Recensione il labirinto del fauno
Recensione a cura di cash (voto: 8,5)
Che il cinema non sia più in grado di entusiasmare le folle non è un mistero. Ovvio, di giudizio generale si parla; le eccezioni esistono, ma non creano la norma. Piuttosto la eludono, creando i presupposti per nuovi spunti di riflessioni. Il danno principale che ha posto il cinema in lenta e crescente agonia è senza dubbio la coincidenza di produzione e distribuzione, e il figlio illegittimo di questo amplesso incestuoso è lo spostamento del target del cinema stesso: non si soddisfa più lo spettatore ma la casa di distribuzione. Si potrebbe obiettare che si distribuisce ciò che il pubblico chiede, ma è anche vero che la costrizione della visione ad agenda unica lascia ben poco spazio alla scelta. Quando 9 sale su 2 proiettano lo stesso film, relegando a ghetto i cosiddetti film d'essai (che fino a 10 anni fa erano la norma, altro che essai) è ben logico parlare di creazione del consenso di gusto cinematografico che passivamente si subisce. La logica dell'incasso facile e della previsione del successo che arride sempre e comunque (e col minor sforzo possibile) è il fiero vessillo del remake, i cui tempi di latenza fra originale e copia si fan sempre più sottili, tanto da non rendere remota un'epoca in cui il remake uscirà contemporaneamente all'originale.
Chiaro, l'eccezione si fa strada anche in quest'ultima categoria, ormai genere a se stante; si veda "The departed". Ma lì c'è un conclamato autore, non un pischello qualsiasi.
Tornando al centro nevralgico della questione, perché il cinema non appassiona più? A nostro giudizio lo spostamento d'asse verso il gradimento unico delle Major ha privato i cineautori della componente imprescindibile per eccellenza: l'ambizione per il proprio operato, che nasce direttamente dalla passione infusa. Si può immaginare un'opera (in qualunque campo artistico variamente inteso) che trasudi pathos, quando il principio generante è nato all'insegna della totale mancanza di passione verso l'oggetto creato? Eppure qualcuno si fa strada nel conformismo che pialla il consenso e appiattisce il senso critico ed estetico dello spettatore. Qualcuno resiste, ostinandosi con fresca caparbietà a presentare opere che abbiano come interlocutore privilegiato i sentimenti degli spettatori più che le tasche dei produttori.
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