venerdì 27 aprile 2007

Recensione THE NUMBER 23

Recensione the number 23




Regia di Joel Schumacher con Jim Carrey, Virginia Madsen, Paul Butcher, Patricia Belcher, Michelle Arthur, Logan Lerman, Danny Huston

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 5,0)

"Siate sicuri che i vostri peccati vi troveranno".

L'ossessione per un numero "magico" e soprannaturale, che si trasforma in un delirio contro il Caso inteso come Deus Ex Machina. Il delirio che si trasforma in una parabola sul senso di colpa e sulla redenzione. Il senso dell'inesorabilità derivante dalla consapevolezza di far parte di un gioco in cui tutto è già stato scritto, di essere vittime di un ordine prestabilito.

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giovedì 26 aprile 2007

Recensione SUNSHINE

Recensione sunshine




Regia di Danny Boyle con Hiroyuki Sanada, Mark Strong, Benedict Wong, Cillian Murphy, Cliff Curtis, Michelle Yeoh, Troy Garity, Chris Evans, Rose Byrne

Recensione a cura di ferro84 (voto: 5,0)

La cinematografia inglese degli ultimi anni sta cercando, a fatica, di trovare un anello di congiunzione fra la tradizione cinematografica americana e quella europea; i risultati possono essere del tutto soddisfacenti come nel caso de "I figli degli uomini" o assolutamente al di sotto delle aspettative, come in "Sunshine".

A Danny Boyle va riconosciuto il coraggio di essersi cimentato in un genere che attualmente non gode di ottima salute: la fantascienza.
A causa del ritorno in auge del fantasy il genere fantascientifico si è eclissato pur potendo annoverare alcuni dei titoli più significativi della storia del cinema. Detto ciò i pregi tendono a finire qui, un po' perché comprensibilmente è difficile trovare un soggetto davvero originale in un genere che ha raccontato ormai di tutto e, in secondo luogo, perchè la regia ambiziosa e la sceneggiatura labile non riescono a tenere insieme le trame di un racconto che resta sfilacciato e banale.

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martedì 24 aprile 2007

Recensione MARNIE

Recensione marnie




Regia di Alfred Hitchcock con Tippi Hedren, Sean Connery, Diane Baker, Martin Gabel, Louise Latham

Recensione a cura di Giordano Biagio (voto: 9,0)

Questo film, uscito nel 1964, è uno dei thriller più suggestivi ed emozionanti creati da Hitchcock; nonostante il buon risultato ottenuto sul congegno narrativo, la risonanza critica che tuttora accompagna questo film non lascia dubbi sul fatto che sia stato in buona parte incompreso.

"Marnie" è un film a colori forti, inquietanti: tinte aggressive che evocano pulsioni passionali. Un'opera che lascia stupiti per le ideali proporzioni figurative e sceniche costruite da Hitchcock tra spettacolo, credibilità dei personaggi, attendibilità dei fatti raccontati, e un non facile suspense avente per oggetto un grave problema psicologico.
La pellicola mostra qualità particolari nei contenuti e una notevole ricchezza di forma, quest'ultima appare molto ricercata ma mai affettata, sempre fluida e coerente con il difficile tema psicanalitico trattato: in virtù di un linguaggio visivo altamente comunicativo e sempre sopra le righe.

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lunedì 23 aprile 2007

Recensione AL DI LA' DELLA VITA

Recensione al di la' della vita




Regia di Martin Scorsese con Nicolas Cage, Patricia Arquette, John Goodman, Ving Rhames, Tom Sizemore, Queen Latifah

Recensione a cura di foxycleo (voto: 8,5)

Martin Scorsese continua a raccontarci New York, una delle metropoli più intriganti del mondo, in modo sempre efficace e mai scontato. La Grande Mela di questo film è notturna, riportando immediatamente la memoria dello spettatore alle vicende del giovane paranoico tassista di nome Travis, protagonista di "Taxi Driver", personaggio perseguitato dalla solitudine. Ne "Al di là della vita" ritorna prepotentemente il tema della solitudine, così come quello della paranoia e della difficoltà ad avere contatti umani sinceri.

Lo scenario notturno di questa New York rispecchia l'umanità grigia, abbandonata e stanca che la popola; tale desolazione è in aperto contrasto con le luminose, improvvise e veloci sirene che attraversano parte della città per soccorrere un dolore, non sempre recuperabile.

