Recensione audition
Recensione a cura di cash (voto: 10,0)
"Cara mamma, guarisci presto", i candidi e semplici auguri che accompagnavano un regalo. Candidi e semplici auguri quanto possono esserlo le aspettative di un bambino che si illude che la madre torni a casa per continuare la vita di sempre. Puro e semplice come può esserlo un regalo di un bambino. Un regalo che la madre non avrebbe ricevuto mai. Non sono necessari grandi avvenimenti e svolte epocali per mutare il destino di un uomo. Basta un secondo. Lo stesso secondo che, indifferente alla tenue speranza di Aoyama, giunse per portare con sè la vita di Ryoko. Quando quel secondo fosse giunto, Aoyama avrebbe preso coscienza della solitudine, e non ne sarebbe mai stato abbandonato. Quando quel secondo fosse giunto, suo figlio avrebbe raggiunto e coronato l'apice dell'amore senza condizioni, cieco e sordo, che avrebbe in seguito cercato in ogni sguardo, in ogni ombra, in ogni gesto. La solitudine avrebbe presto trovato un comodo giaciglio anche in lui. L'amore per la madre si sarebbe tramutato in sempiterno e angoscioso sentimento; non avrebbe mai più amato in siffatta maniera. L'amore è eterno quando eterno è l'oggetto dell'amore stesso, l'eternità che solo la Morte può dispensare. Può esistere in natura un legame più forte di quello che si può creare se l'oggetto della propria adorazione esiste, è esistito, ma non è più di questa terra?
"Audition", capolavoro miikiano girato nel 2000. Da molti considerata come l'opera più matura di Takashi.
"Audition" come punto di non ritorno della filmografia del prodigo, nonché geniale autore giapponese?
Può darsi; di certo non l'opera definitiva, ma ci siamo quasi. Quel che è notorio è che insieme a "Visitor Q", "Ichi the killer", i "Dead or alive" e "Gozu", "Audition" completa un temibile insieme che schiere di registi, anche famosissimi, gli invidieranno in eterno. Non si sa bene cosa o chi abbia infuso il puro dono del cinema in Miike, ma qualunque cosa sia stata le saremo grati in eterno; non c'è argomento che Miike non sia in grado di trattare in maniera eccellente. Non c'è sequenza che Miike non sia in grado di affrontare uscendone sempre a testa alta, con eleganza e stile. Non c'è storia che Miike non sia in grado di portare su grande schermo.
Nel lento e triste declino del cinema occidentale, un messia venuto dall'oriente irradia con le sue opere la via della ripresa e della dignità dell'istituzione cinematografica; per non affondare, come il Titanic, nell'oceano senza fine di film identici a sè stessi, per non puntare il cannocchiale nel firmamento costellato da medesimi astri all'apparenza scintillanti, in realtà rilucenti di bagliori riflessi che non divampano dal proprio interno. Il cinema di Miike ci promette un riscatto, ed è l'unico farmaco (o uno dei pochi) a riconciliare migliaia di anime perdute con il cinema stesso. A nutrire una tenue speranza: che qualche regista, da qualche parte, abbia ancora qualcosa da dire.
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