giovedì 21 dicembre 2006

Recensione IL MIO MIGLIORE AMICO

Recensione il mio migliore amico




Regia di Patrice Leconte con Pierre Aussedat, Daniel Auteuil, Dany Boon, Cyril Couton, Henri Garcin, Julie Gayet, Christian Gazio

Recensione a cura di Kater

"Non c'è deserto peggiore che una vita senza amici". E questa semplice verità François, ricco antiquario parigino, continuamente impegnato tra aste, trattative e nuovi affari, sembra ignorarla fino al momento in cui assiste al funerale di un suo cliente al quale sono presenti solo sette persone.
Un pensiero, quello dell'amicizia, lo spinge ad acquistare per 200mila euro un vaso greco con raffigurati Achille e Patroclo (epici amici dell'Iliade) del quale il battitore d'asta dice "fu commissionato da un uomo che, inconsolabile per la perdita del suo miglior amico, lo riempì di lacrime".
Sempre questo pensiero, la sera stessa, lo porta a scommettere proprio quel vaso appena acquistato con la propria socia, che gli fa notare la sua vita piena di impegni ma deserta di amici. Colpito da questa osservazione François scommette che le presenterà il suo miglior amico entro 10 giorni e da lì comincia la sua affannosa, divertente e anche un po' malinconica ricerca.
Cosa è un amico? Quali sono le caratteristiche che lo contraddistinguono? Chi si può chiamare amico e chi no? François non lo sa, e ad aiutarlo troverà Bruno, un taxista dall'animo fanciullesco, che lo guiderà a scoprire il significato di una parola che, scoprirà François, fino ad allora gli era rimasta estranea.

Con una storia semplice e lineare, giocata completamente sui dialoghi e la recitazione, Leconte ci porta a scavare nel significato della parola amicizia. Infatti François in materia è completamente ignorante.
Esemplare la lista che stila all'inizio del film, dove cerca di fare una graduatoria non cogliendo quale sia la sostanza dell'amicizia, confondendo il dividere interessi lavorativi con il "condividere" delle cose. Insieme a lui noi affrontiamo lo stesso percorso, e percepiamo la difficoltà di Bruno che gli deve spiegare perché non basta sorridere o offrire un caffè per poter definire qualcuno nostro amico, che non basta chiacchierarci, che non basta essere andati a scuola insieme.
Per quanto le carenze di François siano decisamente avvilenti, perché gli è completamente estraneo il mondo affettivo in generale, il film non diviene mai tragico e questo grazie anche alla bravura dei due protagonisti che, pur riuscendo assolutamente credibili, non tendono mai a caricare emotivamente le situazioni.

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