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venerdì 20 aprile 2007

Recensione L'INTOUCHABLE

Recensione l'intouchable




Regia di Benoît Jacquot con Louis-Do de Lencquesaing, Jérémie Elkaïm, Marc Barbé, Bérangère Bonvoisin, Isild Le Besco

Recensione a cura di kowalsky (voto: 4,0)

Il cinema di Jacquot è spesso accusato di dimenticare i suoi personaggi per occuparsi unicamente dello script; a Jacquot verrebbe a mancare la profondità psicologica che, anche nel suo film più celebre, "Sade" rischiava di cadere nella semplice celebrazione (pure insolitamente agiografica) del personaggio dell'ineffabile Marchese.
In realtà stiamo semplicemente parlando di un autore mediocre, capace a tratti, anche se a modo suo e con molti limiti, di raccontare una storia con gusto e forse poesia, ma del tutto deficitario nell'ereditare dai rispettivi soggetti le potenzialità che potrebbero avere i suoi film.

"L'intouchable", presentato in concorso alla 63esima mostra del cinema di Venezia, è stato ignobilmente distrutto dalla critica ed è stato finora accolto con indifferenza dagli spettatori.
E' facile comprenderne i motivi, anche se probabilmente vanno ben oltre le pretese di raccontare un Paese in modo diverso dallo "sguardo occidentale" (forse il solo Amelio, sulla Cina, al di là della sua staticità, ha detto qualcosa di meglio).
Probabilmente la ragione dell'avversione verso questo film è la scarsa empatia che proviamo per il personaggio, la sua indiscussa antipatia, nonostante la vicenda dovrebbe in qualche modo toccarci profondamente.

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Recensione L'ULTIMO INQUISITORE

Recensione l'ultimo inquisitore




Regia di Milos Forman con Natalie Portman, Javier Bardem, Stellan Skarsgård, Randy Quaid, Wael Al Moubayed, Simó Andreu, Scott Cleverdon

Recensione a cura di Kater (voto: 6,5)

Stando a quanto dichiarato dallo stesso Forman, questo film è stato da lui lungamente desiderato, fin da quando studente leggeva i racconti sull'inquisizione spagnola, e come spesso accade con le cose che si desiderano molto e molto a lungo, le cose sulle quali si riflette forse troppo, quando vengono finalmente realizzate deludono.

Forman purtroppo non è sfuggito a questa profezia.

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giovedì 19 aprile 2007

Recensione PERFECT STRANGER

Recensione perfect stranger




Regia di James Foley con Bruce Willis, Halle Berry, Giovanni Ribisi, Gary Dourdan, Nicki Aycox, Cynthia Loebe, Jason Antoon, Patti D'Arbanville, Richard Portnow

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 4,5)

Fin dove sei disposto ad arrivare per conservare un segreto?

Ignorando la risposta a tale quesito, ci si trova a porre un'altra domanda: fin dove sono disposti a spingersi gli autori contemporanei per realizzare un thriller dal finale sorprendente quanto l'eiaculazione in un coitus interruptus?
Non si può certo pretendere grandi cose da un film, i cui autori hanno dichiarato con un compiacimento incomprensibile di aver diretto tre finali differenti con tre assassini differenti.
Questo bisogno orgasmico di ricercare un finale con un imprevedibile colpo di scena, che stupisca il pubblico, è divenuto una pratica fine a se stessa, piuttosto sgradevole e che non nobilita in nessun modo le pellicole i cui autori, evidentemente ormai privi di idee, decidono di ricorrere a tale logoro cliché.
Un buon thriller non viene affatto pregiudicato da un finale prevedibile, se detta prevedibilità è conseguenza di una meticolosa preparazione e disposizione di indizi, oltre che di una rigorosa progressione logico-narrativa dell'evoluzione della vicenda. Anzi, in questo caso la prevedibilità, intesa come caratteristica intrinseca del processo logico-deduttivo, diventa un merito degli autori, che si dimostrano onesti tanto nei confronti del pubblico quanto nei confronti della storia narrata.
Un thriller che abbia una storia solida è ben costruita, inevitabilmente non può avere che un solo finale. Il fatto che gli autori di "Perfect Stranger" abbiano potuto permettersi di girarne tre differenti è già un referente chiarissimo della mediocrità e della disonestà del prodotto. È vero che grazie ad un'attenta osservazione delle sequenze, specie di quelle iniziali, l'identità dell'assassino sia facilmente intuibile, ma questo avviene solo a causa della sconcertante banalità della storia narrata. Girare tre finali differenti e che siano comunque possibili e credibili, implicherebbe in realtà girare tre film differenti. Poiché questo non è avvenuto, allora balza agli occhi di come, fino ad un certo punto della progressione narrativa della pellicola (praticamente quasi fino allo scadere dei centodieci minuti di durata), l'assassino potrebbe essere davvero chiunque. Infatti il film è disseminato di indizi che secondo una chiave di lettura possono portare ad un personaggio piuttosto che ad un altro, tutto dipende esclusivamente dalle rivelazioni finali. Sono tutti indizi, benché labili, volti a creare sospetti che vanno al di là di qualsiasi forzatura narrativa.
Gli autori di "Perfect Stranger" hanno infine adottato una soluzione, che in questa sede è inutile raccontare ed analizzare, che mette a dura prova il senso di realtà del pubblico. Una soluzione forzata e quanto mai improbabile, ma al tempo stesso prevedibile e scontata. Lo spettatore più accorto si sentirà schernito, poiché è come se il regista si mettesse di fronte a lui e gli dicesse: "La storia è mia e faccio capitare tutto quello che mi pare".

