martedì 31 ottobre 2006

Recensione GLI INTOCCABILI

Recensione gli intoccabili




Regia di Brian De Palma con Kevin Costner, Sean Connery, Robert De Niro, Andy Garcia, Charles Martin Smith

Recensione a cura di Harpo (voto: 9,0)

Chicago, 1930, anni del Proibizionismo. La capitale dell'Illinois è ormai diventata un "possedimento" di Al Capone, spietato mafioso che ha in mano il traffico illecito dell'alcool.
Una squadra di quattro poliziotti, composta dall'agente speciale del Tesoro Elliot Ness, dall'anziano ed esperto James Malone, dalla recluta George Stone (alias Giuseppe Petri) e dal ragioniere Oscar Wallace tenta di far crollare l'impero costruito dal boss del crimine.
La vicenda narrata nel film si è ispirata direttamente alla vera storia dell'agente federale Elliot Ness, il quale ha scritto un romanzo diventato poi il soggetto del film. Ad onor del vero bisogna comunque ricordare che il film appare forse un po' "romanzato", discostandosi dalla realtà. Molto curioso il fatto che, tra la vera squadra adoperante contro Capone, era perfino presente John Edgar Hoover (futuro presidente degli Stati Uniti d'America).

"The Untouchables - Gli intoccabili" è una pellicola diretta da Brian de Palma e anche una delle più rappresentative. Questo film è riuscito immediatamente a raccogliere sia i favori del grande pubblico, sia quelli di gran parte della critica. Un fatto simile che solitamente è alquanto raro, si può decodificare piuttosto facilmente: i primi lo apprezzano per l'incredibile capacità che il direttore ha nel narrare la vicenda in questione e i secondi per la sua straordinaria tecnica registica.
Nonostante in alcuni suoi film De Palma dimostri che il suo tallone d'Achille è proprio una capacità narrativa non eccelsa, ne "Gli intoccabili" si può affermare il contrario: la storia è raccontata con grande fervore, ha un ritmo davvero incalzante e presenta più di un colpo di scena. E questo, dopotutto, il grande pubblico lo apprezza sempre. Lo spettatore si immedesima totalmente nell'evoluzione della vicenda, appassionandosi e tifando per i suoi eroi.
La critica, dal canto suo, non può non ammettere la straordinaria abilità tecnica di De Palma il quale, in questo film, da sfoggio di tutta la sua bravura. Il regista è indubbiamente uno dei più dotati cineasti degli ultimi vent'anni, nonché uno dei pezzi più pregiati che l'attuale Hollywood possieda.

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lunedì 30 ottobre 2006

Recensione THE DEPARTED - IL BENE E IL MALE

Recensione the departed - il bene e il male




Regia di Martin Scorsese con Leonardo DiCaprio, Matt Damon, Jack Nicholson, Mark Wahlberg, Martin Sheen, Ray Winstone, Vera Farmiga, Alec Baldwin, Anthony Anderson, David O'Hara, Kevin Corrigan, James Badge Dale, Mark Rolston, Robert Wahlberg, Kristen Dalton

Recensione a cura di Laura Ciranna (voto: 9,0)

Se si volesse cercare un'immagine che sintetizzi l'idea di fondo di "The Departed" questa starebbe di certo in un mazzo di carte francesi: le due facce specchianti di un fante di quadri, ognuna con la sua spada in mano.
Questa pellicola si rifà direttamente a "Infernal Affairs", un solidissimo film asiatico di appena un paio di anni fa, con una regia dinamica fatta di raffinate accelerazioni improvvise e luce glaciale, ma soprattutto con un intreccio granitico. Martin Scorsese ne prende la trama e la trasporta di peso nella dimensione da incubo del sogno americano.

