venerdì 29 settembre 2006

Recensione MIAMI VICE

Recensione miami vice




Regia di Michael Mann con Jamie Foxx, Colin Farrell, Gong Li, Naomie Harris, Ciarán Hinds, Justin Theroux, John Ortiz, Luis Tosar

Recensione a cura di Jellybelly (voto: 6,5)

Nel trasporre sul grande schermo la serie TV "Miami Vice", da lui stesso prodotta, Michael Mann evita saggiamente di cadere nel citazionismo e nelle strizzatine d'occhio allo spettatore, limitandosi a mutuarne le atmosfere e la coppia di detective Sonny Crockett e Rico Tubbs, della narcotici di Miami.
I due saranno chiamati ad infiltrarsi nella banda di un influente trafficante di droga haitiano, José Yero, a seguito di un'operazione costata la vita a tre agenti dell'FBI.
Una volta nell'organizzazione, i due partner realizzeranno che Yero è in realtà un ingranaggio di un'organizzazione più vasta, il cui vertice è occupato dal boss Arcangel Montoya e dalla sua affascinate consorte cino-cubana Isabella.

Le atmosfere malsane dell'ambiente della droga in cui si trovano ad agire Crockett e Tubbs sono magistralmente rese da una regia perfetta nell'esaltarne lo squallore e l'inesorabile decadenza e dalla fotografia di Dion Beebe. Questa sottolinea con toni cupi, grigi, spesso volutamente sciatti e sgranati gli interni ed i dettagli dei territori di Yero e Montoya per poi illuminare il cuore dello spettatore con sublimi aperture di campo e riprese aeree: il grigiore di un muro incrostato lascia repentinamente il campo a distese di foreste pluviali, cascate, corsi d'acqua e motoscafi che solcano onde su cui si riflette il bagliore della luce crepuscolare.
La classe e la raffinatezza quasi sfacciata di regia e fotografia permeano ogni singolo fotogramma, proseguendo idealmente la ricerca di perfezione stilistica iniziata con "Collateral" nel 2004, sempre ad opera di Mann e Beebe: grazie all'utilizzo di macchine da presa ad alta definizione, anche un aereo che vola in un cielo nuvoloso diventa un'esperienza visiva intensa ed emozionante.

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Recensione L'ULTIMA ONDA

Recensione l'ultima onda




Regia di Peter Weir con Richard Chamberlain, Olivia Hammett, David Gulpilil, Frederick Parlsow, Nndijwarra Amagula, Walter Amagula, Vivean Gray, Malcolm Robertson

Recensione a cura di cash (voto: 10,0)

C'è un qualcosa di sublime nello scoprire che un noto regista che si tende ad adorare per taluni capolavori abbia, nei primordi della sua carriera, partorito gemme di valore ancora più grande rispetto ai film che normalmente qualificano il regista in esame come superbo. Ancor più sublime quando il soggetto in questione è l'australiano Peter Weir, assurto alla fama mondiale con film dal calibro di "Witness", "The Truman show" e "L'attimo fuggente".
Ma se fossimo capaci di celare per un sol momento il Weir gran mattatore di pubblico e fagocitatore di oscar, scopriremmo il Weir nudo, animato da una forza comunicativa di raro spessore, selvaggio come il suo cinema delle origini, sincero e profetico come non lo sarà più. Del resto il fuoco che arde maggiormente brucia più in fretta, forgiando con insolita vitalità due film tenuti insieme da un'aura mistica, sacrale.

