, Jason Schwartzman, Lily Bigham

Recensione a cura di JackR

Londra, 1961: Pamela Lyndon Travers (Emma Thompson), sebbene riluttante all'idea di vedere la propria opera snaturata dal trattamento Disney, acconsente a una visita di cortesia a Los Angeles per discutere ancora una volta la cessione dei diritti di "Mary Poppins" con Walt Disney (Tom Hanks) e la squadra composta dallo sceneggiatore Don DaGradi e i compositori Robert e Richard Sherman. L'approccio disneyano non impressiona e non convince la Travers, irremovibile nel voler proteggere la sua visione originale.

La genesi del film e quella del romanzo si intrecciano narrativamente, mentre la storia (ben nota) della guerra di nervi tra Disney e la Travers si alterna con quella, molto meno nota, dell'infanzia della scrittrice, segnata dalla tragica scomparsa dell'adorato padre, che la Travers sublimerà anni dopo nel suo celeberrimo libro per ragazzi.

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giovedì 6 marzo 2014

Recensione JUMANJI

Recensione jumanji




Regia di Joe Johnston con Bonnie Hunt, Bradley Pierce, Kirsten Dunst, Robin Williams

Recensione a cura di carsit (voto: 8,0)

"Jumanji" rientra, senza alcun dubbio, tra le pellicole che sono riuscite a farsi largo negli anni '90, imprimendo in maniera indelebile i ricordi di migliaia di ragazzi che hanno vissuto infanzia (o pre-adolescenza) proprio in quel periodo.
Il film è tratto da un racconto dall'omonimo titolo e scritto da Chris Van Allsburg, e da questa fonte letteraria è stata anche sviluppata una serie animata statunitense di 40 episodi nella quale si ritrovano quasi tutti i personaggi presenti all'interno del film.
Lo scrittore scriverà successivamente "zathura": racconto simile come tema portante, ma trasposto direttamente nello spazio profondo.

CI SARANNO POSSIBILI SPOILER NEL PROSEGUO DELLA RECENSIONE.

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mercoledì 5 marzo 2014

Recensione THE LEGO MOVIE

Recensione the lego movie




Regia di Phil Lord, Christopher Miller con -

Recensione a cura di JackR

Quando Emmet, un comune, anonimo operaio LEGO, trova il misterioso "pezzo forte" nel cantiere dove lavora, viene scambiato per il "prescelto" e coinvolto nella lotta segreta tra Mastri Costruttori, paladini della creatività e Lord Business, che vuole raggiungere l'ordine definitivo incollando il mondo di mattoncini. Con l'aiuto di un manipolo di Mastri Costruttori indisciplinati, tra cui Batman e un astronauta LEGO anni Ottanta di nome Benny, Emmet dovrà trovare un modo per impedire la realizzazione del folle piano di Lord Business, e sprigionare tutta la creatività che ha dentro...

Non era facile avere fiducia in un progetto del genere. Un film ispirato a un brand commerciale nasce sotto la cattiva stella del richiamo pubblicitario e della sfacciata strategia di marketing. Gli esempi recenti e non, sono molteplici e tutti negativi. Inoltre, se il brand in questione è LEGO (per i non esperti: non sono "i" LEGO, non sono "le" LEGO e non si scrive "Lego"), risulta davvero arduo trasferire i punti di forza dell'esperienza ludica in un film: costruire con i mattoncini è un'esperienza creativa, sensoriale, libera, divertente - privarla della sua componente interattiva e "analogica" poteva essere deleterio e certamente era il grande problema che un progetto di questo genere poneva agli autori. Da qualche anno, il gruppo LEGO si è aperto al licensing (incorporando e rielaborando intelligentemente franchise come Star Wars e i supereroi Marvel e DC) e al multimedia, quindi un lungometraggio cinematografico non era esattamente un salto nel buio, sebbene un conto sia realizzare un corto con il logo Star Wars o DC, un conto esporsi in prima persona con una storia originale.

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martedì 4 marzo 2014

Recensione TANGO LIBRE

Recensione tango libre




Regia di Frédéric Fonteyne con Zacharie Chasseriaud, François Damiens, Jan Hammenecker, Corentin Lobet, Sergi López, Anne Paulicevich

