sabato 30 dicembre 2006

Recensione THE PRESTIGE

Recensione the prestige




Regia di Christopher Nolan con Christian Bale, Michael Caine, Hugh Jackman, Scarlett Johansson, Andy Serkis, David Bowie

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 8,0)

La scienza come rappresentazione della magia, il gioco di prestigio come rappresentazione della scienza, l'illusione come forma d'arte, l'arte come imitazione della vita e la vita come imitazione dell'arte.

Il trentaseienne regista britannico Chritopher Nolan ritorna a collaborare con suo fratello Jonathan sei anni dopo il successo (a posteriori) di "Memento" (2000), un film eccellente. Ma se questa pellicola, scritta e diretta da Christopher, era l'adattamento di un racconto di suo fratello Jonathan intitolato "Memento mori", "The Prestige" è stato scritto a quattro mani dai fratelli Nolan ispirandosi all'omonimo romanzo di Christopher Priest, interessante autore inglese noto in Italia soprattutto per i libri "Esperienze Estreme" (The Extremes) e "L'Incanto dell'Ombra" (The Glamour). Per ottenere una possibile riduzione cinematografica da un libro così denso, complesso ed arzigogolato, Nolan ha dichiarato di aver lavorato alla scrittura del film per oltre diciotto mesi.

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venerdì 22 dicembre 2006

Recensione UN'OTTIMA ANNATA - A GOOD YEAR

Recensione un'ottima annata - a good year




Regia di Ridley Scott con Russell Crowe, Mitchell Mullen, Marion Cotillard, Albert Finney, Tom Hollander, Didier Bourdon, Valeria Bruni Tedeschi, Giannina Facio

Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,0)

"Il vino ti bisbiglierà, con completa e definitiva onestà, ogni volta che ne berrai un sorso"

Uno strano concetto, quello del vino, metafora di un mondo come quello finanziario dove è doverosamente necessario guardarsi le spalle onde evitare possibili fregature: il "carpe diem" di Weiriana memoria potrebbe ambiguamente assumere un ruolo determinante anche nelle direzioni più inconsuete. E' un'indicazione propulsiva anche per un mondo tutt'altro che parallelo alla poesia e alla solarità della comunicazione interiore e letteraria: emblematico a riguardo, un "potenziale lecchino" può farti le scarpe, salvo poi ritrovarsi a sua volta ingannato dalle "dritte" del personaggio che ambiva a imitare, e, di con-seguenza, sostituire (l'effetto "Eva contro Eva" rivisto nel mondo contemporaneo).

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giovedì 21 dicembre 2006

Recensione IL MIO MIGLIORE AMICO

Recensione il mio migliore amico




Regia di Patrice Leconte con Pierre Aussedat, Daniel Auteuil, Dany Boon, Cyril Couton, Henri Garcin, Julie Gayet, Christian Gazio

Recensione a cura di Kater

"Non c'è deserto peggiore che una vita senza amici". E questa semplice verità François, ricco antiquario parigino, continuamente impegnato tra aste, trattative e nuovi affari, sembra ignorarla fino al momento in cui assiste al funerale di un suo cliente al quale sono presenti solo sette persone.
Un pensiero, quello dell'amicizia, lo spinge ad acquistare per 200mila euro un vaso greco con raffigurati Achille e Patroclo (epici amici dell'Iliade) del quale il battitore d'asta dice "fu commissionato da un uomo che, inconsolabile per la perdita del suo miglior amico, lo riempì di lacrime".
Sempre questo pensiero, la sera stessa, lo porta a scommettere proprio quel vaso appena acquistato con la propria socia, che gli fa notare la sua vita piena di impegni ma deserta di amici. Colpito da questa osservazione François scommette che le presenterà il suo miglior amico entro 10 giorni e da lì comincia la sua affannosa, divertente e anche un po' malinconica ricerca.
Cosa è un amico? Quali sono le caratteristiche che lo contraddistinguono? Chi si può chiamare amico e chi no? François non lo sa, e ad aiutarlo troverà Bruno, un taxista dall'animo fanciullesco, che lo guiderà a scoprire il significato di una parola che, scoprirà François, fino ad allora gli era rimasta estranea.