I due film sono "Picnic ad Hangin Rock" e "L'ultima onda", due modi diversi per affrontare la medesima enunciazione e idealmente un'unica opera. Il tratto caratteristico di un Autore, ciò che lo distingue da un semplice regista, è giustappunto la presenza di un tema che anima e nutre le sue pellicole; e Weir sta al naturalismo come Miyazaki sta all'ecologismo. O perlomeno stava, perché il "grado zero" del cinema del valente australiano sta completamente in quei due film. Il resto è tuttalpiù, una nutrita salva di pellicole per compiacere più gli altri che non sè stessi; fatti i capolavori che mettono il proprio animo in pace, di solito si pensa a quello degli altri. Perché solo l'amore nei confronti della sincerità che un autore prova verso la propria idea può dar vita all'afflato plasmante un capolavoro che resisterà all'erosione che la memoria attiva. Le opere, anzi, i film insinceri saranno puniti con l'oblio.
"L'ultima onda", classe '77, sopravvivrà finché si avrà memoria di un cinema "alto", non banale, non scontato. E' purtroppo un raro caso che il medio avventore di videoteche possa conoscere questo film, anche a causa della pessima distribuzione che ha sempre avuto in suolo italico. Ma, per fortuna, la storia del cinema è costellata e composta principalmente da opere ignote ai più. Sussiste quindi la condizione per il capolavoro, ovvero la semiclandestinità; "L'ultima onda" è infatti un film che sprona all'intimità, e fa desiderare allo spettatore di rientrare nella ristretta élite che lo conosce, lo ha visionato, ed è stato in grado di apprezzarlo. Certe cose non si condividono.

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giovedì 28 settembre 2006

Recensione SCHIAVO D'AMORE

Recensione schiavo d'amore




Regia di John Cromwell con Reginald Owen, Bette Davis, Frances Dee, Leslie Howard

Recensione a cura di kowalsky

"Ho paura che accada sempre così, uno dei due che ama, l'altro che cerca di essere amato"

Primo e migliore adattamento cinematografico del romanzo omonimo scritto da William Somerset Maughan nel 1915 (deludenti le successive versioni, rispettivamente nel 1946 e nel 1964 ad opera di Edmound Goulding e Ken Hughes) "Schiavo d'amore" di John Cromwell appartiene di diritto alla tradizione dei migliori drammi hollywoodiani dell'epoca.
Il regista californiano (una carriera diseguale ma trionfale, si pensi solo a "Il prigioniero di Zenda" e "Solo chi cade può risorgere") riesce a filtrare splendidamente il clima d'angoscia del romanzo, anche nella rapida successione di eventi che sembrano ogni volta provocare la crisi interiore del protagonista.

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mercoledì 27 settembre 2006

Recensione BREAKFAST CLUB

Recensione breakfast club




Regia di John Hughes con Emilio Estevez, Paul Gleason, Anthony Michael Hall, Judd Nelson, Molly Ringwald, Ally Sheedy

Recensione a cura di Luca.Prete

Un "atleta", una "principessa", un "criminale", un "cervello" e una "svitata", è questo l'identikit dei cinque ragazzi dello Shermer High School costretti a trascorrere un sabato in punizione a scuola (dalle 7 alle 16) e a scrivere un tema dal titolo «Chi sono io»?.
C'è Bender, ragazzo problematico ed inquieto, Andy, grande sportivo, speranzoso di ottenere una borsa di studio per meriti agonistici, Brian, il secchione ma con difficoltà a relazionarsi con gli altri, soprattutto con il sesso opposto Claire, ricca e viziata a cui la famiglia non ha mai fatto mancare nulla ed Allison, ragazza piena di complessi e di fobie.

Solo tra Andy e Claire c'è una conoscenza, ma i restanti è come se, nonostante frequentassero lo stesso liceo, si fossero visti per la prima volta. Ognuno appartiene ad un proprio mondo, il quale non ha alcun punto di contatto con quello degli altri ragazzi.
Le incomprensioni e i primi litigi nel gruppo non tardano ad arrivare, soprattutto tra Claire e Bender. Il clima di tensione viene ulteriormente appesantito dalla figura del preside del liceo, il signor Vernon, il quale, etichetta i cinque studenti con cliché e preconcetti, senza concedergli la possibilità di farsi conoscere.

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martedì 26 settembre 2006

Recensione L'ULTIMO UOMO DELLA TERRA

Recensione l'ultimo uomo della terra




Regia di Ubaldo Ragona con Giacomo Rossi Stuart, Vincent Price, Emma Danieli, Franca Bettoja, Umberto Raho

Recensione a cura di kowalsky (voto: 9,0)

"Sono padrone del mondo, un mondo vuoto e silenzioso"