Recensione a cura di Mimmot

La celebre frase di Enrique Santos Discepolo - paroliere di Carlos Gardel, il più amato tra i cantori del tango argentino - "Il tango è un pensiero triste che si balla", da sempre identifica e rappresenta il famoso ballo argentino, ma non ne esaurisce la ricchezza di significati; perché per molti il tango oltre che un pensiero triste è una filosofia di vita, un modo di vivere, una malattia, il lamento di un uomo che rimpiange una donna.
Il tango, però, è anche emozione, energia, palpitazione del cuore, respiro e abbraccio; si alimenta di disillusione e di inquietudine e la sua musicalità un tempo traduceva la disperazione di coloro che ne cantavano le canzoni.
Un'emozione dalle tante facce, il tango ha ispirato libri, cinema e spettacoli e si offre, effimero e fugace come un orgasmo erotico, a celebrare la consapevolezza del fatto che anche tra le braccia di un altro spesso si finisce per essere soli.
Il tango fu empito spontaneo, uno sfogo, un momentaneo senso di piacere e di felicità, la trasposizione gestuale della frustrazione, della tristezza e dell'infinita malinconia della patria lontana di milioni di emigranti; tutti fattori che prepararono l'avvento di quell'originale e drammatico fenomeno legato al rivelarsi di quel ballo che dava, per un istante, l'illusione di poter dimenticare la drammaticità della vita che stavano vivendo.
Nato alla fine dell'ottocento, il tango originariamente veniva ballato tra soli uomini - la cui sensualità e l'erotismo, uniti alla capacità di ballarlo bene, lo fece ben presto identificare con la mascolinità e il machismo - per passare poi nei bassifondi e nei bordelli di Buenos Aires e Montevideo, tra malavitosi e prostitute, dove furoreggiava "a dieci centesimi il giro, compresa la dama", come dice il grande scrittore argentino Luis Borges, il quale esprimeva questo concetto: "Nessuno può dire con precisione dove è nato il tango, se Buenos Aires, Rosario o Montevideo, ma tutti sanno in quale via è nato, la via della prostituzione".

Appassionato del tango è Jean-Christophe detto JC (François Damiens), un secondino timido ed enigmatico, un tipo solitario e riservato nella vita e anche con i colleghi, ligio al dovere sia come guardia carceraria che come cittadino; conduce una vita grama e priva di sorprese, dividendosi tra il lavoro e la sua casa dove vive in compagnia di un pesciolino rosso che nuota solitario e triste in un acquario che campeggia nel salotto del suo appartamento dalla tappezzeria un po' troppo vistosa e colorata.
Il tango è la sua unica, grande passione e l'unica trasgressione della sua vita che si concede. Per questo una volta la settimana si reca presso una scuola di ballo dove si insegna a ballare il famoso tango argentino.
Ci sono poi due uomini, due amici di lunga data dal passato non propriamente esemplare: uno di origine spagnola, Fernand (Sergi Lopez) e l'altro belga, Dominic (Jan Hammenecker), entrambi in prigione per una rapina andata a male, conclusasi con l'omicidio di un poliziotto.
C'e poi una donna di circa trent'anni: Alice (Anne Paulicevich), sexy e conturbante anche senza essere particolarmente bella, fa l'infermiera in un ospedale, ed è moglie di Fernand e amante di Dominic, nonostante il primo sia violentemente geloso e il secondo refrattario a qualsiasi forma di compromesso; nonché madre di un quindicenne, Antonio (Zacharie Chasseriaud), perennemente immusonito e refrattario all'autorità della madre, in balìa della singolarità della sua famiglia e della sua genitura non definita, ma che scopriremo alla fine.
La sua passione per il tango la spinge un giorno a frequentare la stessa scuola di Jean Christophe e nel corso della prima lezione si ritrova a ballare proprio con lui. Il giorno seguente il secondino, con sua grande sorpresa, rivede la donna nel parlatorio della prigione, dove si è recata per visitare i due uomini, prima Fernand e poi Dominic.
A questo punto il surreale ménage a troi si complica ulteriormente perché JC folgorato dalla sua sensualità e preso da subitaneo incantamento, si ritrova innamorato di Alice, ben sapendo che le norme carcerarie vietano ai secondini di familiarizzare con i parenti dei detenuti.

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lunedì 3 marzo 2014

Recensione UNA DONNA PER AMICA

Recensione una donna per amica




Regia di Giovanni Veronesi con Fabio De Luigi, Laetitia Casta, Valeria Solarino, Monica Scattini, Valentina Lodovini, Adriano Giannini, Flavio Montrucchio, Antonia Liskova, Miriam Dalmazio, Geppi Cucciari, Virginia Raffaele

Recensione a cura di peucezia

Giovanni Veronesi ritorna alla commedia sentimentale dopo "Manuale d'amore", film di discreta fattura e altrettanto successo, per trattare un classico argomento adolescenziale ovvero l'amicizia e il sottile confine che la divide con l'attrazione tra un uomo e una donna.
In questa pellicola gli Harry e Sally nostrani - anche se trattasi di impropria affermazione visto che la protagonista femminile è francese e interpreta il ruolo di una francofona - sono Fabio De Luigi e la modella d'oltralpe Laetitia Casta. Accanto a loro un nutrito gruppo di attori e attrici quasi onnipresenti nella filmografia nazionale degli ultimi dieci anni.

L'idea di base del film malgrado la sua scarsa originalità, essendo stata declinata in varie lingue e scuole filmiche da decenni, nonché la presenza di un cast di tutto rispetto, avrebbe potuto fornire al regista la base per la realizzazione di una trama spigliata e divertente. Invece il risultato non supera la stiracchiata sufficienza perché, al contrario, Veronesi punta sulle gag spicce e sul sorriso dalla imperfetta dentatura della bella Laetitia, alla quale non riesce molto bene puntare sulla recitazione piuttosto che su altre doti naturali.

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