giovedì 31 gennaio 2008

Recensione CARAMEL

Recensione caramel




Regia di Nadine Labaki con Nadine Labaki, Yasmine Al Masri, Joanna Moukarzel, Gisèle Aouad, Adel Karam, Siham Haddad

Recensione a cura di peucezia (voto: 7,5)

Opera prima della giovane regista libanese Nadine Labaki, che vanitosamente ma non immeritatamente si regala un ruolo di primo piano nel film, "Caramel" è una storia declinata al femminile di quelle che raramente si vedono oggi sul grande schermo, e che l'ambientazione sia medio-orientale poco importa, in quanto l'amicizia ed i sentimenti delle protagoniste sono uguali in ogni latitudine.
Scorrono sui titoli di testa le immagini della preparazione del caramello dolce, sostanza che viene usata in Oriente per la depilazione, uno strappo che dà dolore in cambio di un cambiamento e di un eventuale miglioramento, ma anche un'attenzione a quella sensualità propria del mondo orientale.
Il salone di bellezza intorno al quale si svolge gran parte del racconto vede campeggiare in bella mostra la foto di una modella occidentale dagli occhi azzurri e dalle labbra ben modellate, in evidente contrasto con la semplicità che circonda invece il piccolo mondo che ruota intorno al locale.

Un amore clandestino, un errore di gioventù, il non accettare il passare degli anni o la propria diversità, il sacrificio di dedicarsi a chi ha bisogno e di cui masochisticamente si sente di avere bisogno sono le dolorose crepe che logorano l'esistenza apparentemente tranquilla delle cinque interpreti della pellicola, quasi tutte debuttanti. Gli uomini sono importanti nella loro vita, ma sono dei personaggi secondari che hanno nel film poche battute o che non si vedono neanche, come l'amante di Layale. Le storie che ruotano intorno a questo piccolo universo femminile sono minimaliste, tutto sembra scorrere tra il negozietto sgangherato delle tre parrucchiere, la botteguccia di Rose, l'anziana sarta che si occupa di una sorella fuori di testa e la strada antistante assai simile ai vicoli di una città meridionale (la scena della processione che scorre tra i vicoli stretti potrebbe ricordare la nostra Napoli).

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mercoledì 30 gennaio 2008

Recensione A 30 SECONDI DALLA FINE

Recensione a 30 secondi dalla fine




Regia di Andrej Koncalovskij con Jon Voight, Eric Roberts, Rebecca DeMornay

Recensione a cura di Gardner (voto: 10,0)

Al suo secondo film americano Andrej Konchalovsky (fratello del più accreditato Nikita Michalkov), usando una sceneggiatura inutilizzata di Akira Kurosawa, realizza un film di inconsueta perfezione.

"A 30 secondi dalla fine" è la storia di un'evasione dal duro carcere di Stonehaven (Alaska).
L'anziano Manny (Voight) evade insieme a Buck (Roberts), un giovanotto che è in galera per scontare un reato di violenza carnale, inseguito dal direttore del carcere Danken, invasato da un odio furibondo per Manny. Con trenta gradi sotto zero ed a malapena coperti di stracci, i due riescono a salire su di un treno che, a causa della morte per infarto del macchinista, comincia a correre privo di controllo fino ad essere deviato per andare a schiantarsi in una zona desolata. Danken riesce in extremis a salire sul convoglio impazzito, dando luogo ad uno scontro finale con l'evaso e dirigendosi insieme a lui fieramente incontro ad una tragica fine, dopo che Manny riesce a metter in salvo il suo compagno di evasione ed una giovane donna impiegata della compagnia ferroviaria (De Mornay), sganciando il vagone di coda.