Richard Matheson, scrittore e sceneggiatore di fama, pubblicò nel 1954 il suo romanzo più celebre "I am legend" (Io sono leggenda), divenuto col tempo uno dei classici della letteratura fantastica del Novecento.
I rapporti dello scrittore con il cinema furono sporadici ma intensi, non soltanto per le (tutto sommato rare) riduzioni cinematografiche dei suoi romanzi, ma anche per alcune preziose collaborazioni con grandi cineasti come Roger Corman (la trasposizione cinematografica di "Il crollo di casa Usher" di Poe, cfr. "I vivi e i morti") o l'Hitchcock di "Gli uccelli".
Dai suoi romanzi sono stati tratti comunque altri film di successo, come "Radiazioni b-x - distruzione uomo" - 1957 - di Jack Arnold, e il piu' recente "Al di là dei sogni" - 1998 - di Vincent Ward. Lo stesso script di "I am legend" ispiro' un altro film di culto, "1975: occhi bianchi sul pianeta terra" di Boris Sagal.
A proposito di "I am legend" si disse che l'ispirazione dell'autore venisse esclusivamente dalla visione del "Dracula" di Tod Browning, film che lo aveva favorevolmente impressionato.

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venerdì 22 settembre 2006

Recensione NON E' PECCATO - LA QUINCEANERA

Recensione non e' peccato - la quinceanera




Regia di Richard Glatzer, Wash Westmoreland con Emily Rios, Jesse Garcia, Chalo González, David W. Ross, Ramiro Iniguez, Araceli Guzman-Rico, Jesus Castanos, Johnny Chavez

Recensione a cura di kowalsky

"Quinceanera" è una popolare festa messicana di origine azteca, che sancisce il passaggio delle ragazze dall'adolescenza all'età adulta, contemporaneamente al compimento dei 15 anni di vita.
I primi fotogrammi del film ci portano nell'atmosfera della festa, e precisamente nella comunità messicana di Echo Park, a Los Angeles.
E' un rito fastoso, dove la Quinceanera è vestita come una sposa tradizionale, con l'abito bianco, i ragazzi vestono per la prima volta di nero, e le damigelle portano un abito rosso come quello di Rita Hayworth nel celebre film "Gilda" (non a caso la Hayworth alias Cansino era di origine messicana).
La festeggiata è una ragazza bellissima, Eileen, sfoggia un meraviglioso sorriso, e inaugura le danze, i balli, i primi ammiccamenti di seduzione.

Improvvisamente, alla festa arriva Carlos, fratello di Eileen, ripudiato dalla famiglia per la sua omosessualità (o per la sua vita sregolata?), che viene letteralmente picchiato dal padre e allontanato in malo modo dalla festa.
Successivamente, l'abito bianco di Eileen servirà, con qualche rintocco, per la prossima Quinceanera, la cugina Magdalene, che però rimane "misteriosamente" incinta dal suo ragazzo, e vede sbattuta fuori di casa dal padre, un ottuso predicatore evangelico.
L'uomo ritiene la rivelazione uno Scandalo (anche perché la tradizione messicana pretende che la Quinceanera arrivi vergine alla festa per i suoi 15 anni), e Magdalene si ritrova a casa di un anziano e bonario zio in compagnia del cugino Carlos, anch'esso ripudiato dalla famiglia.
Nonostante le divergenze, i due si trovano nella stessa situazione, e non possono accusarsi di mera condotta morale in quanto entrambi hanno creato imbarazzo nella loro famiglia.
Carlos è un perdigiorno che lavora saltuariamente e compie qualche piccolo furto, quando fa la conoscenza di una coppia di vicini gay che lo invitano ad una festa, e lì finisce per rompere il meccanismo della "strana" coppia (aperta, ma a patto che tutto sia condiviso) facendo l'amore con uno dei proprietari della casa. E mentre Magdalene - un nome, un destino - viene abbandonata dal suo ragazzo, e spera di riconciliarsi col padre, la Sua festa si avvicina, ma cominciano ben altri problemi...

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Recensione HARRY A PEZZI

Recensione harry a pezzi




Regia di Woody Allen con Woody Allen, Kirstie Alley, Billy Crystal, Elisabeth Shue, Demi Moore

Recensione a cura di mirko nottoli

Harry Bloch è uno scrittore di successo, apprezzato e ammirato da pubblico e critica. Il discorso cambia per quanto riguarda la vita privata: plurisposato e pluridivorziato, traditore impenitente, puttaniere recidivo, in analisi perenne, cinico, subdolo e disincantato, con ogni rapporto famigliare in frantumi. A tutto ciò si aggiunge la sua ultima fiamma che si sposa con il suo migliore amico, insieme al cosiddetto blocco dello scrittore a condurlo definitivamente sull' orlo di una crisi di nervi.