Colin Sullivan (Matt Damon) e Billy Costigan (Leonardo DiCaprio), ignoti l'uno all'altro, sono entrambi reclute dell'Accademia di Polizia dello Stato del Massachussets.
Per Billy ciò rappresenta una fuga dal proprio ambiente d'origine, i suoi zii, i suoi cugini: criminali di South Boston, furfanti, piccoli imbroglioni che trafficano droga e prepotenza. Malgrado le capacità e gli sforzi di Billy, l'odore dei bassifondi non si lava via facilmente e gli viene sbattuto in faccia che non vestirà mai una divisa.
Per Colin, invece è una copertura per servire Frank Costello (Jack Nicholson), un potente malavitoso irlandese che lo ha addestrato fin dall'infanzia; lui ossequioso e brillante si farà strada in fretta e verrà assegnato all'unità speciale di investigazione che si occupa proprio dei traffici illeciti del suo "padrone".
Ma se i loro sguardi all'accademia di polizia non si incrociano mai, i loro destini si intrecceranno quando Billy sarà chiamato a divenire un infiltrato nella gang di Costello; la sua identità sarà nota solo ai suoi diretti superiori: il Capitano Queenan (Martin Sheen) ed il sergente Dignam (Mark Whalberg).
Da questo momento si delinea il conflitto: una talpa nella polizia, un infiltrato nella malavita, chi scopre per primo l'altro vince: un rincorrersi fra gatto e topo, o forse sarebbe meglio dire fra topo e ratto.

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Recensione LOLA MONTES

Recensione lola montes




Regia di Max Ophüls con Martine Carol, Peter Ustinov, Anton Walbrook, Ivan Desny

Recensione a cura di kowalsky

Max Ophuls è stato per diverse ragioni un autore fondamentale: egli ha usato la rappresentazione teatrale e cinematografica per raccontare il palcoscenico della vita, dell'amore, del dramma e della morte. In un certo senso, condizionato sia dal feuilleton che dal decadentismo europeo, ha saputo interagire sui personaggi, approfondendo il loro ruolo nella storia: si può dire che la rappresentazione sortiva un effetto speculare ai protagonisti dei suoi film e alle rispettive vicende.
La carriera di Ophuls è stata più volte interrotta e ripresa da eventi personali e sociali (la fuga dal nazismo, la seconda guerra mondiale) che lo hanno costretto all'esilio in Austria e il Francia (dove ha ottenuto la cittadinanza), e, successivamente negli Stati Uniti - con una brevissima parentesi italiana negli anni 30" ("La signora di tutti"), e infine con il ritorno in Francia negli ultimi anni della sua carriera, fino alla morte avvenuta nel 1957.

La rappresentazione scenica, specialmente nell'ultimo arco di vita e carriera, è fastosa e volutamente barocca, tecnicamente minuziosa, e soprattutto è ancor oggi uno straordinario esempio dell'uso della macchina da presa.
Ophuls non si ricorda oggi solo per le raffinate riduzioni cinematografiche di classici letterari (Maupassant, Schnitzler, Goethe), ma anche per una particolare tecnica ispirata probabilmente alle ardite sperimentazioni del cinema muto dei primi del XX secolo: la camera che si muoveva circolarmente attorno a un soggetto statico. Per questa ragione, egli fu un degno prosecutore dell'arte di Melies, e ispirò a sua volta diversi autori contemporanei.

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venerdì 27 ottobre 2006

Recensione UNA NOTTE ALL'OPERA

Recensione una notte all'opera




Regia di Sam Wood con Groucho Marx, Harpo Marx, Chico Marx

Recensione a cura di Harpo (voto: 10,0)

Otis B. Driftwood (Groucho Marx) convince una ricca vedova (Margaret Dumont) a investire un'importante somma di denaro per l'ingaggio del grande tenore Lasparri. Anche grazie all'intervento di due folli compari (Chico e Harpo), la prima de "Il trovatore" di Verdi risulterà un parziale fallimento, che verrà salvato solo mediante l'intervento di un giovane cantante (Allan Jones).