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martedì 29 gennaio 2008

Recensione INTO THE WILD

Recensione into the wild




Regia di Sean Penn con Emile Hirsch, Marcia Gay Harden, William Hurt, Jena Malone, Brian Dierker, Catherine Keener, Vince Vaughn, Kristen Stewart, Hal Holbrook

Recensione a cura di Mimmot

"Non conta essere forti, ma sentirsi tali", scelta di vita e credo di saggezza; è questo ciò che anima le decisioni coraggiose e lo spirito libero di un ragazzo di ventidue anni, alla incessante ricerca dell'essenza di se stesso, dei suoi ideali, della sua identità e della sua libertà.

Quarta prova come regista di Sean Penn, dopo "Tre giorni per la verità", "Lupo solitario" e "La promessa", "Into the wild", come i primi due, parla di uomini in fuga dal loro passato, alla ricerca della comprensione di se stessi e del posto che vorrebbero (o dovrebbero) occupare nel mondo.
Da sempre alieno ai compromessi sia nella sua vita privata che in quella pubblica, in prima linea nelle battaglie civili e politiche, Sean Penn ha impiegato 10 anni per ottenere i diritti del libro ed il consenso della famiglia McCandless per portare sullo schermo la figura e la storia di Christopher McCandless, un ragazzo di famiglia bene (padre ingegnere aerospaziale, madre scienziata), cresciuto in un ricco sobborgo di Washington D.C. che, appena terminati gli studi, scelse di abbandonare la vita agiata per ritrovare se stesso, lontano dal suo mondo e dalla sua famiglia, "nelle terre selvagge" che si riveleranno fatali.
Girato in circa otto mesi, durante i quali Emile Hirsch, il giovane attore protagonista, ha perso 20 kg di peso per seguire l'evoluzione del suo personaggio, "Into the Wild" è tratto dal best seller omonimo ("Nelle terre selvagge", in italiano) di Jon Krakauer, che Sean Penn ha "scoperto" per caso in una libreria di Brentwood, attratto dalla foto di copertina che ritraeva un vecchio autobus abbandonato nella neve.

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Recensione AVANTI C'E' POSTO!

Recensione avanti c'e' posto!


Regia di Mario Bonnard con Aldo Fabrizi, Andrea Checchi, Adriana Benetti, Virgilio Riento

Recensione a cura di peucezia (voto: 7,0)

"Avanti c'è posto", uscito nel lontano 1942 per la regia di Mario Bonnard, segna il debutto di due nomi eccellenti nel mondo del nostro cinema: Federico Fellini, per il momento come semplice sceneggiatore (anche se nei titoli di testa è indicato solo come Federico) ed Aldo Fabrizi come attore cinematografico. Il titolo del film è ispirato tra l'altro a una gag teatrale portata sui palcoscenici proprio da Fabrizi: il personaggio del bigliettaio sulle linee autofilotranviarie di Roma.
Al di là di queste piccole curiosità, la trama del film risulta a suo modo innovativa e trasgressiva.
Siamo in pieno conflitto ma la parola "guerra" non è ancora mai stata sfiorata nella cinematografia dell'epoca né tantomeno si è mai fatto cenno alle difficoltà oggettive della popolazione: se pure nelle ultime scene si assiste alla sfilata dei soldati in procinto di partire, alla cosa non viene data quell'aura retorica da regime bensì una legittima malinconia per la sorte di queste giovani vite.

Il dialetto, bandito da Mussolini, che mirava a una decisa omologazione della popolazione, torna sia pure di straforo in questo film. Per la prima volta non ci sono dei popolani che si esprimono con termini appropriati e perfetta dizione ma accennano alla loro cadenza locale e qualche volta si concedono un intercalare nella loro "lingua" (la cosa è evidentissima con Fabrizi che si esprime con la cadenza romanesca e con il veneto Carlo Micheluzzi, attore goldoniano d'elezione). Possono sembrare degli elementi minimali, così come minimale e senza dubbio antediluviano è l'intreccio del film: storiella di una povera camerierina derubata che rimasta senza lavoro si affida al buon cuore del bigliettaio Fabrizi e si innamora del giovane conducente del filobus destinato però a partire in guerra.
Bonnard però, con l'introduzione di queste novità, abbandona il genere dei telefoni bianchi che da oltre dieci anni imperversava sugli schermi nazionali (d'altronde i vari divieti imposti dal regime consentivano solo una filmografia alquanto superficiale con una visione del tutto stereotipata e finta della vita della popolazione) e anticipa o precorre di qualche anno il neorealismo. Persino la scelta di Fabrizi come protagonista, attore poco cinematografico per la sua stazza e per la sua indole paciosa, lontano quindi dall'immagine virile che la cinematografia fascista voleva imporre, mostra un certo coraggio da parte del produttore del film.