Al 27esimo film da regista, Woody Allen si smonta. Harry infatti è sì a pezzi ma si fa anche a pezzi: è l'unico modo per tentare un'analisi e magari tirare le somme per un bilancio della sua esistenza. La decostruzione è mentale ma evidenziata subito a livello formale: montaggio nervoso che spezza le azioni sul nascere (come dichiarato dall'incipit reiterato) e trama che procede a singhiozzi senza alcun preambolo tra passato, presente e futuro, tra realtà e immaginazione.
Allen lo fa utilizzando un linguaggio più irriverente ed esplicito del solito, soprattutto nei riguardi del sesso, e con un protagonista più attivo e concreto rispetto al passato (ad esempio, nelle precedenti pellicole è raro vederlo alla guida di un'auto). Rimangono i temi di sempre, gli stessi spunti geniali (passato già alla storia il Robin Williams sfocato) e un fuoco di fila di battute che basterebbero ad un' intera filmografia.
La Chiesa - tra l' aria condizionata e il papa scelgo l'aria condizionata - Dio - non sappiamo se Dio esiste ma sappiamo che esistono le donne... e alcune di loro vanno a servirsi da "Intimo Notte" - l'Amore - le due parole più belle non sono "ti amo" ma "è benigno" - l'Ebraismo - 6 milioni di ebrei uccisi e la cosa tragica è che i record sono fatti per essere battuti - niente e nessuno è risparmiato da un Allen tagliente come non mai, che procede cavalcando ancora con più forza quell'understatement che ci fa sentire leggerissime anche le cose più pesanti. Ma attenzione a non confondere forma e contenuto, a non sottovalutare dal tono dissacratorio un discorso molto più complesso di quanto voglia farci credere. E non può mancare l'analista, del quale però il nostro eroe non sembra più succube ma, tuttalpiù, abituato.

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giovedì 21 settembre 2006

Recensione LO SGUARDO DI ULISSE

Recensione lo sguardo di ulisse




Regia di Theo Angelopoulos con Harvey Keitel, Maia Morgenstern, Erland Josephson

Recensione a cura di Giordano Biagio

Questo film è un capolavoro poetico e letterario, ma non del tutto riconosciuto dalla critica e dal pubblico. Uscito nel 1995 a ridosso della spaventosa guerra nei Balcani "Lo sguardo di Ulisse" ha suscitato commozione e riconoscimenti critici importanti ma inspiegabilmente ristretti.
La pellicola si cala nelle profondità più sensibili della memoria, in quella parte dell'inconscio che racchiude sentimenti significativi della storia, antichi investimenti che imprigionano il linguaggio di un tempo.
Zone d'ombra che accompagnano con crudele fedeltà l'intercalare della vita e sono una perenne testimonianza di amori e odi velati dal pietoso potere del tempo.
E' il ritorno del ricordo, inaspettato e straniante. Qualcosa che racchiude una passione divenuta misteriosa e che proprio perciò viene reinterpretata, quasi nostro malgrado, per la necessità di dargli un senso nuovo, nel mentre ci si allontana da lei per fuggire al dolore che provoca.

Nel lancio distributivo la pellicola non ha avuto alcun aiuto, è stata incredibilmente sottovalutata dall'industria della scrittura cinematografica di tutto il mondo, probabilmente perché il film trattava il tema della nostalgia dell'emigrato che mal si presta allo spettacolo commerciale. E' come se l'arte pura che questo film incarna a pieno titolo non potesse avere accesso ad una normale pubblicità, parallela a quella sostenuta dal produttore.
Triste ma vero.
Il cinema inteso come arte, e non come spettacolo che crea emotività, non può ancora avere pari diritti pubblicitari con il film commerciale. Ciò accade In particolare nella promozione editoriale che precede l'uscita delle pellicole nelle sale.
Angelopoulos punta tutto sull'emozione che la guerra dei Balcani ha suscitato nel mondo e in particolare sugli esuli di quei paesi sparsi nei vari continenti. Lo fa curando estremamente la sincerità autobiografica che permea tutta la sua opera; essa favorisce negli spettatori proiezioni e identificazioni di grande avvolgimento partecipativo.
Il film è originale per stile e linguaggio visivo. Il regista rifiuta nella realizzazione sia soluzioni di spettacolo che un ripercorrimento scenico a ritroso su orme linguistiche già conosciute e percorse nello stesso genere. Angeloupolos segue fino in fondo, evitando compromessi di botteghino, una propria ispirazione artistica.

