venerdì 29 aprile 2011

Recensione SOURCE CODE

Recensione source code




Regia di Duncan Jones con Jake Gyllenhaal, Vera Farmiga, Michelle Monaghan, Jeffrey Wright, Russell Peters, James A. Woods, Michael Arden, Cas Anvar, Joe Cobden, Neil Napier, Gordon Masten, Craig Thomas, Susan Bain, Kyle Allatt

Recensione a cura di Francesca Caruso

"Source Code" avalla l'idea di una nuova tecnologia sperimentale che permette ad un uomo di tornare indietro nel tempo di poche ore e per pochi minuti. L'idea nasce dalla fervida immaginazione dello sceneggiatore Ben Ripley, che propone il suo script al produttore Mark Gordon, dando facoltà alla macchina di Hollywood di mettere in moto gli ingranaggi. La produzione ha voluto Jake Gyllenhaal per interpretare il protagonista e lui, a sua volta, ha proposto la direzione di Duncan Jones, che col suo primo film "Moon" (2010) ha mostrato il suo talento, ottenendo vasti consensi e vincendo premi. Jones si sofferma in "Source Code" come in "Moon" sull'umanità dei suoi personaggi.

Il Capitano Colter Stevens viene inviato su un treno per portare a termine una missione delicata. Inizialmente disorientato, Colter non sa dove sia né chi si trovi di fronte e, soprattutto, perché si trovi lì. Dopo soli 8 minuti il treno esplode, ma Colter si ritrova in una capsula a parlare con una donna in uniforme, Goodwin, che gli impartisce degli ordini da un monitor. Il Capitano apprende che fa parte del programma Source Code, che lo porterà indietro nel tempo e con otto minuti a disposizione, durante i quali dovrà scoprire chi sia l'attentatore e salvare milioni di vite. Colter rivivrà più e più volte quegli otto minuti per raccogliere indizi e assolvere la missione.

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giovedì 28 aprile 2011

Recensione SILVIO FOREVER

Recensione silvio forever




Regia di Roberto Faenza, Filippo Macelloni con Silvio Berlusconi

Recensione a cura di Mimmot

"Silvio forever" è un film horror per stomaci forti.
Ma non per la fattura dell'opera di Faenza e Macelloni e di Rizzo e Stella, che risulta estremamente efficace - grazie ad un lungo lavoro di ricerca e di raccolta, che sarà loro costato mesi e mesi di dura fatica - ma per l'incessante senso di tristezza che procura l'incedere delle immagini e delle parole che si susseguono sullo schermo e davanti ai nostri occhi. Immagini tragiche e grottesche, esilaranti e stranianti, che in parte spiegano l'attaccamento di una larga fetta di italiani, suoi elettori, e il senso di ripulsa della restante parte.
Immagini forti e agghiaccianti in un documentario antropologico su un uomo che, come il pifferaio magico di Hamelin, per circa vent'anni ha incantato, sedotto, incatenato, corrotto, sopraffatto, illuso, l'Italia e gli italiani.
Ed è questa la domanda che, alla fine, sempre più spesso, ci facciamo: come è potuto succedere tutto ciò? Cosa è successo agli italiani per essere rimasti ammaliati (forse definitivamente) al punto di fidarsi così ciecamente e così a lungo di uomo così?

Costruito con grande abbondanza di reperti scovati nei ripostigli della memoria il film, come recita l'incipit, è una biografia non autorizzata sull'uomo che nel bene e nel male (molto più male che bene) ha segnato la vita politica del nostro paese, negli ultimi venti anni: dalla "discesa in campo al bunga bunga", passando per scandali (economici e sessuali) processi (evitati), gaffe internazionali, barzellette da caserma, performance canterine e ridicolo (in)volontario.
Niente di particolarmente originale, solo un lungo, insistito spot di cose viste, riviste e risapute, che messe insieme fanno non la storia di un uomo, ma la storia di un paese.
Un lungo apologo personale, un delirio di onnipotenza, che strappa qualche sorriso a denti stretti (se non fosse tutto così drammaticamente vero) e tanta, tanta tristezza. Una lunga allegoria che non sposta di una virgola l'idea che detrattori e veneratori si sono fatta di "lui".