"Una notte all'opera" è senz'altro un crocevia fondamentale nella carriera cinematografica dei Marx, nonché una metamorfosi dei loro canoni recitativi. Dopo il fiasco di "Duck Soup" i fratelli vennero licenziati in tronco dalla "Paramount" e il gruppo si accodò alla "MGM". Infatti, la loro prima casa produttrice si annunciò assolutamente insoddisfatta del corso dei Marx, soprattutto in considerazione dei pessimi risultati economici conseguiti con "La guerra lampo".
In aggiunta a ciò, va sottolineato il ritiro dalla scena di Zeppo (il fratello più giovane), il quale maturò una carriera nelle vesti di procuratore. Comunque l'allontanamento del quinto fratello dalla scena non causò conseguenze importanti per quanto concerne la brillantezza umoristica dei fratelli che, dopotutto, aveva in Chico, Harpo e Groucho gli esponenti della propria comicità. Quindi, Herbert (nome di battesimo dell'attore), venne sostituito da Allan Parker, giovane interprete con un passato da cantante.
Il cambiamento più significativo, come già accennato, fu caratterizzato proprio dal passaggio del trio dalla "Paramount" alla "Metro Goldwin Mayer". Sotto questo aspetto, i Marx, furono costretti per la prima volta nella loro carriera ad andare incontro a importanti limitazioni circa la loro esuberanza comica. Infatti la "Paramount" non poneva freni alla verve satirica dei fratelli, il trio imperversava in qualunque scena eliminando ogni parvenza di logica nei film. In questo senso, finché la "Paramount" aveva un ritorno monetario cospicuo, non escludeva assolutamente nulla ai quattro fratelli. Quindi, con il passaggio alla "MGM" il modus operandi del trio subì notevoli cambiamenti.

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giovedì 26 ottobre 2006

Recensione A SCANNER DARKLY

Recensione a scanner darkly




Regia di Richard Linklater con Keanu Reeves, Robert Downey Jr., Winona Ryder, Woody Harrelson, Rory Cochrane

Recensione a cura di matteoscarface

Se la società degli anni '70 descritta da Philip K. Dick nel suo romanzo del 1977  era contorta, paranoica, spietata e corrotta, quella del film di Linklater, aggiornata ai nostri giorni, non è da meno, e forse è anche peggiore.

La completa sfiducia nelle istituzioni, la paura, o meglio la paranoia serpeggiante, della repressione come strumento per limitare le libertà sono le tematiche predilette dallo scrittore e dal regista Linklater, che segue le gesta dei tossici con uno stile allucinato ma allo stesso tempo lucido, come se la cinepresa fosse l'occhio di un oscuro scrutatore che li osserva, sballato, ma impietoso.

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mercoledì 25 ottobre 2006

Recensione SCOOP

Recensione scoop




Regia di Woody Allen con Woody Allen, Jim Dunk, Jody Halse, Hugh Jackman, Scarlett Johansson, Robyn Kerr, Kevin McNally, Ian McShane

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli

A questa Hollywood così strabordante di blockbuster dai budget ridicolmente alti, gonfi di effetti speciali e visivi, ma poveri di contenuti, Woody Allen preferisce l'Inghilterra. E sembra che l'aria londinese gli giovi non poco.
Dopo il successo di "Match Point", insolita incursione del regista newyorkese in un genere che non gli appartiene, Woody Allen abbassa il tiro. Con "Scoop", sua trentasettesima regia, abbandona il dramma esistenziale, permeato di cinismo ed intriso di un pessimismo acuto, per ritornare alla commedia sofisticata. Ritroviamo così le atmosfere di film come "Misterioso Omicidio a Manhattan" (1993) e di "Crimini e Misfatti" (1989), ma anche de "La Maledizione dello Scorpione di Giada" (2001) e di "Harry a Pezzi" (1997).
Effettivamente "Scoop" nulla aggiunge alla carriera cinematografica dell'autore newyorkese. In questa pellicola ritroviamo appunto tutta una serie di argomenti e di situazioni, che Allen ha già trattato, ciò tuttavia non trasmette il senso fastidioso del già visto.