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mercoledì 20 settembre 2006

Recensione UNA PURA FORMALITA'

Recensione una pura formalita'




Regia di Giuseppe Tornatore con Tano Cimarosa, Sergio Rubini, Roman Polanski, Gérard Depardieu

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 10,0)

Un colpo di pistola e una frenetica corsa notturna fra boschi e strade di campagna sotto la pioggia battente. Un uomo (Gérard Depardieu), privo di documenti e in stato confusionale, viene fermato dalla polizia e condotto in uno sperduto e scalcinato commissariato, sito da qualche parte fra le montagne in una zona di confine (fra Italia e Francia?).
Attendendo l'arrivo del commissario, l'uomo in stato di fermo, reputando che i suoi diritti civili siano stati violati, dà segni di nervosismo e di un temperamento aggressivo che sfocia in una lotta con le guardie.
All'arrivo del commissario (Roman Polanski), l'uomo pretende il rispetto dei propri diritti consistenti nella concessione di fare una telefonata e nella dichiarazione delle ragioni che giustifichino lo stato di fermo. Ma ad aggravare la sua posizione contribuisce il fatto che egli, a giudizio del commissario, abbia dichiarato false generalità. L'uomo infatti si presenta come Onoff, un celebre scrittore, che sfortunatamente è anche l'autore preferito dal commissario, al punto che quest'ultimo conosce a memoria molti passi dei suoi romanzi.
Seguirà un lungo ed estenuante interrogatorio che finirà col chiarire tutta la vicenda così come le luci del giorno dipaneranno le ultime ombre di quella notte apparentemente interminabile.

"Una Pura Formalità" è la quarta pellicola realizzata da Giuseppe Tornatore (se si esclude "Il Cane Blu", un episodio del film "La Domenica Specialmente"). Il film fu presentato al Festival di Cannes, ma fu accolto con freddezza tanto dalla critica quanto dal pubblico.
"Giallo senza moventi, dramma senza pathos, thriller senza suspense, il film nel suo finale ultraterreno finisce per essere la classica montagna che produce il prevedibile topolino, storia di un giudizio talmente definitivo da lasciare indifferenti". Così viene definito in un noto Dizionario del Cinema. Ma tale affermazione non è universalmente condivisibile e a parere di chi scrive "Una Pura Formalità" può essere annoverato fra i capolavori.
Una storia solida, diretta con mano sicura ed esperta; dialoghi lunghi, complessi, intelligenti e finemente letterari; interpreti impareggiabili e perfettamente credibili; un'ambientazione curata fino ai minimi dettagli grazie all'ottimo lavoro di Andrea Crisanti (scenografo) e di Vincenzo De Camillis (arredatore) e valorizzata dalla fotografia di Blasco Giurato. È un film senza nessuna sbavatura, assolutamente perfetto.
Inutile dilungarsi troppo sulla storia. Anche se essa è ormai largamente conosciuta, si suggerisce a quanti siano interessati di vedere prima il film, e quindi leggere quanto segue, in quanto è inevitabile rendere noti alcuni dei suoi principali colpi di scena.

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martedì 19 settembre 2006

Recensione THE MAN - LA TALPA

Recensione the man - la talpa




Regia di Les Mayfield con Samuel L. Jackson, Eugene Levy, Luke Goss, Lindsay Ames, Randy Butcher, Michael Cameron, Susie Essman

Recensione a cura di peucezia

La contaminazione tra genere poliziesco e comico non è nuova nella cinematografia in particolare a stelle e strisce, infatti già negli anni settanta Walter Matthau si cimentava in una storia a metà tra la commedia e il thriller ("L'Ispettore Martin Ha Teso la Trappola") e d'altronde anche la popolare serie di telefilm "Starsky & Hucth" verteva proprio su questo mix.
Il non plus ultra si è toccato con le due pellicole interpretate da Nick Nolte e Eddie Murphy ("Quarantotto ore" e il suo seguito) creando la contrapposizione detta in gergo "buddy buddy" cioè di un duo abbastanza male assortito che però riesce perfettamente nella risoluzione dell'enigma.