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mercoledì 27 aprile 2011

Recensione LIMITLESS

Recensione limitless




Regia di Neil Burger con Bradley Cooper, Robert De Niro, Abbie Cornish, Anna Friel, Tomas Arana, Johnny Whitworth, Robert John Burke, Jennifer Butler, Patricia Kalember

Recensione a cura di Francesca Caruso

"Limitless" è senza dubbio il thriller d'azione più emozionante, adrenalinico e originale degli ultimi tempi.
A dirigere la premiata ditta Cooper/De Niro, che si trovano in un confronto aperto a chi avrà l'ultima parola, è Neil Burger, conosciuto per aver scritto e diretto il fortunato "The Illusionist" (2006). Burger reinventa ottiche visive entusiasmanti.

Il film segue il percorso di Eddie Morra, uno scrittore trasandato e squattrinato che sta cercando di scrivere, senza successo, il suo libro. La sua ragazza, Lindy, lo molla non sopportando più il suo modo di vivere.
Un giorno incontra un amico di vecchia data, che gli propone di assumere un nuovo farmaco rivoluzionario, che non è ancora sul mercato: l'NZT. Questa pillola amplia le capacità intellettive, riuscendo a utilizzare il 100% dell'intelletto umano.
Eddie, spinto dall'amico e dalla curiosità la prende e in pochi minuti le sue percezioni, oltre alle sue capacità mnemoniche, si espandono e aumentano a dismisura. Gli effetti collaterali, però, non si fanno attendere, come pure un losco individuo che inizia a seguirlo ovunque.

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martedì 26 aprile 2011

Recensione HABEMUS PAPAM

Recensione habemus papam




Regia di Nanni Moretti con Nanni Moretti, Michel Piccoli, Jerzy Stuhr, Renato Scarpa, Margherita Buy, Franco Graziosi

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 8,0)

Un Conclave, in cui nessun cardinale vorrebbe assumersi il fardello del pontificato, elegge nuovo Papa un outsider francese, che, inizialmente sorpreso, non tarda a rendersi conto della gravosità del compito che gli è toccato in sorte e a percepire una personale inadeguatezza. Si rifiuta in un primo momento di affacciarsi al balcone per la pubblica presentazione del nuovo pontefice; quindi, nell'ambito del tentativo di ricorrere allo strumento della psicanalisi per risolvere il "problema", il neoeletto (ma non proclamato) Papa Melville (interpretato da un immenso Michel Piccoli) riesce a fuggire alla vigilanza dei suoi custodi e dileguarsi per le vie di Roma, dove si affaccerà su un mondo intero, a lui sconosciuto.

"Habemus Papam" sarebbe piaciuto a Pirandello. Il soggetto e il tono della narrazione sembrano quelli di una novella del grande scrittore di Girgenti. Con l'autore de "Il fu Mattia Pascal", il nuovo film di Nanni Moretti ha in comune anzitutto il gusto di un'ironia sardonica, dissacrante e smascherante, in equilibrio tra commedia e dramma. E appartiene a una tradizione allegorica, tipicamente latina, che rimanda da un lato alla commedia dell'arte (ricordando il teatro goldoniano ma anche quello di Molière), e dall'altro rinvia al racconto picaresco (quello cui appartiene, tra l'altro, il "Don Chisciotte"). Una tradizione che nel cinema è stata assunta, fra gli altri, da un maestro come Buñuel (si pensi a film come "Nazarin", "Viridiana", "La via lattea", in cui sempre una parabola allegorica è sostenuta e alimentata da una continua ironia).
Non è un film sulla Chiesa, "Habemus Papam", ma sulle istituzioni. E' un film sul potere, sull'aspetto, la facies del potere. Contrariamente a "Il caimano", che ci apparve non risolto nel suo confrontarsi in maniera diretta e immediata con una figura a dir poco ingombrante, "Habemus Papam" si sostiene leggero sulla grazia di un'ispirazione felice, perché è parabola universale, allegoria che trascende un'istituzione e l'attualità, con la vocazione di non parlare tanto dell'oggi, quanto di restare nel tempo.

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Recensione C.R.A.Z.Y.

Recensione c.r.a.z.y.