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lunedì 28 gennaio 2008

Recensione IRINA PALM

Recensione irina palm




Regia di Sam Garbarski con Marianne Faithfull, Miki Manojlovic, Kevin Bishop, Siobhan Hewlett, Dorka Gryllus

Recensione a cura di GiorgioVillosio

La vicenda raccontata nel film è talmente anomala da sembrare forzata per amore di paradosso (se non per spirito voyeuristico o pornografico). Ma una lettura in questa chiave non sarebbe corretta per chi abbia visto "Irina Palm", stante il garbo e l'estrema delicatezza di tocco con cui è trattata la non facile materia.
Vero questo, sarà bene cercarne i diversi significati simbolici, per legittimare lo scabroso racconto; quello di una "nonna in servizio permanente effettivo" che lavora in un locale a luci rosse di Soho, masturbando i clienti attraverso la fessura di una parete protettiva.
Nobile, per contrapposto, la sua motivazione: i soldi guadagnati le servono a pagare le cure in Australia per il nipotino, che altrimenti morrebbe.

Di qui il primo tema, di natura morale: per dirla col Fra' Cristoforo manzoniano, varrebbe il motto latino "omnia munda mundis", e cioè "tutto è puro per i puri"; principio tra i più elevati, in controtendenza con il machiavellismo dominante, secondo cui il fine giustificherebbe i mezzi.
Ancor più significativo che la frase derivi dal Nuovo Testamento, per bocca di quel Paolo di Tarso che, per primo, iniziò nel mondo cristiano a demonizzare la sessualità, giudicandola animalesca e degradante. Prima di lui, in effetti, l'atteggiamento verso la passione carnale da parte del Cristo stesso era di maggiore tolleranza, improntata al perdono, come insegna l'episodio dell'adultera: quando Gesù pronunciò il noto monito "Chi è senza peccato, scagli la prima pietra".
Il principio dell' epistola (a Tito I,15) sopra citato risiede dunque nello sconfessare il moralismo deteriore di un mondo bigotto, ipocrita e codino abituale negli ambienti di provincia, come quella inglese rappresentata nel film.
Memorabile, a proposito, l'episodio in cui la povera nonna confessa alle amiche, sedute intorno al tavolo del the, i segreti della sua nuova professione.

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Recensione AGUIRRE FURORE DI DIO

Recensione aguirre furore di dio




Regia di Werner Herzog con Helena Rojo, Klaus Kinski, Cecilia Rivera, Ruy Guerra

Recensione a cura di kowalsky (voto: 8,5)

"Dopo che gli spagnoli avevano conquistato e saccheggiato il regno degli Inca, gli Indios hanno inventato la leggenda del paese dorato Eldorado, che si troverebbe anche nelle impenetrabili paludi degli affluenti del Rio delle Amazzoni. Alla fine del 1560, una grossa spedizione di avventurieri spagnoli, sotto la guida di Gonzaro Pizzarro, partì per le montagne peruviane. L'unica testimonianza rimasta della spedizione svanita nel nulla è il diario del frate Gaspar De Corvajal".