"La talpa" film del 2005, uscito da noi strategicamente sotto Ferragosto perché considerato di basso profilo, si basa proprio su queste premesse iniziali: c'è un'indagine piuttosto complicata e un poveretto si ritrova coinvolto riuscendo determinante ai fini della conclusione positiva del caso.
Il "poveretto" in questione è Eugene Levy già visto in "American pie"e identificabile dalle sopracciglia cespugliose alla "Elio e le storie tese"; occhialoni e look da commesso viaggiatore anni Settanta, un po' nerd, un po' borghesuccio all'antica, logorroico, timoroso e decisamente imbranato.
L'altro ovvero il poliziotto che "non deve chiedere mai" è Samuel L. Jackson, nero, anticonvenzionale in omaggio al popolare "Serpico", look da afro, sguardo terribilmente imperativo e modi spicci.

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lunedì 18 settembre 2006

Recensione LA STELLA CHE NON C'E'

Recensione la stella che non c'e'




Regia di Gianni Amelio con Sergio Castellitto, Wang Biao, Tai Ling, Hiu Sun Ha, Angelo Costabile, Xu Chungqing

Recensione a cura di gerardo

La Cina non è più soltanto vicina: è già qui, tra noi. E quanto sia vicina lo dimostra la stessa attuale spedizione governativa e industriale italiana in quel paese, segno che un confronto socio-economico-culturale non è più procrastinabile.
Amelio, cinematograficamente avvezzo a viaggi e scoperte geografico-umane, ritaglia un personaggio italiano contemporaneo per inserirlo nel contesto del confronto tra la nostra cultura e quella dell'impero cinese. Con coraggio - bisogna riconoscerlo - Amelio affronta questo delicato discorso ponendolo sul piano dell'economia e del lavoro, che per forza di cose è necessariamente anche culturale.

Vincenzo Buonavolontà, il protagonista interpretato dal solido Castellitto, è un uomo della classe media operaia italiana, un manutentore dell'altoforno di un'acciaieria in dismissione. La crisi dell'acciaio, e più in generale della grande industria italiana, lo priva non solo del lavoro di sempre, ma anche dell'impianto a cui quel suo lavoro era dedicato. La dirigenza italiana trova conveniente vendere agli acquirenti cinesi l'altoforno di cui Vincenzo si occupava. E' una parte di sé che se ne va. Un altoforno di 30 anni da smantellare e trasportare dall'altra parte del mondo, un'esperienza lavorativa della medesima durata che finisce con quell'atto.
Per Vincenzo l'altoforno non è solo il cuore dell'acciaieria, ma il centro di tutta la sua esistenza, parte della sua anima. L'Italia, la vecchia Europa decadono, arrancano tra le maglie di un'economia in cambiamento, che ha allargato gli orizzonti, e dismettono il meglio delle loro creazioni a favore di nuovi antichissimi mondi/acquirenti in rapida disattenta espansione.

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Recensione SOTTO FALSO NOME

Recensione sotto falso nome




Regia di Roberto Andò con Daniel Auteuil, Greta Scacchi, Giorgio Lupano, Anna Mouglalis, Michael Lonsdale

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 7,5)

Dietro lo pseudonimo di Serge Novak, celebre e ricco scrittore, acclamato dal pubblico e dalla critica, si nasconde l'enigmatico Daniel Boltanski (Daniel Auteuil), ebreo di origine polacca che da tempo risiede in Svizzera con la moglie (Greta Scacchi).
Daniel Boltanski, schivo e riservato, preferisce l'anonimato garantitogli dallo pseudonimo a una vita pubblica e mondana nella quale chiunque potrebbe intromettersi.
"Perché uno pseudonimo?", chiede una giornalista.
"Per non lasciare ad una come lei il minimo controllo sulla mia vita!".
E questo anonimato gli consente di mischiarsi con la gente comune per studiarne i gesti, gli sguardi, il modo di relazionare, trovando così materiale per i suoi romanzi. Qualcuno gli invia, presso suo padre, una busta anonima contenete una penna e una fotografia in bianco e nero, rappresentante un uomo e una donna, il cui volto è stato cancellato. Mentre si sta recando a Capri per le nozze del figlio (Giorgio Lupano), Daniel incontra Mila (Anna Mouglalis) una ragazza erotica e sensuale, oltre che conturbante e criptica, che s'insinua nella sua vita, sconvolgendola.
In un intreccio di passioni, di segreti e di ricatti, Daniel dovrà fare i conti tanto con il proprio passato, quanto con il proprio presente.