Regia di Jean-Marc Vallée con Michel Côté, Marc-André Grondin, Danielle Proulx, Émile Vallée

Recensione a cura di pompiere (voto: 8,0)

E' il giorno di Natale dell'anno del Signore 1960. Nasce Zach, quarto fratello maschio della famiglia canadese Beaulieu. Un Gesù Bambino a tutti gli effetti. E non solo per la data del suo compleanno, ma anche perché col tempo sembra aver sviluppato un dono che gli consente di operare piccole guarigioni. Tutto perfetto, se non fosse per quell'interesse che Zach mostra verso le carrozzine e i trucchi della madre. Ed è qui che il padre Gervais (reso da un ostinato ma non freddo Michel Coté), avvertendo il "pericolo", cerca di comprare la simpatia e la mascolinità del figlioletto esibendosi virilmente con gli anelli di fumo e ricordando il passato di militare nell'esercito. Tuttavia, anche lui ha un lato romantico, visto che il suo cuore batte per le musiche sentimentali di Aznavour...

Velatamente alla moda, quando ricorre a immagini accelerate per la messa in scena delle incontinenze notturne e delle percosse architettate per mascherare le pulsioni adolescenziali di Zach, la regia di Vallée si riscatta con l'intimità e l'intesa che il protagonista instaura con la madre. Un'armonia che va ben oltre la riproduzione dei gesti di lei, e che diventa una vita vissuta quasi in simbiosi, resa ancor più articolata dalla fede cristiana materna praticata senza incertezze o sconforti, sognando un percorso ascetico tra le vie di Gerusalemme.

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venerdì 22 aprile 2011

Recensione THE NEXT THREE DAYS

Recensione the next three days




Regia di Paul Haggis con Russell Crowe, Elizabeth Banks, Ty Simpkins, Olivia Wilde, Brian Dennehy, Jonathan Tucker, RZA, Liam Neeson, Moran Atias, Lennie James, Sean Huze, Jason Beghe, Nazanin Boniadi, Tyrone Giordano, Michael Buie, Helen Carey, Daniel Stern, Aisha Hinds

Recensione a cura di Giordano Biagio

Le vicende del film si svolgono a Pittsburgh, una città moderna dove pulsa ancora il cuore di un'America che fa sognare.
Una comune famiglia della classe media è già alzata al mattino presto, i coniugi fanno colazione con il figlio Luke (Ty Simpkins), giocano con lui, scattano foto e organizzano la giornata di lavoro.
La serata precedente i genitori di Luke l'hanno passata con amici di vecchia data, ed è stata movimentata dalla gelosia, non trattenuta, di Lara (Elisabeth Banks) per il marito John Brennan (Russel Crowe), insegnante, oggetto di attenzioni particolari da parte di una delle sue migliori amiche.
La coppia, sposata da alcuni anni, sembra soddisfatta, allegra, Lara e John sono fortemente legati l'una con l'altro, forse il loro amore è vero e la gioia che esprimono come genitori è reale, autentica, quando improvvisamente tutto sembra precipitare; suonano alla porta e, dopo che è stata aperta senza reticenze, la polizia irrompe violentemente nell'appartamento con un mandato d'arresto per omicidio a carico della donna.

Lara è incolpata di aver ucciso la sua capo ufficio, una donna con cui era spesso in lite, ma l'accusa appare subito mal sostenuta, essa sta in piedi precariamente, sulla base di alcuni indizi, ed è avvalorata unicamente dal presunto chiaro movente: l'odio che Lara aveva verso la capoufficio, esasperato da una reciproca antipatia di fondo, il più delle volte da entrambe mal controllata.
L'omicidio sarebbe avvenuto in una serata piovosa, nel parcheggio vicino agli uffici dove lavoravano le due donne, l'assassino avrebbe colpito la vittima in testa con un estintore rosso da auto, lasciato poi cadere al suolo che rotolando è finito proprio nei pressi della macchina di Lara, posteggiata di fianco a quella della capoufficio, cosa questa che la metterà maggiormente nei guai.