La vicenda narrata è semplice e lineare, così come sono semplici i temi trattati. In "Scoop" si affronta con buona ironia la tematica del giornalismo e del delirio di accaparrarsi per primi la notizia sensazionale.
Dopo la sua assenza nelle due precedenti pellicole ("Melinda e Melinda" e "Match Point") , Woody Allen ritorna davanti alla macchina da presa ed interpreta Sid Waterman, in arte Mister Splendini, un prestigiatore un po' stordito, confuso e confusionario. E proprio come un mago prende una serie d'ingredienti e li mescola dentro un calderone, così Allen riprende molte tematiche a lui care e le miscela in un unico prodotto. Oltre al tema dello scoop giornalistico, ritroviamo la paura, o meglio, la mala accettazione della morte come destino comune; il denaro e lo stato sociale da una parte e il delitto come mezzo per garantirli dall'altra; la bella e giovane dilettante, in questo caso studentessa di giornalismo, che vive i sentimenti in pienezza e si rivela più scaltra di quanto non appaia; il fascino dell'aristocrazia britannica.
E così Woody Allen condisce questa miscela sapiente con una buona dose d'ironia, con un pizzico di vena fantastica e con una sottile malinconia, che emerge più e più volte. Il risultato è una commedia brillante e vecchio stile. Oggi potrebbe addirittura essere definita fuori moda e può rievocare, anche se solo da lontano, altre commedie sul mondo del giornalismo come ad esempio "10 in Amore" ("Teacher's Pet", 1958) del regista americano George Seaton, interpretato da Clark Gable, Doris Day, e dal simpaticissimo Gig Young, ma anche l'eccellente "Prima Pagina" del geniale Billy Wilder, con un Walter Matthau mattatore e un Jack Lemmon irresistibile.

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Recensione AIRPORT '75

Recensione airport '75




Regia di Jack Smight con Myrna Loy, George Kennedy, Karen Black, Charlton Heston

Recensione a cura di Giordano Biagio (voto: 7,0)

Dopo i generi catastrofici in bianco e nero degli anni '30 questa pellicola prosegue la serie dei drammi americani, ma con un nuovo oggetto: gli incidenti su aerei passeggeri ad alta quota. E' il secondo film dei numerosi "Airport" anni '70.
"Airport '75" è un'opera che ha suscitato un grande interesse di pubblico. Un successo in parte scontato perché il film si è posto, con alcune sue idee narrative, sulla scia del precedente "Airport" del regista Seaton. Film quest'ultimo che ha avuto un buon risultato commerciale ed è noto anche per la partecipazione del famoso Dean Martin.

"Airport '75" è una pellicola dai livelli tecnici e spettacolari sopra la media. Essa conferma la meticolosità e l'inventiva nella regia di Jack Smight.
Il film contribuisce a soddisfare una vasta e inesauribile domanda di mercato legata all'immaginario drammatico-aviatorio. Un genere che durerà quasi un ventennio trasformandosi successivamente in dramma giallo politico con risvolti terroristici. Questo filone commerciale risulterà pressoché inesauribile.
L'idea di raccontare storie sinistre che accadono ad aerei ad alta quota confermerà, nelle sue applicazioni più svariate e con la sua prolificità di ricche emozioni, la consistenza di un'immagine di cinema che si poneva, sotto l'aspetto più sensoriale, in forte evoluzione spettacolare. Il cielo con la sua bellezza poetica e misteriosità fisica nonché configurativa ha sempre suscitato nell'animo umano una forte tensione verso la sua conquista: sia reale che letterario-religiosa. Il richiamo dell'immaginario celeste solcato da numerosi aerei passeggeri ci coinvolge a volte in modo spasmodico, specialmente quando accadono imprevisti ai normali percorsi di linea degli aeroplani. Sull'immaginario umano l'effetto di una disgrazia o di un dirottamento è incisivo, non lascia assolutamente indifferenti.
Basti pensare, dopo un incidente, al terrore che si prova per le vite in pericolo e a come pensiamo subito dopo, per identificazione, alla possibilità che quanto accaduto si possa ripetere con noi a bordo. Oppure si pensi anche allo sconvolgimento più simbolico- sociale, di portata politica incommensurabile, dovuto all'impatto aereo del 11 settembre 2001 in America che ha tenuto tutti con il fiato sospeso per più di un'ora. E' massima quindi l'idoneità di questo tipo di spettacolo ambientato nell'aria a produrre generi thriller ricchi di suspense ad alta tensione. Anche per il futuro, visti i risultati, questo tipo di pellicole sembra destinato a non conoscere crisi.

