martedì 23 novembre 2004

Recensione IMMORTAL (AD VITAM)

Recensione immortal (ad vitam)




Regia di Enki Bilal con Linda Hardy, Thomas Kretschmann, Charlotte Rampling, Frédéric Pierrot, Thomas M. Pollard, Yann Collette, Derrick Brenner, Jean-Louis Trintignant

Recensione a cura di Pietro Salvatori

Se il fumetto alla francese incontra la computer grafica (succede un mezzo pasticcio)

Prendete un ambientazione alla Blade Runner, inserite in quel mondo luci, colori ed elementi di Stargate, immaginate personaggi alla Stalker e un'eroina alla Quinto Elemento, sognate una società controllata in modo poco chiaro dalla scienza medica come nell'universo di Gattaca e visualizzate tutto con una computer grafica alla Final Fantasy. Shakerate il tutto e avrete, grossomodo, Immortal (ad vitam), ultimo film dell'estroverso Enki Bilal.
Completamente ambientato nell'universo creato e disegnato nei fumetti dello stesso Bilal, Immortal è un'operazione stranissima, che coinvolge computer grafica, disegno animato, ma anche attori in carne ed ossa.

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venerdì 19 novembre 2004

Recensione SE MI LASCI TI CANCELLO

Recensione se mi lasci ti cancello




Regia di Michel Gondry con Jim Carrey, Kate Winslet, Kirsten Dunst, Tom Wilkinson, Elijah Wood, Mark Ruffalo, David Cross

Recensione a cura di Pietro Salvatori

Le sceneggiature di Charlie Kaufman destano sempre dibattito e interrogativi. La ricerca di artifici per perseguire una non linearità dello script sono una costante di quest'autore. Questa stessa dinamica autoriale è riscontrabile nel recente "Se mi lasci ti cancello", orripilante traduzione dell'americano "Eternal sunshine of the spotless mind". Ma, diciamocelo, non è la regia a non lasciar scivolare via il film come tanti altri dello stesso genere, ma, come già accennato, lo script. La storia in effetti è semplice, e non va oltre alla nascita, maturazione, e morte di un rapporto uomo-donna. Ma Kaufman si inserisce con divergenze "dal" e "nel" reale. L'elemento di discontinuità "dal" reale è la presenza di una società che opera una vera e propria cancellazione della memoria, alla quale prima si rivolge la lei della love story, una sorprendente Kate Winslet, quindi, per ripicca, il lui (Carrey). E qui s'inserisce con violenza la distorsione del reale, vero elemento portante e caratterizzante del plot. Il vero protagonista del film diventa la mente del protagonista, impegnata ad una lotta senza quartiere con gli "eraserhead" (il riferimento sarà voluto?), per salvare il ricordo della bella. Il piano di scena diventa quello di un immaginario personale in via di distruzione. Il che lascia molto spazio alla fantasia registica e all'istrionicità attoriale.

La ricerca dell'involuzione è abbastanza lucida e coerente, e la storia fila via liscia nonostante l'apparente criticità. Ma tutto sommato l'essere contorto è furbamente funzionale ad un opera che riscrive una commediola trasformandola allo stesso tempo in un potenziale campione d'incassi e in un film complesso-complicato, che riunisce il favore, abbastanza diffuso, della critica, e quello del pubblico. Se a tutto ciò aggiungete un finale non propriamente lieto come piace tanto a tutti (Durremat insegna), avrete un prodotto sicuramente fuori dalla norma, anche se non il capolavoro al quale tanti hanno gridato. Merito anche della prova attoriale di una sorprendente Winslet, che sicuramente sovrasta un Carrey un po' stereotipato e monocorde.