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Recensione PATHER PANCHALI - IL LAMENTO SUL SENTIERO

Recensione pather panchali - il lamento sul sentiero




Regia di Satyajit Ray con Runki Bannerjee, Subir Bannerjee, Karuna Bannerjee, Kanu Bannerjee

Recensione a cura di amterme63 (voto: 10,0)

L'India ha una storia cinematografica particolare. In quella nazione il cinema rappresenta il mezzo più diffuso e popolare di divertimento e svago, e fin dagli anni '30 si è fissato in schemi che ricalcano il cinema americano di Hollywood. E' prima di tutto un'industria e come tale produce prodotti in serie, quasi tutti simili fra loro. Le storie sono per lo più melodrammatiche o avventurose, gli attori divi di grido fascinosi e teatrali, le location suntuose o tipizzate. C'è insomma un'atmosfera molto convenzionale, patinata, fatta esclusivamente di stereotipi. E' un cinema di pura evasione dalla realtà, quasi mai ritratta dal vero.
Altra caratteristica basilare del cinema indiano è il fatto che è infarcito di canzoni e balli. Le canzoni poi sono cantate in playback non dall'attore ma dal cantante di grido, tanto che i film sono diventati il mezzo principale per lanciare i successi musicali più popolari.

Ironicamente, proprio da un ambiente artistico così rigido e sfavorevole ai film anticonvenzionali è uscito un regista, Satyajit Ray, autore negli anni '50 di alcuni fra i film più veri, profondi e poetici mai realizzati.
Cresciuto in una famiglia di artisti, studia presso uno dei più grandi poeti indiani, Tagore. Diventa un disegnatore pubblicitario e durante il soggiorno in Inghilterra ha il colpo di fulmine per il cinema. Rimane colpito soprattutto dalla visione di "Ladri di biciclette". Ritornato in India, decide di dedicare la vita al cinema e all'arte. Avvia l'attività di importatore di pellicole e soprattutto fa l'assistente al regista Jean Renoir, che stava girando un film in India.

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giovedì 21 aprile 2011

Recensione LA BELLA E LA BESTIA

Recensione la bella e la bestia




Regia di Gary Trousdale, Kirk Wise con Paige O'Hara, Robby Benson, Richard White, Jerry Orbach

Recensione a cura di Luke07 (voto: 8,0)

"L'essenziale è invisibile agli occhi"
Antoine de Saint-Exupéry

Francia, XVIII secolo. Un giovane principe viziato ed egoista viene punito e tramutato in bestia per mano di una fata. Il destino vuole che la sua vita si incroci con quella di Belle, una giovane ragazza desiderosa di fuggire da una vita provinciale tediosa, priva di prospettive e per nulla appagante. Apparentemente così diversi, scopriranno entrambi di avere in comune molto più di quanto non avessero mai creduto.

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mercoledì 20 aprile 2011

Recensione OFFSIDE

Recensione offside




Regia di Jafar Panahi con Sima Mobarak Shahi, Safar Samandar, Shayesteh Irani, M. Kheyrabadi, Ida Sadeghi, Golnaz Farmani, Mahnaz Zabihi, Nazanin Sedighzadeh, M. Kheymed Kabood, Mohsen Tanabandeh, Reza Farhadi, M.R. Gharadaghi, Mohammad Mokhtar Azad, Ali Roshanpour, Al Baradari

Recensione a cura di pompiere (voto: 8,5)

Chi sarà  mai quel ragazzino un po' strambo seduto in silenzio in un angolo di un autobus pieno zeppo di tifosi urlanti diretti allo stadio? In realtà non è un ragazzo, ma una ragazza travestita da uomo. E non è la sola, dal momento che la passione per il calcio accomuna tante donne iraniane. Prima del calcio d'inizio, la ragazza viene arrestata e rinchiusa in una specie di recinto, proprio accanto allo stadio, insieme ad altre donne tutte travestite da uomini.
(Fonte: MondoCinemaBlog).

Se è  vero che la distribuzione cinematografica italiana fa acqua da tutte le parti, accumulando solitamente un numero spropositato di pellicole "interessanti" solo in un ristretto periodo dell'anno e se consideriamo il fattore "sole primaverile inoltrato" come ulteriore deterrente per gli spettatori, è indiscutibile il fatto che alcuni film preziosi e invisibili emergano dagli impolverati scaffali solo adesso. E' il caso di "Offside", presentato ben 5 anni or sono al Festival di Berlino e vincitore dell'Orso d'Argento. In tutta la regione Toscana, a oggi 13 di Aprile, viene proiettato solo al Cinema Adriano di Firenze (tanto per ribadire fino a che punto sia arrivato l'irreversibile declino culturale).