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venerdì 20 ottobre 2006

Recensione PROFUMO - STORIA DI UN ASSASSINO

Recensione profumo - storia di un assassino




Regia di Tom Tykwer con Dustin Hoffman, Alan Rickman, Ben Whishaw, Corinna Harfouch, Rachel Hurd-Wood, Paul Berrondo

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 7,0)

"Il profumo" di Patrick Süskind, edito nel 1985, è un'opera letteraria complessa e per alcuni versi difficile. Realizzarne una trasposizione cinematografica era un'impresa assai ardua. Il primo a prendere in considerazione tale progetto fu un regista del calibro di Stanley Kubrick, che però dopo aver studiato a fondo la questione valutò che "Il profumo" fosse letteralmente "impossibile da filmare".
Altri registi, fra cui anche Milos Forman e Martin Scorsese, vi si interessarono, ma tutti alla fine abbandonarono il progetto. Tuttavia dopo vent'anni, il libro di Süskind è divenuto un film per mano del regista tedesco Tom Tykwer, noto al pubblico italiano soprattutto per "Lola Corre", ma già autore di una decina di pellicole, le prime delle quali da lui stesso prodotte.

"Profumo - Storia di un Assassino" è il risultato di progetto ambizioso ed ostico, che ha richiesto uno sforzo produttivo importante (cinquanta milioni di euro).
Le difficoltà principali che si incontrano nella realizzazione di questa trasposizione non consistono solamente nel tanto sbandierato fatto che gli odori, che sono al centro della storia, non sono filmabili. Ma si deve riconoscere che portare sullo schermo un best seller, che ha venduto oltre quindici milioni di copie, è già di per sé una bella sfida. A questo si aggiunge il fatto che la vicenda è ambientata nella Francia prerivoluzionaria della metà del settecento, da cui la necessità di un'accurata ricostruzione storica e scenografica. E poi la difficilissima caratterizzazione di un protagonista, che percependo il mondo attraverso gli odori, filtra la realtà in modo diverso dagli altri esseri umani e si rapporta col prossimo in una maniera personale e particolare.
Tykwer ha raccolto la sfida, è riuscito a convincere Süskind a concedere il suo placet (ricompensatogli con dieci milioni di euro), che egli aveva rifiutato tanto a Ridley Scott quanto a Tim Burton, e ha realizzato questo film.

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Recensione H2ODIO

Recensione h2odio




Regia di Alex Infascelli con Chiara Conti, Mandala Tayde, Anapola Mushkadiz, Olga Shuvalova, Claire Falconer, Carolina Crescentini, Mauro Coruzzi

Recensione a cura di cash (voto: 1,0)

Alex Infascelli non è mica rimasto con le mani in mano, nella sua vita. Si è sempre dato parecchio da fare, sin da quando, giovanissimo, volò in america per dar sfogo alla sua fervente passione per la musica. E qui inizia la mirabolante avventura di Alex, che racconta di aver suonato con moltissimi gruppi grunge, tra cui i Nirvana.
E si capisce già di più perché poi Kurt si sia suicidato: forse Alex gli raccontava i progetti che avrebbe voluto realizzare e che (diavolo di un Infascelli) ha realizzato per davvero.