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Recensione RADIOFRECCIA

Recensione radiofreccia




Regia di Luciano Ligabue con Stefano Accorsi, Luciano Federico, Alessio Modica, Enrico Salimbeni, Roberto Zibetti, Francesco Guccini, Serena Grandi

Recensione a cura di foxycleo

Dalle canzoni, fin troppo ambientate "in riva al fosso", Luciano Ligabue passa alla regia mettendosi alla prova con l'immagine in movimento per descrivere la provincia, per figurare i fossi ed il bar, che può chiamarsi Mario o Sport o Laika senza cambiare sostanza. Anzi racconta molto di più di questo: narra la fine di una stagione, di quegli anni '70 vissuti sul filo tra voglia di libertà, bramosia di comunicare col mondo, sete di nuove idee, tra eroina e bombe, tra violenza e tradizione, lo racconta con un pizzico di retorica, qualche lungaggine e tanta nostalgia.

Della vita in provincia Ligabue ha un'esperienza diretta, come altrettanto bene conosce la nascita delle radio libere, quelle che effondevano un senso di affrancamento simile ad un profondo respiro che allarga i polmoni, quelle che erano sciolte da vincoli commerciali e di censura; illustra tutte queste emozioni attraverso il vissuto di un gruppo di amici, un microcosmo composto da ragazzi che hanno nome cognome e soprannome, che hanno sogni che si trasformano in realtà per mutare in impegni, che hanno genitori con i quali confrontarsi ed amori da cercare, personaggi a volte stereotipati, ma molto convincenti nelle loro caratterizzazioni.
Le macchiette nel film sono altre, sono gli strambi esseri umani in cui si può incappare in molti paesi scarsamente popolati: c'è Bonanza, fissato eccessivamente con il cinema, e Kingo, che sente di avere fin troppe affinità con Elvis; ancora Virus, che cerca di attirare l'attenzione dei compaesani ingurgitando qualsiasi cosa gli capiti a tiro... Fosse anche una Cinquecento!
E poi c'è il barista, che è anche l'allenatore della squadra di calcio del paese, interpretato senza studio ma con molto cuore da Francesco Guccini, che ha il ruolo chiave di fare scoprire la libera comunicazione al gruppo di protagonisti.

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mercoledì 18 aprile 2007

Recensione MIO FRATELLO E' FIGLIO UNICO

Recensione mio fratello e' figlio unico




Regia di Daniele Luchetti con Riccardo Scamarcio, Elio Germano, Angela Finocchiaro, Massimo Popolizio, Luca Zingaretti

Recensione a cura di peucezia (voto: 7,0)

Daniele Luchetti, da sempre attento alla vita sociale del nostro paese, dopo una serie di film contemporanei come "Il portaborse" e "La scuola", nei quali gettava il suo sguardo impietoso sul nostro malcostume, e dopo una incursione storica nella Resistenza con "I piccoli maestri", si occupa stavolta di un decennio assai significativo per la crescita spirituale italiana, gli anni Sessanta e Settanta, visti attraverso lo sguardo e le esperienze di un ragazzo che li attraversa da adolescente e da giovane inquieto. Il titolo è ispirato ad una caustica canzone del compianto cantautore Rino Gaetano ma, come si sottolinea nei titoli di coda, il film ha poco a che fare con l'intreccio del brano ed è piuttosto ad "Il fasciocomunista"di Antonio Pennacchi che attinge Luchetti per la sua pellicola.