Con questa prefazione insolitamente Kubrickiana (anche se l'Odissea temporale di Kubrick ebbe la sua "premessa" nell'epilogo finale) Werner Herzog mette a nudo il riflesso incondizionato del cinema nella sua forma (falsamente) letteraria e storica. Il rigore temporale di "Aguirre", ma anche la sua apparente "veridicità" storica non fanno altro che catturare negli spettatori la convinzione che il tutto sia credibile e realmente accaduto, formulando così l'inquieta aspettativa sul mezzo cinematografico come visione "storica" e non soltanto "metaforica", con un fideismo che riusciva a catturare quei pochi ancora convinti dell'utilità culturale di un certo cinema. In effetti, proprio per questo paradosso, Herzog riesce a decodificare il linguaggio cinematografico al punto che "Aguirre" potrebbe benissimo essere scambiato non per un film d'avventura, ma di fantascienza. E probabilmente a modo suo lo è: esattamente come la dichiarazione dello stesso regista su Kinski ("E' l'ultimo interprete espressionista del cinema muto").

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venerdì 25 gennaio 2008

Recensione IO SONO LEGGENDA

Recensione io sono leggenda




Regia di Francis Lawrence con Will Smith, Alice Braga, Dash Mihok, Charlie Tahan, Salli Richardson, Willow Smith

Recensione a cura di ferro84 (voto: 5,5)

La nuova moda del cinema americano si chiama "remake" e "Io sono leggenda" può tranquillamente rientrare in questo filone.
E' inutile dilungarsi su quanto la crisi di idee stia alla base di questo "nuovo" modo di fare cinema; resta il fatto che i risultati non sempre sono soddisfacenti specie se il rifacimento riguarda grandi capolavori del passato.
Per capire "Io sono leggenda" è necessario partire dall'omonimo romanzo di Richard Matheson, un piccolo capolavoro che sta al genere horror come "Il Signore degli anelli" sta al fantasy.
Se "L'ultimo uomo sulla terra" è stato il primo film ufficiale tratto dal libro, non si può fare a meno di notare il numero spropositato di pellicole che si sono ispirate direttamente o indirettamente al lavoro di Matheson: si va da gran parte della filmografia di Romero a "La notte della cometa", "28 giorni dopo", "Resident Evil", "Silent Hill", "Occhi bianchi sul pianeta terra", "I Figli degli uomini" e così via.
La forza del racconto non risiede solo nella storia ma soprattutto nelle tematiche che in essa trovano voce: la paure per il futuro, il timore verso una "massa" sempre più omologata e, soprattutto, lo stato di una società che si sentiva sotto assedio (l'America durante il periodo della Guerra Fredda).
Robert Neville è un sopravvissuto a una terribile epidemia che si aggira solitario in un anonimo villaggio (New York nel film in questione) pronto a lottare per la sopravvivenza, dagli attacchi di affamati vampiri.

Tutto quanto detto fino adesso non trova minimamente riscontro,nell'adattamento cinematografico affidato ad Akiva Goldsman e Mark Protoservich: il lavoro compiuto risulta essere freddo e banale, e l'incapacità di attualizzare il romanzo fa si che il film risulti essere troppo simile ai suoi predecessori, tanto da dare il sapore di deja vu.
Se Matheson, partendo da un romanzo fantascientifico, aveva costruito un piccolo trattato politico-sociologico, i cambiamenti apportati dal film non solo hanno trascurato qualsiasi lettura diversa ma, modificandone il finale, ne hanno completamente tradito lo spirito.

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Recensione NORTH COUNTRY - STORIA DI JOSEY

Recensione north country - storia di josey




Regia di Niki Caro con Charlize Theron, Frances McDormand, Woody Harrelson, Sissy Spacek, Sean Bean, Richard Jenkins, Jeremy Renner

Recensione a cura di dario carta

"Nel 1975 le miniere di ferro del Nord Minnesota assunsero le prime donne minatore. Nel 1989, gli impiegati maschi superavano ancora le femmine in un rapporto 30 a 1. Ispirato ad una storia vera."
Così viene presentato "North Country - Storia di Josey", un film diretto da Niki Caro (La ragazza delle balene),che ottenne nel 2005 due nominations agli Academy Awards.