Con una storia semplice e lineare, giocata completamente sui dialoghi e la recitazione, Leconte ci porta a scavare nel significato della parola amicizia. Infatti François in materia è completamente ignorante.
Esemplare la lista che stila all'inizio del film, dove cerca di fare una graduatoria non cogliendo quale sia la sostanza dell'amicizia, confondendo il dividere interessi lavorativi con il "condividere" delle cose. Insieme a lui noi affrontiamo lo stesso percorso, e percepiamo la difficoltà di Bruno che gli deve spiegare perché non basta sorridere o offrire un caffè per poter definire qualcuno nostro amico, che non basta chiacchierarci, che non basta essere andati a scuola insieme.
Per quanto le carenze di François siano decisamente avvilenti, perché gli è completamente estraneo il mondo affettivo in generale, il film non diviene mai tragico e questo grazie anche alla bravura dei due protagonisti che, pur riuscendo assolutamente credibili, non tendono mai a caricare emotivamente le situazioni.

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Recensione MOSQUITO COAST

Recensione mosquito coast




Regia di Peter Weir con Harrison Ford, Helen Mirren, River Phoenix, Jadrien Steele, Hilary Gordon, Rebecca Gordon, Jason Alexander

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 8,0)

Pare strano agli estimatori di Peter Weir che "Mosquito coast" sia generalmente ritenuto l'unico flop del grande regista australiano. Eppure in esso ritornano puntuali e coerenti I temi tanto cari all'autore, già trattati in altri suoi film di successo, qui forse sviluppati in modo più freddo e meno coinvolgente, non per questo meno interessante.

Probabilmente per chi non riconosce le connotazioni insite nel linguaggio cinematografico di Peter Weir risulta difficile digerire la storia narrata da "Mosquito", dove le tematiche weiriane si aggrovigliano ed è facile sentirsi disorientati.
D'altronde il regista stesso ha definito questo suo lavoro "una rivoluzione culturale individuale" volendo esprimere così il desiderio di "estraniarsi dal filone dominante della cinematografia americana con contenuti il più possibile anticonvenzionali". In effetti non si può dire che il film decanti le imprese di una famiglia di pionieri americani nel tipico stile hollywoodiano, forse per questo il prodotto non ha soddisfatto le aspettative del pubblico, sancendo lo scarso successo commerciale.
Oltre a ciò, la delusione la si può imputare alla scelta dell'attore protagonista: un Harrison Ford uscito fresco fresco dal successo di Indiana Jones, eroe positivo, simpatico e soprattutto vincente. Scelta non casuale questa del regista, che ama stravolgere I ruoli canonici degli attori più popolari e che ingaggiò il "personaggio" Ford un anno prima per il fortunato "Witness", senza tuttavia snaturarne del tutto le peculiarità.

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venerdì 15 dicembre 2006

Recensione DEJA' VU - CORSA CONTRO IL TEMPO

Recensione deja' vu - corsa contro il tempo




Regia di Tony Scott con Denzel Washington, James Caviezel, Val Kilmer, J.w. Williams, Adam Goldberg, Ritchie Montgomery, Enrique Castillo, Paula Patton

Recensione a cura di matteoscarface

Quando si parla di Jerry Bruckheimer torna subito alla mente il cinema americano più patinato e ricco di effetti speciali, e per questa occasione al nome di Bruckheimer va associato anche quello di Tony Scott, che stavolta sostituisce il solito Michael Bay. La formula, dunque, rimane la stessa.
La pellicola segna però, strano a credersi, un'eccezione, infatti laddove altri film appartenenti allo stesso genere erano per lo più una baraonda di inseguimenti e sparatorie, questo ha dalla sua il tentativo degli sceneggiatori di creare una storia compiuta e la decisione di usare effetti speciali realizzati dal vero e dosati nei punti giusti, anche se tutto ciò si deve probabilmente a Scott, che nel bene e nel male di cinema d'azione si è sempre nutrito.