Tra una suonata con i Nirvana e una forse con Elvis, Alex trova anche il tempo di dirigere qualche video per i Kiss e i Pear Jam, e appare ovvio perché i primi siano morti e i secondi sulla buona strada dei primi.
Scartata subito l'ipotesi che Infascelli porti sfiga, se ne potrebbe dedurre che la vita di un genio è perennemente vissuta in uno stato di perenne agitazione che è da sempre terreno fertile per l'artista, il genio e lo studente del DAMS.
Quanto avrà pesato l'esperienza americana sul nostro Alex, perennemente circondato da star, da eccessi, da musicisti rock, ma di quelli della decade giusta?
Secondo noi parecchio; l'America ha fornito un eccellente banco di prova al giovane, le cui abilità han da sempre trovato riparo nelle capienti braccia di qualche arte a caso, tanto per esserci, con una spiccata predilizione per musica e pittura. Gli manca solo di fare il regista e poi è a posto; già, perché lui, quando gli si chiede quale siano le sue influenza in fatto di cinema, cita dei pittori. Logico. Magari la sua musa ispiratrice musicale è Michelangelo, chi lo sa; fatto sta che Infascelli è una di quelle persone che sembra nata apposta per reggere un bicchiere di martini dry con l'oliva mentre ascoltano i Naked City (buon gruppo, ma ascoltarli col martini in mano è simbolo di qualcos'altro).

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giovedì 19 ottobre 2006

Recensione LADY IN THE WATER

Recensione lady in the water




Regia di M. Night Shyamalan con Paul Giamatti, Bryce Dallas Howard, Andrew Aninsman, Bob Balaban, J. Bloomrosen, John Boyd, Shaun Brewington, Rich Bryant

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli

M. Night Shyamalan (Manoj Nelliyattu Shyamalan) questa volta ha voluto raccontarci una favola della buonanotte. Egli ha infatti dichiarato che il soggetto di "Lady in the Water" nasce da una storia che narrava alle proprie figlie prima di dormire.

E' doveroso premettere che, come sempre accade nella campagna promozionale italiana di una nuova pellicola diretta da Shyamalan, i trailer sono fuorvianti e presentano ogni nuovo lavoro di questo regista come il film più terrificante del millennio. Questa discutibile e mendace scelta pubblicitaria spesso trae in inganno il pubblico che, non trovandosi poi ad assistere effettivamente ad un film horror né a un thriller, resta inevitabilmente deluso. E ciò arreca danno al film, pregiudicandone le sorti, e dimostra una totale mancanza di rispetto nei confronti dello spettatore.
Ciò detto, si deve aggiungere che ogni prodotto dovrebbe essere giudicato in base a quello che promette di essere. Si potrebbe dire, dunque, che se lo scopo di Shyamalan era quello di conciliare il sonno, allora l'obiettivo è stato perfettamente raggiunto.

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lunedì 16 ottobre 2006

Recensione NUOVOMONDO

Recensione nuovomondo




Regia di Emanuele Crialese con Vincenzo Amato, Francesco Casisa, Charlotte Gainsbourg, Filippo Pucillo, Aurora Quattrocchi, Isabella Ragonese

Recensione a cura di martina74 (voto: 9,0)

"Sono fortemente contrario alla politica delle 'porte aperte'. È arrivato il momento in cui chiunque abbia a cuore il futuro della nostra nazione deve preoccuparsi di questa poderosa ondata di immigrati. A meno di qualche seria iniziativa, l'ondata avvelenerà le sorgenti stesse della nostra vita e del nostro progresso. Ospitiamo nelle nostre città più grandi un numero enorme di stranieri tra i quali proliferano il crimine e le malattie."
È il pensiero, risalente al 1905, di un funzionario di Ellis Island, ma potrebbe essere perfetto nella bocca di un Bossi odierno: i movimenti migratori scatenano in ogni periodo storico le reazioni più disparate nella popolazione ospitante ed evidentemente poco, nonostante i cent'anni passati da quella frase, è cambiato nella testa delle persone.