Il film è ispirato al libro "Class Action" di Clara Birgham e Laura L: Gansler, basato sul caso "Senson vs. Eveleth Taconite Co.", la cui istruttoria si concluse solo nel 1998, venti anni dopo l'inizio degli eventi.
Vittima degli abusi del marito, Josey (nome di fantasia;la vera protagonista si chiama Lois Jenson) trova rifugio in casa della madre, anch'essa reduce da una scombussolata vita sentimentale, ma poi risposatasi.

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giovedì 24 gennaio 2008

Recensione UN GIORNO DA LEONI

Recensione un giorno da leoni


Regia di Nanni Loy con Renato Salvatori, Tomas Milian, Nino Castelnuovo, Anna Maria Ferrero

Recensione a cura di peucezia (voto: 7,0)

Film del 1961 e prima pellicola "seria" di Nanni Loy dopo una serie di prove con tematica sentimental-brillante, "Un giorno da leoni" si inserisce nel filone di "revisionismo" della seconda guerra mondiale ed in particolare del periodo della resistenza che caratterizzò i primi anni Sessanta. A quindici anni dalla fine del conflitto e con una situazione economica più solida, l'Italia guarda di nuovo a quegli anni in maniera meno dolente; l'obiettivo principale però, nato soprattutto con l'apertura a sinistra da parte del governo, è il voler dimostrare alla popolazione che la guerra non è stata persa, che la partecipazione a fianco dei tedeschi è stata imposta da un regime male accettato e che comunque gli italiani hanno voluto e saputo ribellarsi soprattutto dopo l'armistizio dell'otto settembre e lo sfaldamento di ogni sicurezza.

La storia inizia proprio con l'annuncio dell'armistizio a Roma, e si colloca nel periodo più buio per la capitale italiana abbandonata a se stessa dal re e dal capo del governo, e dominata dai nazisti.
I protagonisti sono dei giovani come tanti: uno studente con scarsa attitudine (Nino Castelnuovo), un borgataro orfano di padre che si ingegna a fare il borsaro nero (Tomas Milian qui al primo ruolo in Italia), un ragioniere pavido e fortemente miope (Leopoldo Trieste).
Per caso i tre si trovano a fare una inaspettata scelta di vita.
Accanto a questi "eroi per caso", altri attori celebri dell'epoca: Renato Salvadori, Romolo Valli, un solido attore di teatro noto per un'interpretazione sempre asciutta e misurata, e Saro Urzì mentre tra le donne spiccano la giovane Carla Gravina e Annamaria Ferrero in due ruoli poco presenti sulla scena, diversi ma comunque centrali per l'intera vicenda.

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Recensione BIANCO E NERO

Recensione bianco e nero




Regia di Cristina Comencini con Fabio Volo, Ambra Angiolini, Aïssa Maïga, Eriq Ebouaney, Anna Bonaiuto, Franco Branciaroli, Katia Ricciarelli, Maria Teresa Saponangelo

Recensione a cura di GiorgioVillosio

La pressione psicologica e sociale legata ai molti problemi connessi all'integrazione è tale e tanta da divenire soggetto privilegiato di racconti letterari, teatrali e cinematografici anche qui da noi.
Un tempo se ne parlava solo nei paesi più avanzati: Stati Uniti, Francia, Germania e Gran Bretagna, in cui la presenza di cittadini di origine straniera era già attuale. Segno dunque di modernità, per noi, e di un traguardo finalmente raggiunto, se pure col solito ritardo.
La premessa, ovviamente, per anticipare un messaggio di assoluta tolleranza., doverosa e indispensabile in un mondo divenuto globale.
Purtroppo però, tra il dire e il fare c'è sempre di mezzo il mare.