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Recensione FEMMINE CONTRO MASCHI

Recensione femmine contro maschi




Regia di Fausto Brizzi con Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Francesca Inaudi, Claudio Bisio, Serena Autieri, Luciana Littizzetto, Nancy Brilli, Emilio Solfrizzi, Luca Biagini, Roberto Angeletti, Wilma De Angelis, Armando De Razza, Edoardo Cesari, Rosabell Laurenti Sellers

Recensione a cura di peucezia

Annunciato già all'uscita del suo precursore "Maschi contro femmine", il film "Femmine contro maschi" esce nel febbraio 2011 in tempo per generare dispute tra i due sessi in occasione della festa di san Valentino.

Tornano a mo' di cameo molti dei protagonisti del film precedente e passano la staffetta a quelli che a loro volta avevano amichevolmente partecipato all'altra tornata.

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martedì 19 aprile 2011

Recensione SCREAM 4

Recensione scream 4




Regia di Wes Craven con Neve Campbell, Courteney Cox, David Arquette, Emma Roberts, Lake Bell, Hayden Panettiere, Rory Culkin, Adam Brody, Nico Tortorella, Marley Shelton, Erik Knudsen, Anthony Anderson, Alison Brie, Mary McDonnell

Recensione a cura di L.P. (voto: 8,0)

Correva l'anno 1996 quando "Scream", il primo horror postmoderno della storia del cinema, usciva nelle sale di tutto il mondo sfracellando gli incassi e spingendo i produttori americani a realizzare una serie infinita di slasher tutti uguali. Craven ci aveva già provato nel 1994, rientrando in possesso della sua più famosa creatura, Freddy Krueger, a rivitalizzare il genere in senso metacinematografico. Purtroppo l'operazione, troppo sofisticata e cerebrale, non era stata compresa. Ci voleva un giovane sceneggiatore cresciuto a pane e slasher anni '80, Kevin Williamson, per semplificare il discorso teorico di Craven e renderlo appetibile a un pubblico giovane, che è poi quello a cui il genere horror sembra naturalmente destinato. E così, al posto di una troupe e di attori invecchiati e immalinconiti alle prese con la persecuzione del personaggio che li aveva resi famosi, "Scream" narrava la storia di un gruppetto di adolescenti contro un killer mascherato. Un canovaccio sfruttato nel decennio d'oro del cinema dell'orrore almeno un milione di volte. Cosa rendesse "Scream" così speciale da far risorgere dalle ceneri un tipo di film dato per morto (l'horror a metà degli anni '90 registrava forse il suo peggior periodo, relegato solo al circuito della più bieca serie b) è presto detto: il suo intento non era quello di spaventare, ma di riflettere sui meccanismi e gli stereotipi che sono alla base stessa del genere di cui "Scream" fa parte. Non una parodia, sia chiaro; piuttosto la stesura di un codice di regole, esplicitate in ogni linea di dialogo e rispettate metodicamente dallo svolgersi degli eventi sullo schermo. "Scream" instaurava un confronto diretto con gli spettatori, che a loro volta conoscevano quelle regole e andavano a vedere il film per avere una conferma della loro conoscenza del genere. Un'autoreferenzialità che, dopo "Scream", è diventata la cifra stilistica predominante del cinema dell'orrore statunitense, e non solo di quello.

Oggi può sembrare banale; siamo così abituati al gioco citazionistico che neanche ci si fa più caso. All'epoca "Scream" rappresentò una novità dirompente.
Quindici anni e due seguiti (sottovalutati) dopo, l'ultimo dei quali risale alla preistoria del 2000, Craven ritorna a occuparsi dell'assassino con la maschera ispirata all'"Urlo" di Munch e firma forse il suo film più personale e sentito dai tempi di "Nightmare - Nuovo Incubo".

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Recensione MASCHI CONTRO FEMMINE

Recensione maschi contro femmine




Regia di Fausto Brizzi con Paola Cortellesi, Carla Signoris, Giorgia Wurth, Chiara Francini

Recensione a cura di peucezia

Inizia con una cicogna in volo a consegnare il pacco-bebè "Maschi contro femmine", film uscito nell'autunno 2010 a cura di Fausto Brizzi.
Dopo il successo di "Ex" Brizzi ci riprova con la commedia sentimentale proponendo un gruppo di attori sulla breccia tra cui l'onnipresente Claudio Bisio, qui in un piccolo ruolo, impegnati in una storia di tipo "circolare" con gli interpreti legati tra loro da vincoli di varia natura che vivono storie autonome all'interno del film.