Ma andiamo con ordine. Bisogna dire innanzitutto che "Dèjà Vu" è un poliziesco fantascientifico, con un inizio dei più classici: l'arrivo del tipico poliziotto solitario sulla scena del crimine. Qui purtroppo si sprecano i luoghi comuni condivisi con molti altri film già visti e rivisti, tant'è che la sensazione di dèjà vu comincia a farsi strada nella mente dello spettatore più preparato. Ma man mano che si prosegue nella visione iniziamo a capire il vero fulcro del film, e cioè l'ipotesi di viaggiare indietro nel tempo per fermare un crimine, ma nella scena in cui tutto ciò viene spiegato Tony & Jerry non volevano evidentemente soffermarsi troppo, e così se la cavano con un giro di parole pronunciato da uno dei personaggi al poliziotto Denzel Washington, che finge di capire e tira avanti la baracca da solo.
Durante il corso della film sono purtroppo più di uno i punti sbrigati alla svelta, come ad esempio la parte centrale, quando il buon Denzel si ritrova a guidare un gigantesco veicolo Hummer con un mini satellite a bordo nel traffico di New Orleans, causando incidenti mortali qua e là.
L'idea è di per sé buona, ma è il suo sviluppo che lascia un po' interdetti, e nulla riesce davvero a catturare l'attenzione fino in fondo, neanche il prevedibile finale, quando ci si aspetta almeno un colpo di scena e invece capita esattamente ciò che chiunque potrebbe prevedere almeno con mezzora di anticipo.
Se però il finale cade banalmente nel baratro del "ehi ma io questo l'ho già visto", con tanto di dito accusatorio puntato contro lo schermo e sbadiglio incombente, i primi minuti sono gradevoli e rappresentano forse la parte più riuscita del film.

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mercoledì 13 dicembre 2006

Recensione THE QUEEN - LA REGINA

Recensione the queen - la regina




Regia di Stephen Frears con Helen Mirren, Michael Sheen, James Cromwell, Sylvia Syms, Paul Barrett, Forbes KB, Alex Jennings, Helen McCrory, Roger Allam, Tim McMullan

Recensione a cura di peucezia

Stephen Frears, a lungo si è occupato con occhio attento e impietoso del proletariato urbano inglese (bellissimo il suo "Piccoli affari sporchi"). Da un po' di tempo la sua attenzione si è spostata verso i ceti più alti e così, dopo la commedia "Lady Henderson presenta" accolta piuttosto tiepidamente, ha puntato i suoi riflettori sulla donna più importante d'Inghilterra: Elisabetta II.

Non si tratta però di una biografia agiografica o di un docufilm, bensì dell'esame in parte cronachistico alternato con filmati del momento, della settimana più critica della monarchia inglese negli ultimi dieci anni, quella cioè tra la morte di lady Diana Spencer (30 agosto 1997) e il suo funerale di stato, fortemente voluto dal popolo, fortemente osteggiato dalla casa reale.
Frears evita l'effetto caricatura in cui spesso si cade quando i protagonisti reali sono troppo vicino a noi (esempio tristemente noto il film italiano sul caso Calvi con gli interpreti di Craxi ed Andreotti grotteschi e fuori luogo), scegliendo attori poco vicini nelle sembianze ai loro originali, così il regista prova a entrare nel loro intimo cercando di rendere il più possibile l'umanità di questi personaggi pubblici.

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lunedì 4 dicembre 2006

Recensione L'AMICO DI FAMIGLIA

Recensione l'amico di famiglia




Regia di Paolo Sorrentino con Giacomo Rizzo, Laura Chiatti, Fabrizio Bentivoglio, Gigi Angelillo, Emiliano De Marchi

Recensione a cura di Kater

Presentato a Cannes insieme a "Il Caimano" di Moretti e "Il Regista di matrimoni" di Bellocchio, "l'Amico di Famiglia" è l'ennesima conferma dello straordinario senso cinematografico di Sorrentino, un regista giovane e incredibilmente talentuoso, che supera in bravura molti suoi connazionali più celebri ma decisamente meno meritevoli.