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mercoledì 17 novembre 2004

Recensione IL GRANDE LEBOWSKI

Recensione il grande lebowski



Regia di Joel Coen con Jeff Bridges, John Goodman, Julianne Moore, Steve Buscemi, David Huddleston, Philip Seymour Hoffman, Sam Elliott

Recensione a cura di Blutarski

Scritto e diretto da Joel ed Ethan Coen, autori di altri capolavori del calibro di "Fratello dove sei?" e del recente "Prima ti sposo, poi ti rovino", "Il Grande Lebowsky" è il prodotto di una comicità cinica e sagace, capace non solo di divertire ma anche di mettere seriamente in dubbio i più solidi principi della società americana, con una raffica di situazioni ridicole e battute pungenti che consacrano al mondo del cinema indipendente il lavoro di due menti davvero brillanti.

Ed in fondo per i fratelli Coen, il protagonista di questa commedia, "Drugo" (nell'originale "the Dude") o meglio Jeffrey Lebowsky, non è che una faccia della medaglia, quella che vede nel bowling la medicina per tutti i problemi e per le difficoltà della vita; egli è il simbolo di quegli americani che vivono ancora negli anni '60, che si rifiutano di crescere e soprattutto di farsi fagocitare e corrompere dai moralismi di una società fasulla e venale - quella degli anni '90 -. Drugo, Donny e Walter - gli amici del Bowling - sono i figli disgraziati del Vietnam, conseguenze scomode e indesiderate di una guerra che in realtà nei cuori dei reduci non è mai realmente finita. Se Drugo è una delle due facce della medaglia, il sig. Jeffrey "The Big" Lebowsky è sicuramente l'altra: ricco e scorbutico uomo d'affari costretto su una sedia a rotelle, anch'egli è una vittima di un conflitto, quello in Corea, che ha intrapreso una strada diversa da quella di Drugo. E l'omonimia su cui è incentrata questa storia "piena di input e di output" é voluta non a caso per sottolineare come i due personaggi siano simili nella loro diversità: sono entrambi ancora visibilmente segnati dalla guerra ma hanno reagito diversamente, quindi lo scontro tra i due è inevitabile; mentre Drugo ha preferito la via degli "sbandati" e combattuto la sua rivoluzione sociale, il sig. Lebowsky ha preferito scalare la società, convinto che questo avrebbe legittimato il suo sforzo impiegato durante la guerra. Ma andiamo con ordine...
A causa di questa famigerata omonimia, Drugo si ritrova il tappeto urinato dagli scagnozzi di un creditore, tale Jackie Treehorn produttore di lungometraggi porno "dalla trama alquanto scadente", venuti a riscuotere il denaro per conto del capo. Su consiglio/costrizione dell'agguerrito e bellicoso Walter, decide di recriminare la vicenda al vero sig. Lebowsky. Drugo vuole solo riavere indietro quel suo tappeto, non perché avesse un inestimabile valore, ma tanto perché "dava un tono all'ambiente" di casa. Ma la vita è come una lunga strada da percorrere e come in tutte le lunghe strade capita di prendere delle buche, così basta un niente, un "piccolo" imprevisto, che una giornata ti va storta e ti cambia tutto: la tranquilla esistenza di Drugo, fatta di irrinunciabili partite di Bowling con gli amici, flebo di Whithe Russian, spinelli e qualche trip di acidi occasionale, sarebbe stata di lì a poco stravolta, catapultandolo tra improbabili inseguimenti in macchina, falsi rapimenti, sparatorie con bande di criminali nichilisti senza scrupoli, intriganti incontri amorosi, ma anche spiacevoli perdite, tutto questo condito da originalissimi e colorati intermezzi onirici - per non dire trip mentali -, delle vere e proprie clip musicali che intonano straordinariamente con l'atmosfera del film.

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martedì 16 novembre 2004

Recensione L'AMORE RITROVATO

Recensione l'amore ritrovato




Regia di Carlo Mazzacurati con Maya Sansa, Stefano Accorsi, Marco Messeri, Luisanna Pandolfi

Recensione a cura di peucezia

Liberamente tratto da "Una relazione", scritto da Carlo Cassola nel 1969, il film è una storia di sesso e passione consumatasi nel periodo antecedente alla guerra d'Africa (1936).
Giovanni (Stefano Accorsi), bancario sposato e padre, rivede casualmente Maria (Maya Sansa) una sua ex fiamma dal passato alquanto vivace. Tra i due rinasce la passione, caratterizzata dall'incessante brama di possesso di lui. Ma la storia non può avere un seguito.
Questa la trama, degna di un mélo d'altri tempi, o peggio di una soap o telenovela tanto in voga ai nostri giorni.