Il protagonista assoluto del film è Accio cioè Antonio Benassi, terzogenito di una famiglia unita ma poco affettuosa nei suoi confronti, di una religiosità severa e di rigidi costumi. Il ragazzo passa attraverso esperienze estreme e sempre animato da un'ingenua volontà di fare il bene ed aiutare gli ultimi, a cui si sente vicino. Il Bene però poco sostenuto da una capacità autocritica e sorretto invece da una scarsa flessibilità e da un'altrettanto rigida mentalità finisce inevitabilmente per scontrarsi con le regole, le idee degli altri e per sfociare nel Male. Accio viene considerato un ragazzo cattivo (da qui il suo soprannome offensivo), poco giudizioso, emarginato, ingannato persino dal suo padre spirituale - un venditore ambulante interpretato con dignità da Luca Zingaretti, ormai deciso a non essere solo il commissario Montalbano per l'immaginario collettivo - sempre picchiato e sottovalutato dalla famiglia, da una madre che non lo stima né lo considera, da un padre assente.

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martedì 17 aprile 2007

Recensione HURRICANE - IL GRIDO DELL'INNOCENZA

Recensione hurricane - il grido dell'innocenza




Regia di Norman Jewison con Denzel Washington, John Hannah, Deborah Kara Unger, Vicellous Reon Shannon

Recensione a cura di Aliena

Il film affronta la storia del pugile afro americano Rubin Carter detto Hurricane, quasi campione mondiale dei pesi medi, che venne arrestato insieme ad uno sconosciuto (John Artis) con la tuttora non dimostrata accusa d'omicidio. Durante la detenzione, Carter scrisse dell'irregolare vicenda giudiziaria subita in un libro che fece parlare e cantare personaggi di spicco come Cassius Clay e Bob Dylan. Dopo 22 anni di reclusione il suo caso fu riesaminato senza pregiudizi razziali e venne decretata la sua piena innocenza.

Poteva una storia del genere, in cui il balletto giustizia- sopraffazione si muove tanto bene, non trovare il suo produttore cinematografico? Certo che no, ed infatti eccolo qua: "Hurricane" il grido della "libertà"!
Per il semplice fatto che si basa su una storia reale questo film non si fa solo guardare con interesse, ma concede ad un animo volontariamente limpido il coinvolgimento emotivo necessario che porta inevitabilmente ad inumidire l'occhio di fronte a gravi ingiustizie, nonché a tirare il sospiro consolatorio e a mandare a letto il pensiero fiducioso nelle umane sorti collettive.
Eppure tale grande speranza, figlia della realtà, viene banalmente ricomposta dalla concernente versione filmica.

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lunedì 16 aprile 2007

Recensione I SEGNI DEL MALE

Recensione i segni del male




Regia di Stephen Hopkins con Hilary Swank, AnnaSophia Robb, Idris Elba

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 6,5)

Il regista giamaicano Stephen Hopkins, dopo aver spaziato fra vari generi cinematografici, dal thriller di forte impatto drammatico quali "Blown Away - Follia Esplosiva" (1994) e "Spiriti nelle Tenebre" (1996), passando dall'azione fantascientifica di "Lost in Space" (1998) al dramma giudiziario di "Under Suspicion" (2000), fino alla biografia drammatica di Peter Sellers "Tu Chiamami Peter" (2004), ritorna a quello che era stato il suo genere d'esordio: l'horror. Egli infatti non solo ha diretto il quinto episodio cinematografico della serie di "A Nightmare on Elm Street" e "Predator 2", ma ha girato anche vari episodi di serie televisive horror quali i "Racconti della Cripta" e "Vault of Horror".

"I Segni del Male" è la sua decima regia cinematografica (se si include anche "Dangerous Games" di cui è co-regista insieme con David Lewis) e il suo primo horror svincolato da saghe già affermate.
Il titolo italiano è capzioso e fuorviante, mirato ad una facile presa sul pubblico. Si deve tuttavia ammettere che una traduzione letterale del titolo originale sarebbe piuttosto cacofonica, anche se assai più attinente alla storia narrata. "The Reaping" infatti significa "La Mietitura", ma da intendersi una mietitura operata con la falce. E allora, direte voi, perché non tradurlo con falciatura? La distinzione è semplice e sottile: con falciatura s'intende l'atto del falciare, del tagliare con la falce (fra cui anche il mietere); con mietitura ci si riferisce tanto all'atto del mietere, ossia del tagliare i cereali giunti al momento della maturazione, quanto alla stagione in cui si miete. Quest'ultima accezione sembrerebbe essere quella più confacente al titolo di questo film.