Su tematiche di questo genere ha fatto scuola in passato (1967) il celeberrimo film di Kramer "Indovina chi viene a cena", che nasceva, non a caso, nel Paese in cui il contrasto tra bianchi e neri era condizione endemica, tuttora irrisolta. Per questo il tono del racconto assumeva accenti problematici, col mettere in scena senza ipocrisie un tema su cui ambo le parti glissano di frequente. Un vero vespaio, in casa loro, che da noi veniva invece visto con la souplesse di chi non è dentro il problema; esattamente come si fa per le guerre lontane.
Laddove il problema è reale e scottante, invece, gli autori impiegano toni molto più accesi e sentiti, come nel forte e scabroso "Cous Cous", uscito nelle sale in contemporanea con il film "Bianco e nero", che non può quindi esimersi da un doveroso confronto.

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martedì 22 gennaio 2008

Recensione COUS COUS

Recensione cous cous




Regia di Abdel Kechiche con Habib Boufares, Marzouk Bouraouia, Faridah Benkhetache, Sabrina Ouazani, Hafsia Herzi

Recensione a cura di GiorgioVillosio

L'ex presidente Ben Bella, padre del socialismo algerino, fondatore del FLN ed anima della resistenza contro il dominio coloniale francese, promuoveva la sua rivoluzione con uno spietato anatema, dicendo a muso duro ai nemici dell'esagono: "Voi ci avete colonizzato con le vostre armi...E noi vi conquisteremo coi ventri delle nostre donne!". La sua lontana profezia è oggi sotto gli occhi di tutti, con la crescente immigrazione araba nei Paesi occidentali, l'esportazione della cultura islamica, il fiorire delle moschee e l'incremento demografico delle nostre città, coi tanti problemi che ne conseguono in termini di integrazione, a livello culturale e di occupazione; discorso questo che in realtà potrebbe estendersi all'immigrazione extracomunitaria in genere. E in effetti un film come "Cous Cous", oltre che nelle banlieue parigine, poteva girarsi a Tor di Quinto a Roma, come a Torino S.Salvario o in tante zone della campagna meridionale, dove magrebini e marocchini fanno parte integrante della popolazione.

Una giusta lettura del film "Cous Cous" non può dunque prescindere da una interpretazione storico-sociologica di questo genere: nei sobborghi popolari della città costiera di Sète, in uno squallido quartierone prefabbricato, si svolge la vita di una famiglia di poveri immigrati, mantenuti con dura fatica del capofamiglia che, lavorando da 40 anni in un cantiere marino, cerca di traghettare verso un maggiore benessere la nuova generazione. Ma lo fa in tempi difficili come quelli attuali, in cui lo spettro del precariato, della disoccupazione e del licenziamento è continuamente in agguato; da cui il dramma del povero protagonista che, lasciato a casa dall'azienda perché vecchio, morirà rincorrendo affannosamente la teppaglia del quartiere per recuperare il motorino rubato. Anche l'idea estrosa di "inventarsi" un ristorante di cous cous a bordo di una vecchia bagnarola ancorata nel porto, va valutata nell'ottica molto attuale della cosiddetta "nuova imprenditoria", sovente inutile, pretestuosa e poco redditizia; sufficiente solamente a "truccare le carte" delle indagini statistiche di regime sull'occupazione. Storia sociale, dunque, ma non solo.

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Recensione CARLITO'S WAY

Recensione carlito's way




Regia di Brian De Palma con Al Pacino, Sean Penn, Penelope Ann Miller, John Leguizamo, Ingrid Rogers, Luis Guzman, Joseph Rebhorn, Joseph Siravo, Viggo Mortensen, Richard Foronjy

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 10,0)

"Qualcuno mi sta tirando verso il basso. Lo sento anche se non lo vedo. Però non ho paura, ci sono già passato".