Sicuramente sulla carta questa pellicola aveva molti elementi di interesse: la trasposizione di un lavoro di Cassola (il suo celebre "La ragazza di Bube", proposto per il grande schermo nel 1960, ha consacrato come interprete drammatica l'allora giovanissima Claudia Cardinale), la presenza di due tra i più promettenti giovani attori italiani, la regia di Carlo Mazzacurati (ricordiamo tra i suoi lungometraggi "Il toro", con Diego Abatantuono), ma purtroppo quanto promesso non è stato reso.
Il film è stentato, gli attori sembrano molto a disagio, Maya Sansa ci regala i suoi celebri sorrisi ma sembra non "sentire" il ruolo; quanto ad Accorsi non è il massimo in quanto a mimica facciale giacché la sua espressione non cambia mai a prescindere da quanto stia dicendo o da quale azione stia svolgendo.

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venerdì 12 novembre 2004

Recensione LE CHIAVI DI CASA

Recensione le chiavi di casa




Regia di Gianni Amelio con Kim Rossi Stuart, Charlotte Rampling, Andrea Rossi, Alla Faerovich, Pierfrancesco Favino

Recensione a cura di peucezia

Torna Gianni Amelio con un film duro e asciutto che trafigge come una lama affilata e affronta un tema delicato: l'handicap visto dalla parte dei genitori di figli disabili.
Un giovanissimo padre volutamente bello (Kim Rossi Stuart) dopo quattordici anni di rifiuto accompagna il figlio disabile Paolo (Andrea Rossi) in Germania per delle visite mediche.
Paolo si accompagna ad un bastone, ha un andatura incerta e grossi problemi, ma cerca di affrontare la vita con ingenuità ed entusiasmo e -a poco a poco- suo padre se ne sente preso.
Il bisogno di affetto e il desiderio di essere autonomo di Paolo (le chiavi di casa simboleggiano la avvenuta indipendenza dei figli quando hanno raggiunto le soglie dell'adolescenza) superano i limiti del suo handicap e lo rendono per un attimo un adolescente come tanti altri con le sue pulsioni e la sua voglia di scoprire il mondo.
La storia raccontata nel film è tutto sommato molto semplice ma è resa speciale dalla straordinaria bravura di Andrea Rossi e dall'interpretazione sofferta e malinconica di Charlotte Rampling nel ruolo della madre di una ragazza con un grave problema di disabilità, mentre invece Kim Rossi Stuart appare alle volte troppo rigido e distaccato.

Di pellicole sui disabili ultimamente ce ne sono state molte (basti pensare a "Il mio piede sinistro" con Daniel Day Lewis o a "Rain man" interpretato splendidamente da Dustin Hoffman) ma Amelio è andato oltre.
Non si è avuto paura di mostrare veri disabili anche nella loro nudità, ci si è affidati ad una sceneggiatura lineare con dialoghi spesso ridotti all'osso e a volte ripetitivi resi però efficaci soprattutto grazie allo spiccato e simpatico accento romanesco del giovane coprotagonista.
Intorno a Paolo e a suo padre, Berlino e il suo clima freddo e la Norvegia d'inverno a fare da sfondo alla riappropriazione della paternità da parte di Gianni (Rossi Stuart).
Per un genitore di un figlio disabile c'è molta fatica ("il lavoro sporco delle madri" nelle parole della Rampling), momenti di crisi ma anche tanta gioia davanti ai piccoli progressi dei propri figli.
Delicata la citazione del libro di Giuseppe Pontiggia "Nati due volte" a cui il film è ispirato, tanto lieve da non correre il pericolo di diventare una pubblicità e azzeccata la colonna sonora (la canzone di Vasco Rossi sparata a tutto volume per strada).