Ambientato a Torino senza un solo attore della città della Mole (a parte l'amichevole partecipazione della Littizzetto), il film gioca principalmente sulla figura di Walter, allenatore di una squadra femminile di volley (Fabio De Luigi), neo papà di un bel maschietto con moglie tutta dedita al pupetto che inevitabilmente finisce per trascurare il marito pupone.
Altro protagonista è il bel Alessandro Preziosi, collezionista di fanciulle e dei loro capi intimi, con un rapporto prima di odio e poi di amore con la battagliera vicina di casa, una Paola Cortellesi in gran forma.
Non mancano le storie dedicate alla crisi di mezza età rappresentata dalla neo divorziata Carla Signoris, troppo impegnata a tentare di sembrare più giovane da non accorgersi del corteggiamento di un collega vedovo e la storia per i più "ggiovani" con il brizziano (dai tempi del mitico "Notte prima degli esami") Vaporidis alla prese con una ragazza decisamente incerta.

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lunedì 18 aprile 2011

Recensione LO STRAVAGANTE MONDO DI GREENBERG

Recensione lo stravagante mondo di greenberg




Regia di Noah Baumbach con Ben Stiller, Greta Gerwig, Rhys Ifans, Chris Messina, Sydney Rouviere, Susan Traylor, Merritt Wever, Koby Rouviere, Emily Lacy, Mina Badie, Aaron Wrinkle

Recensione a cura di foxycleo (voto: 7,5)

Il regista e sceneggiatore statunitense Noah Baumbach firma scenografia e regia de "Lo stravagante mondo di Greenberg", dopo aver quasi sfiorato l'oscar nel 2005 con "Il calamaro e la balena" e aver scritto sceneggiature originali e divertenti come quelle di "Fantastic Mr. Fox" o "Le avventure acquatiche di Steve Zissou".
Questo film ruota completamente attorno al personaggio di Roger Greenberg (interpretato dall'ottimo Ben Stiller). Roger è un quarantenne appena dimesso da una clinica psichiatrica, dopo un forte esaurimento nervoso; a lui il fratello chiede di occuparsi della casa per sei settimane durante le quali con l'intera famiglia soggiornerà in Vietnam sia per motivi di lavoro (la costruzione di un albergo) sia per vacanza. Roger, di professione falegname, è alla ricerca di una vita nuova, è insoddisfatto del mondo che lo circonda; a dimostrazione di ciò scrive decine di lettere di protesta a ditte e società commerciali di ogni genere, inoltre fatica a instaurare sinceri e stabili rapporti interpersonali, anche con gli amici di sempre come Ivan (Rhys Ifans). Egli si ritrova spiazzato nell'accorgersi attratto da Florence (la brava Greta Gerwig), giovane venticinquenne, aspirante cantante, che per mantenersi aiuta la famiglia del fratello di Roger nelle diverse necessità domestiche. Roger e Florence sono accomunati da un forte senso d'inadeguatezza nei confronti della società circostante, dalla continua ricerca della propria realizzazione personale e dalle difficoltà di comunicazione con gli altri.

Greenberg sembra voler recuperare la propria giovinezza, non pienamente vissuta, tramite dinamiche alle volte risibili come quella del party, in cui ragazzotti ventenni continuano a chiedere a gran voce musica dei Korn mentre lui predilige l'ascolto dei Duran Duran. La sceneggiatura in questi punti è crudele, ma coraggiosa nel mettere in scena le problematiche della salute mentale in maniera dura ed efficace. Roger è reale nelle sue inattitudini, nelle sue gaffe e nel suo irritante approccio con gli altri. Certo nel suo percorso individuale di ri-costruzione di un'identità non è aiutato da un fratello, che anche dall'altro capo del mondo, è un continuo rimprovero nei confronti di chi, a suo avviso, non è affidabile e non è maturo quanto la sua età richiederebbe. Ma Roger non è realmente un fannullone egli coltiva il suo essere apatico: "io non faccio niente, non voglio fare niente. Non faccio niente per scelta".

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