Correva l'anno 1993. Brian De Palma, dopo l'enorme successo ottenuto con "Gli Intoccabili" ("The Untouchables", 1987), si era imbattuto in una serie di insuccessi decisamente immeritati. Nel 1989, con "Vittime di Guerra" ("Casualities of War") aveva affrontato le problematiche relative alla guerra del Vietnam, dirigendo una solida pellicola di forte impatto drammatico, che divise in due l'opinione del pubblico e quella della critica. Alcuni gridarono al capolavoro, altri lo reputarono essere il peggior film diretto da De Palma, che fu definito ipocrita e retorico. L'anno seguente diresse "Il Falò delle Vanità" ("The Bonfire of the Vanities", 1990) una commedia sofisticata e caustica, che affronta con intelligenza le tematiche del razzismo, del fenomeno degli yuppie, della destrutturazione della famiglia e della società americana, della corsa la successo. In altre parole, la scarnificazione del sogno e del mito americano. Nonostante un cast artistico ineccepibile ed una sfoggio di tecnica, che solo De Palma sa regalarci (si pensi alla sequenza iniziale di circa cinque minuti, ispirata ad un episodio della vita di Truman Capote, durante la quale Bruce Willis è seguito dall'occhio sapiente del regista, che utilizza la steady-cam, senza nessuna soluzione di continuità), il film non piacque né al pubblico né alla critica. D'altronde si sa che, quando si attacca il sogno americano e quando si parla di razzismo invertendo i ruoli fra i bianchi e i neri, il pubblico, abituato ai suoi soliti cliché politically-correct, s'indigna. Ma è il film successivo a sferrare il colpo più duro alla carriera del regista. "Doppia Personalità" ("Raising Cain", 1992) si rivelò un pesante insuccesso (per poi essere rivalutato solo successivamente) forse perché reputato troppo demodé e troppo infarcito di citazioni e di autocitazioni, da "Vestito per Uccidere" a "Sisters", da "Complesso di Colpa" a "Omicidio a Luci Rosse", il tutto passando per "Psycho".

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giovedì 17 gennaio 2008

Recensione DOMINION: PREQUEL TO THE EXORCIST

Recensione dominion: prequel to the exorcist




Regia di Paul Schrader con Stellan Skarsgård, Gabriel Mann, Clara Bellar, Billy Crawford, Ralph Brown, Israel Aduramo, Andrew French, Antonie Kamerling, Julian Wadham, Eddie Osei

Recensione a cura di The Gaunt (voto: 6,0)

"Dominion: prequel to the exorcist" è un film che non sarebbe nemmeno dovuto uscire; solo in un secondo momento ha avuto una limitata distribuzione, rimanendo però ancora inedito in Italia (Festival di Torino a parte). Le sue vicissitudini produttive meritano di essere raccontate.
Inizialmente il regista preposto alla direzione del prequel de "L'Esorcista" sarebbe dovuto essere John Frankenheimer, ma quest'ultimo dovette rinunciare a causa di problemi di salute che in poco tempo lo portarono alla morte. La produzione quindi decise di affidare a Paul Schrader la regia del film, ma pur avendo a disposizione un budget di tutto rispetto (trenta milioni di dollari), non riuscì a soddisfare le esigenze dei produttori della Morgan Creek. A causa di profonde divergenze riguardo il montaggio, Schrader fu licenziato su due piedi.
A questo punto subentrò Renny Harlin alla cabina di regia. Alexi Lawley riscrisse quasi completamente la sceneggiatura di Caleb Carr e William Wisher, mantenendo sostanzialmente l'ambientazione africana e l'antefatto della Seconda Guerra Mondiale, da cui scaturirono i tormenti di Padre Merrin.
Rimasero inoltre il protagonista principale Stellan Skarsgaard, alcuni personaggi di contorno, come la guida locale Chuma interpretato da Andrew Francis ed il maggiore dell'esercito inglese Granville interpretato da Julian Wadham, oltre a gran parte del cast tecnico tra cui spicca il direttore della fotografia Vittorio Storaro. Altri attori di contorno vennero eliminati per via della cancellazione dei loro personaggi dalla nuova sceneggiatura, altri rimpiazzati per l'impossibilità di tornare a lavorare su questo progetto a causa di altri impegni.
Purtroppo per i produttori, a volte il pubblico non è di grana grossa come credono, ed il film rifatto da Harlin non soddisfò le loro aspettative di guadagno. Il mancato successo al botteghino de "La Genesi" indusse i produttori di riesumare il lavoro di Schrader che intanto, forte del suo contratto, manteneva i pieni diritti sul final cut del proprio lavoro. Fino a quel momento Schrader era riuscito a distribuirlo solo in Olanda e farlo visionare in qualche festival. Si decise quindi di farlo uscire nel maggio del 2005, grazie alla collaborazione della Warner, ben tre anni dopo la sua realizzazione, ma la concorrenza troppo forte dei blockbuster ha fatto sì che "Dominion" passasse pressoché inosservato dal pubblico.