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Recensione ROSEMARY'S BABY

Recensione rosemary's baby




Regia di Roman Polanski con Mia Farrow, John Cassavetes, Ruth Gordon, Sidney Blackmer, Maurice Evans, Ralph Bellamy, Victoria Vetri

Recensione a cura di Gabriela

Nel 1968 un giovane regista controcorrente colpì con un film impressionante, carico di paura psicologica e con un finale fuori da ogni schema. Roman Polanski era convinto in quegli anni che il mondo dovesse prepararsi per un evento - essere testimone dell'arrivo della bestia - ed il suo intento era quello di arrivare al pubblico in un modo semplice ma con un ritmo crescente e ricco di tensione.
Tratto dal romanzo di Ira Levin, "Rosemary's baby" è uno dei film che meglio riesce a sostenere il fragile equilibrio tra diversi generi, come quello del terrore gotico e della satira sociale: ha difatti lasciato il segno per la sua ottima sceneggiatura, la sua eccellente regia, bravissimi interpreti e ovviamente un tema, come quello dell'anticristo, raccontato nel più incisivo dei modi possibili.

Il film è un raffinato thriller psicologico con implicazioni sataniste che ha come elemento distintivo l'angoscia, descritta partendo dal racconto della vita di una coppia felice che si trasforma nel peggiore degli incubi. Polanski crea un'atmosfera cupa ed oppressiva, spingendo lo spettatore a desiderare ardentemente di vedere la protagonista - una splendida Mia Farrow - alleviata, ad anelare di sapere cosa accada realmente; lo spettatore è totalmente sommerso dall'a sua stessa angoscia e vive le sue stesse emozioni. E' questa tensione il terrore che ha colpito lo spettatore, senza quasi che questi se ne rendesse conto.

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venerdì 13 aprile 2007

Recensione UNDER SUSPICION

Recensione under suspicion




Regia di Stephen Hopkins con Thomas Jane, Morgan Freeman, Gene Hackman, Monica Bellucci

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 7,0)

"Under Suspicion" è il remake americano della pellicola francese "Garde à Vue" diretta Claude Miller nel 1981, e da questa non può e non riesce a prescindere in nessun modo. Il soggetto, tratto dal romanzo "Brainwash" (1979) di John Wainwright, offriva un intreccio narrativo di scarsa originalità, ma consentiva la realizzazione di una messa in scena di grande efficacia e d'importante impatto sociale.
Ora, se Claude Miller, grazie anche all'ausilio di Jean Herman per l'adattamento e a quello di Michel Audiard per i dialoghi, era riuscito a costruire una sceneggiatura solidissima e a dirigere una pellicola, formalmente ineccepibile e senza alcuna sbavatura, non possiamo affermare altrettanto per la trasposizione operata dal regista jamaicano Stephen Hopkins. Questi non ha messo in alcun modo mano alla sceneggiatura, riprendendo pari pari quella scritta dagli autori francesi e lasciando che fosse adattata ed attualizzata dallo sconosciuto Tom Provost e dallo sceneggiatore W. Peter Ilif, noto quasi esclusivamente per la sceneggiatura di "Point Break" e di "Giochi di Potere". Per comprendere bene le differenze cagionate da questa riscrittura occorre soffermarci brevemente sulla storia.

Il nucleo narrativo non potrebbe essere più semplice. Un uomo, ricco ed importante, dichiara di aver scoperto casualmente il cadavere di una bambina sconosciuta. Si tratta della seconda vittima del medesimo assassino, rinvenuta a distanza di pochi giorni. Invitato al comando di polizia per rivedere alcuni dettagli della propria deposizione, il testimone si troverà presto a vestire i panni dell'indagato a causa di alcune sue contraddizioni che sembrano aver convinto gli inquirenti che sia proprio lui il pedofilo maniaco, che stupra, uccide, mette in posa e fotografa le proprie vittime. Seguirà un durissimo interrogatorio astrattamente e teoricamente volto all'accertamento della verità.

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