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martedì 9 novembre 2004

Recensione COLLATERAL

Recensione collateral




Regia di Michael Mann con Tom Cruise, Jamie Foxx, Jada Pinkett Smith, Mark Ruffalo, Peter Berg, Bruce McGill, Javier Bardem

Recensione a cura di Pietro Salvatori

"Hey Max. Un uomo sale sulla metropolitana, qui a Los Angeles, e muore. Pensi che qualcuno se ne accorgerà?"

Uno dei finali più intensi e toccanti degli ultimi tempi chiude un film che non mostra mai la corda.
Azzeccata la colonna sonora, azzeccato un digitale che esplora la notte losangelina più di quanto farebbe l'occhio umano, azzeccata la scelta degli attori.
Unica pecca, forse, la sceneggiatura, che alcune volte si scorda che, come dice qualcun'altro, "parlare non è l'unico modo di comunicare".
Ma a questo film, e a Mann, glielo si perdona facilmente.

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lunedì 8 novembre 2004

Recensione NEL MIO AMORE

Recensione nel mio amore




Regia di Susanna Tamaro con Licia Maglietta, Urbano Barberini, Vincent Riotta, Damiano Russo, Alessia Fugardi, Chiara Lucisano, Sara Franchetti

Recensione a cura di mavic

Per il debutto nella regia Susanna Tamaro gioca in casa e si affida al suo racconto "L'inferno non esiste", tratto dal libro Rispondimi. Il film e' un vero e proprio manifesto programmatico del pensiero della scrittrice, calibrato su tempi lenti e che lasciano affiorare la bellezza del creato come antidoto al dolore. La pellicola e' ambientata in Friuli, terra d'origine della Tamaro: Stella (Licia Maglietta) e' una donna che ancora giovane ha provato tutta la gamma della sofferenza umana, ad inizio film la sua famiglia e' distrutta, il figlio 15enne Michele morto, la figlia, con la quale il rapporto non e' mai stato sereno, partita per l'Inghilterra, il marito appena morto d'infarto. E' a questo punto della sua vita che Stella decide di ritornare nella casa avita dei genitori, cercando un lenimento al suo tormento di donna e alla sensazione di fallimento esistenziale. Il film ripercorre in flashback tutta la vicenda, e sappiamo così che l'inferno può esistere se in una famiglia non alligna l'amore e la comprensione; Stella e il marito Fausto (Urbano Barberini) non hanno saputo dall'inizio costruire l'amore, e il rapporto si deteriora quando Fausto non accetta il secondogenito, temendo di non esserne il padre. La tragedia e' dietro l'angolo, Michele muore in un incidente causato involontariamente dal padre, e l'inquadratura dall'alto della regista incornicia una scena da compianto sul Cristo morto, con la mater dolorosa che stringe al petto il figlio ormai esanime. Nel suo ritorno alla vita Stella sarà decisivamente aiutata da un amico di Michele alquanto misterioso, che solo nel finale svelerà la sua vera natura.

Tecnicamente molto curato, si avverte la continua ricerca della giusta composizione dell'immagine, il film presenta uno svolgimento a tesi, che inevitabilmente finirà per compiacere alcuni spettatori e scontentarne altri, procede per affermazioni apodittiche ("e' la bellezza che ci lega al mistero", "dovremmo cercare di essere il bene più che farlo") e si chiude, senza sorprese, con l'esaltazione dell'unica verità che ci rende liberi, la fede. Come al solito mirabile l'interpretazione della Maglietta, che regge da sola tutto il film con il volto segnato, mentre Urbano Barberini e' un po' sopra le righe nei suoi continui accessi d'ira che francamente paiono a volte artificiosamente eccessivi, vedi la tirata un po' spiccia su un Gesù privo di nerbo che non seppe evitare la Crocifissione.

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