L'amico di famiglia è Geremia de' Geremei, un nome surreale e macchiettistico come il suo personaggio, un sarto-usuraio brutto, sporco ma forse non così cattivo, almeno non più dell'umanità che lo circonda.
Vive in casa con la madre e forse cerca l'amore, purché sia a buon mercato. L'unica persona con la quale sembra ci sia una parvenza di amicizia è Gino, cowboy nostrano dedito alla cultura country. Geremia zompetta attraverso la propria vita fatta di incredibili tirchierie e prestiti a usura con tassi del 100% alle persone del quartiere che si rivolgono a lui per motivi che si rivelano spesso futili, e ama venir definito "cuore d'oro", convinto veramente di essere buono e socialmente utile.
Inaspettatamente però arriva l'amore ed è Rosalba, una ragazza bellissima per la quale il padre Saverio chiede un prestito per far fronte alle spese del matrimonio. L'amore sarà la rovina di Geremia, sempre così accorto e prudente, sempre restio a rischiare alcunché. L'amore lo porterà ad osare...e a fallire.

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venerdì 1 dicembre 2006

Recensione IL LABIRINTO DEL FAUNO

Recensione il labirinto del fauno




Regia di Guillermo del Toro con Ivana Baquero, Doug Jones, Sergi López, Ariadna Gil, Maribel Verdú

Recensione a cura di cash (voto: 8,5)

Che il cinema non sia più in grado di entusiasmare le folle non è un mistero. Ovvio, di giudizio generale si parla; le eccezioni esistono, ma non creano la norma. Piuttosto la eludono, creando i presupposti per nuovi spunti di riflessioni. Il danno principale che ha posto il cinema in lenta e crescente agonia è senza dubbio la coincidenza di produzione e distribuzione, e il figlio illegittimo di questo amplesso incestuoso è lo spostamento del target del cinema stesso: non si soddisfa più lo spettatore ma la casa di distribuzione. Si potrebbe obiettare che si distribuisce ciò che il pubblico chiede, ma è anche vero che la costrizione della visione ad agenda unica lascia ben poco spazio alla scelta. Quando 9 sale su 2 proiettano lo stesso film, relegando a ghetto i cosiddetti film d'essai (che fino a 10 anni fa erano la norma, altro che essai) è ben logico parlare di creazione del consenso di gusto cinematografico che passivamente si subisce. La logica dell'incasso facile e della previsione del successo che arride sempre e comunque (e col minor sforzo possibile) è il fiero vessillo del remake, i cui tempi di latenza fra originale e copia si fan sempre più sottili, tanto da non rendere remota un'epoca in cui il remake uscirà contemporaneamente all'originale.
Chiaro, l'eccezione si fa strada anche in quest'ultima categoria, ormai genere a se stante; si veda "The departed". Ma lì c'è un conclamato autore, non un pischello qualsiasi.

Tornando al centro nevralgico della questione, perché il cinema non appassiona più? A nostro giudizio lo spostamento d'asse verso il gradimento unico delle Major ha privato i cineautori della componente imprescindibile per eccellenza: l'ambizione per il proprio operato, che nasce direttamente dalla passione infusa. Si può immaginare un'opera (in qualunque campo artistico variamente inteso) che trasudi pathos, quando il principio generante è nato all'insegna della totale mancanza di passione verso l'oggetto creato? Eppure qualcuno si fa strada nel conformismo che pialla il consenso e appiattisce il senso critico ed estetico dello spettatore. Qualcuno resiste, ostinandosi con fresca caparbietà a presentare opere che abbiano come interlocutore privilegiato i sentimenti degli spettatori più che le tasche dei produttori.

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