Questa la trama: durante l'occupazione nazista in Olanda nel 1944 padre Lankaster Merrin viene costretto da un ufficiale tedesco a scegliere 10 persone da uccidere per rappresaglia ad un attentato. A causa dell'episodio Merrin perde la fede in Dio e nel 1949 viene ingaggiato per dirigere gli scavi in una zona orientale dell'Africa, in una colonia britannica: in quel posto è stata rinvenuta un'antichissima chiesa bizantina risalente al 5 d.C. Insieme a Padre Francis (Gabriel Mann), inviato dal Vaticano per indagare su tale chiesa, Merrin si reca sul luogo previa autorizzazione del comando britannico. Là incontrerà la dottoressa Rachel (Clara Bellar), insieme a lei, Merrin si prenedrà cura di Cheche (Billy Crawford), un ragazzo deforme considerato maledetto dalla tribù di appartenenza, che inizierà a guarire, dopo un intervento chirurgico, con una velocità miracolosa. La ragione di ciò è nascosta nelle catacombe della chiesa che, finché è rimasta sommersa dalla sabbia, ha potuto trattenere il Male contenuto nelle sue fondamenta.

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martedì 15 gennaio 2008

Recensione HAIRSPRAY

Recensione hairspray




Regia di Adam Shankman con John Travolta, Michelle Pfeiffer, Christopher Walken, Amanda Bynes, James Marsden, Queen Latifah, Brittany Snow, Zac Efron, Elijah Kelley, Allison Janney, Jerry Stiller, Paul Dooley, Nikki Blonsky

Recensione a cura di peucezia (voto: 7,0)

Musical per anni ai vertici di Broadway e già film con la regia dell'irriverente John Waters (1988) e con il travestito Divine nel ruolo della madre obesa, la storia dell'inno alle taglie extralarge ritorna sugli schermi in un remake meno trasgressivo e più politically correct.
Al posto di Divine un altro uomo en travesti, l'ex principe delle discoteche anni Settanta John Travolta da bacino rotante a grassona artefatta (complici le tutine ingrassanti siliconate e la computer graphic), qui mamma stiratrice e frustrata della pimpante protagonista.

La giovane interprete Nikki Blonsky diciottenne debuttante e realmente in carne si mostra comunque un'abile ballerina ed un'ugola d'oro promettente, con la speranza che il suo non sia un canto da cicala ma che, nonostante il fisico prorompente, riesca a mantenersi sulla breccia, in quanto le premesse ci sono tutte.
Zach Ephron, nuovo idolo delle teenager al di qua ed al di là dell'oceano grazie al celeberrimo "High School Musical" è letteralmente oscurato dalla partner femminile, e non solo per i chili di troppo della suddetta, ed il suo ciuffo a metà tra l'Elvis Presley prima maniera e il già citato Travolta-Danny in "Grease" non riesce a rendergli giustizia.
Michelle Pfeiffer è una credibile "cattiva", personaggio sopra le righe e dai toni leggermente esasperati, mentre Christopher Walken rivela un inaspettato talento comico nel ruolo del padre e marito delle due "false magre" come anche una inedita vena canterina.
Bravissimi poi gli attori di colore, dalla piccola ballerina a Queen Latifah.

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