"Sotto Falso Nome", film in lingua francese e dal cast internazionale, è la seconda prova alla regia di Roberto Andò. Questo interessante autore palermitano, dopo aver lavorato con artisti del calibro di Fellini, di Rosi, di Coppola e di Cimino, si è dedicato per lungo tempo al teatro e ha diretto "Robert Wilson Memory/Loss. Fragments of a Poetic Biography", "Per Webern 1883-1945: vivere è difendere una forma" e "Ritratto di Harold Pinter". Il suo primo lungometraggio intitolato "Diario senza date" (1995) fu presentato a Venezia, ed è stato premiato per la miglior regia al Festival di Sulmonacinema. Il suo esordio cinematografico vero e proprio si ha nel 2000 con una pellicola prodotta da Giuseppe Tornatore: "Il Manoscritto del Principe", un film decisamente raffinato.
"Sotto Falso Nome" ha le movenze e la struttura di un thriller e per questa ragione non mi dilungo sulla trama. Quello che però attrae maggiormente di questo film non è l'intreccio narrativo, che in un certo senso ed entro determinati confini sa di già visto. Infatti lo schema del thriller, costruito sul gioco degli scambi d'identità, su un passato nebuloso (ma non troppo) e sul ricatto, è un espediente narrativo atto a raccontare le vicende intimamente private del protagonista, che, così come ne "Il Manoscritto del Principe", è uno scrittore. Ad attrarre è proprio la caratterizzazione di questo personaggio, magnificamente interpretato da un grande Daniel Auteuil. Roberto Andò ha confessato di aver concepito, disegnato e scritto Daniel Boltanski appositamente per Auteuil. E la sua è stata davvero una scelta felice!
È così che il thriller cede il passo ad un opera letteraria, introspettiva e profondamente umana.

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venerdì 15 settembre 2006

Recensione PIRATI DEI CARAIBI: LA MALEDIZIONE DEL FORZIERE FANTASMA

Recensione pirati dei caraibi: la maledizione del forziere fantasma




Regia di Gore Verbinski con Johnny Depp, Orlando Bloom, Keira Knightley, Naomie Harris, Stellan Skarsgård, Jack Davenport, Bill Nighy

Recensione a cura di Harpo (voto: 5,5)

Il secondo capitolo delle avventure disneyane del capitano Jack Sparrow si presenta come uno dei film più pubblicizzati dell'anno. Il cast dai nomi importanti, insieme al grande budget investito dalla casa statunitense sembrano garantire un successo pari, se non superiore, al primo episodio della serie. Oltretutto, il marchio Bruckheimer assicura, da dieci anni a questa parte, un indiscusso trionfo al botteghino, tanto da renderlo uno dei più famosi produttori al mondo.
La cattiva novella, però, consiste nel vedere buttate vie tante risorse finanziarie. Va però ricordato che film come "La maledizione del forziere fantasma" hanno un consenso del pubblico inversamente proporzionale a quello della critica. Dette produzioni rientrano infatti in quel genere di pellicole ricordate con il nome "blockbuster", a simboleggiare film prettamente commerciali.

La trama, piuttosto semplice e lineare, è la continuazione naturale de "La maledizione della prima luna": il film inizia dove l'altro finisce.
Il capitano della Perla Nera, Jack Sparrow, deve saldare un debito con il perfido Davey Jones, comandante dell'Olandese Volante, una creatura metà uomo e metà pesce. Intanto Will Turner e la sua amata Elizabeth coinvolti proprio malgrado nelle peripezie dell'istrionico capitano, arrivando addirittura a incontrare lo sventurato (ex) commodoro Norrington.

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