"Nuovomondo", raccontando la storia di una famiglia di migranti, rappresenta in modo incantevole non solo le vicende di molti tra i venti milioni di persone che dal 1890 al 1980 lasciarono l'Italia per gli Stati Uniti, ma riesce a far emergere con nitida chiarezza e uno stile asciutto la speranza, la frustrazione e la disperazione di coloro che arrivano ogni giorno sulle nostre coste, in cerca della loro America.

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Recensione AMERICAN DREAMZ

Recensione american dreamz




Regia di Paul Weitz con Hugh Grant, Dennis Quaid, Mandy Moore, Marcia Gay Harden, Willem Dafoe, Chris Klein, Judy Greer

Recensione a cura di peucezia

Secondo Andy Warhol ognuno di noi ha diritto ad avere quindici minuti di notorietà, ma i quindici minuti durano poco e invece quello che conta davvero è avere imperituro successo.
Per il successo si può fare qualsiasi cosa: vendere il proprio corpo (e i recenti scandali ci possono dire qualcosa), mettere in piazza segreti e vergogne di famiglia, arrivare a perdere la propria vita.
I protagonisti di "American Dreamz" seguono alla lettera questo imperativo categorico: avere successo a tutti i costi, non importa se sentimenti e persone ne vengono travolti o calpestati.

Cinico e spietato è Martin Tweed, presentatore di un programma che potrebbe essere la versione stelle e strisce (quindi peggiore al cubo) del già pessimo "Amici": volto di Hugh Grant, a cui il superamento della boa dei quaranta ha donato un'espressione facciale che ne fa il "bastardo" per eccellenza, altrettanto cinica risulta essere Sally, una concorrente della sua trasmissione, al secolo la brava Mandy Moore, viso da Barbie e mentalità da arrampicatrice sociale, cinico è il consigliere del presidente USA (un irriconoscibile Willem Dafoe con il trucco da Dick Cheney).
Il programma di Tweed (ricalcato su American Idol, programma USA seguitissimo) sfrutta i casi umani per fare audience e loro, le vittime, stanno al gioco, obnubilate dalla possibilità di arrivare al vertice. Ma c'è anche chi, pur essendo al vertice, rischia di venirne scalzato a causa di un "calo di popolarità": è il caso del presidente degli Stati Uniti (uno strepitoso Dennis Quaid, "physique du rôle" perfetto per interpretare il suo inebetito personaggio).

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venerdì 13 ottobre 2006

Recensione THE NAKED CITY

Recensione the naked city




Regia di Jules Dassin con Barry Fitzgerald, Howard Duff, Dorothy Hart, Don Taylor

Recensione a cura di kowalsky (voto: 9,0)

"The Naked City" non è solo il titolo di uno dei più grandi manifesti hardcore della musica sperimentale contemporanea fagocitati nell'inquietante progetto di un musicista affascinante come John Zorn, ma è anche il titolo di un vero e proprio classico del noir cinematografico americano.
Un film che ha fatto giustamente storia, come dimostra la celebre serie di telefilm che ne ha preso il nome, dove Howard Duff (che nel film ha un ruolo non certo da "cittadino rispettoso della legge") rivestiva i panni di un poliziotto.

«Questo non è un film come gli altri» avverte la voce fuori campo, e non si fatica a crederlo.
Innanzitutto, è uno degli omaggi più disincantati e poetici alla città di New York (ribattezzata appunto "Naked City"), alla gente che vi vive e lavora, ad ogni ora del giorno e/o della notte, a coloro che si guadagnano il pane dopo il crepuscolo ("anche una nave può sentirsi stanca o solo un uomo chiede riposo al sonno?"), o che di notte pensano a divertirsi: la mdp inquadra un giovane (Howard Duff per l'appunto) che sarà il principale indiziato del delitto di una bellissima mannequin soffocata e successivamente annegata nella vasca di casa.

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