mercoledì 15 dicembre 2004

Recensione UNA STORIA VERA

Recensione una storia vera




Regia di David Lynch con Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Harry Dean Stanton, Everett McGill

Recensione a cura di Blutarski

"La cosa peggiore della vecchiaia è il ricordo di quand'eri giovane". David Lynch racconta, commuove e torna a far riflettere sui temi importanti della vita, in modo dolce e poetico come solo un genio dietro la macchina da presa sa affrontare. La vecchiaia, l'importanza della famiglia, i ricordi e la saggezza, la vita e la morte, il regista abbandona momentaneamente gli incubi, le sue ossessioni e lo studio dei sogni per affrontare temi più forti e allo stesso tempo delicati con una storia incredibilmente straordinaria, basata su un fatto realmente accaduto.

Alvin Straight (Richard Farnsworth) ha settantatré anni, vive a Laurens nell'Iowa con la figlia Rose (Sissy Spacek), una madre ritardata alla quale hanno portato via i figli. Le sue condizioni di salute sono pessime: oltre a non vedere bene - che non gli consente di avere la patente -, convive, infatti, con un principio di enfisema polmonare e un'artrite che lo costringe ad usare ben due bastoni. Presto viene a sapere che il fratello Lyle del Wisconsin è molto malato e si avvicina alla morte. Malgrado non si parlino da tanto tempo a causa di un banale litigio e le proibitive condizioni fisiche non glielo permettano, Alvin decide di mettere da parte l'orgoglio e di intraprendere un viaggio lungo più di 350 miglia attraverso gli stati dell'Iowa e del Wisconsin, con un vecchio tosaerba che traina un piccolo rimorchio - la sua "casa" durante il viaggio -. Tra lande sterminate e paesaggi mozzafiato nel cuore dell'America, ripresi da raffinate inquadrature panoramiche, Alvin trascorre quasi due mesi di viaggio e incontra tanta gente, dispensando autentica saggezza e suscitando infinita tenerezza. Un pellegrinaggio interiore dunque, che si sublima con il ricordo sbiadito e nostalgico di un cielo stellato. La pellicola è una grande metafora del tempo e della sua ineluttabilità sottolineata magistralmente dalle scelte registiche; geniale in tal senso introdurre il gruppo di giovani ciclisti che sfrecciano ad alta velocità accanto al vecchio Alvin, in contrasto con la sua ponderatezza e la sua flemma, resa perfettamente con movimenti dolci dell'inquadratura e dalla splendida interpretazione di Farnsworth. Sembra quasi che questo voglia sottolineare la fretta e la furia di arrivare tipica dei giovani d'oggi, che non si fermano mai, che hanno un'ansia instancabile di crescere, paragonata alla serenità e lentezza di chi conosce il valore del tempo. E il viaggio di Alvin, in una visione più generale, potrebbe essere comparato alla vita stessa, fatta d'incontri e di un gran numero d'esperienze, nella quale forse il punto d'arrivo non è importante quanto il percorso in sé: non conta dove riusciamo ad arrivare, ma il panorama che il viaggio ci riserva.

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