venerdì 27 febbraio 2009

Recensione IL MAI NATO

Recensione il mai nato




Regia di David S. Goyer con Odette Yustman, Gary Oldman, Jane Alexander, Meagan Good, Idris Elba

Recensione a cura di Anna Maria Pelella

Casey Bell ha delle strane visioni in cui un bambino che non conosce le appare di continuo. Un giorno, in seguito ad un accertamento agli occhi scopre di esser stata concepita insieme ad un gemello, che però non ha superato la gravidanza.
Frugando tra le vecchie carte di sua madre, morta suicida anni addietro, trova una foto che ritrae una donna a lei sconosciuta. Decide così di indagare sul legame tra la sconosciuta e sua madre, sperando che questo possa esser connesso agli incubi che la affliggono.

Spesso gli sceneggiatori americani, probabilmente per mancanza di materia prima, si dilettano nel pasticciare con mitologie di culture diverse dalla loro, culture che hanno millenni di storia antecedente alla cacciata degli indiani, veri indigeni degli attuali Stati Uniti.
Accantonati momentaneamente i remake asiatici, con relativo stupro culturale, in questo caso ci si è dedicati ai miti ebraici, con un semplicismo e una mancanza di originalità avvilenti.
Immaginate di mettere in un frullatore i seguenti elementi: una famiglia ebrea sfuggita ai campi di sterminio per finire tristemente in una sceneggiatura accroccata, il mito ebraico del Dybbuk, un libro antico con suggestive illustrazioni scritto in ebraico, il solito bambino fantasma brutto come pochi, la spider walk, ormai nota solo a chi ha visto "L'Esorcista" in versione integrale, una maledizione e il finale più prevedibile della storia degli horror. Tutto condito con scricchiolii, specchi rotti e protagonista con gli occhioni spalancati dalla paura per quello che può uscire dall'armadietto del bagno di casa.

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Recensione IL MARE: A LOVE STORY

Recensione il mare: a love story




Regia di Hyun-seung Lee con Jung-Jae Lee, Ji-hyun Jun, Mu-saeng Kim , Seung-Yeon Jo, Yun-jae Min

Recensione a cura di Francesca Caruso

È sicuramente originale e lusinghiero che il titolo di un film coreano sia in italiano; nel titolo il regista ha voluto mettere in primo piano quello che sarà uno dei protagonisti della storia.
"Il Mare" è il nome dato da Han Sung-hyun ad una casa costruita sulla riva dell'oceano. L'uomo è un costruttore che ha abbandonato gli studi di architettura, probabile conseguenza di un rapporto difficile con il padre, noto architetto che ha disegnato la casa. Primo abitante de "Il Mare", Sung-hyun trova nella cassetta postale una cartolina natalizia da parte di Kim Eun-joo, una doppiatrice di cartoni animati, nella quale chiede al nuovo abitante della casa di inviarle eventuali missive, indirizzate a lei, al suo nuovo recapito, e concludendo con la data: dicembre 1999. Sung-hyun rimane perplesso e, dopo aver chiesto ad un negoziante della zona se la casa fosse stata abitata prima di lui, pensa ad uno scherzo. Risponde alla lettera di Eun-joo, dicendole che ha sbagliato indirizzo perché lui è il primo abitante de "Il Mare", ed ha dato lui il nome alla casa, domandandosi come poteva saperlo, e concludendo con la data: dicembre 1997. Tra i due inizia una fitta corrispondenza per venire a capo del mistero, ben presto capiranno che la cassetta postale è una finestra temporale tra il 1997 e il 1999, e grazie ad essa crescerà un tenero rapporto, che porterà due anime in pena a superare i momenti difficili che ognuno di loro sta vivendo.

"Il Mare" è poesia allo stato puro per la commistione degli elementi che compongono il film. La fotografia è curatissima: si inizia con una carrellata ad avanzare su una distesa d'acqua, dei titoli di testa, che gradatamente si avvicina alla casa, accompagnata dalla colonna sonora portante. Fin da subito ci si ritrova avvolti da un aurea misteriosa, creata anche dalla foschia in cui la casa è immersa. I movimenti della macchina da presa seguono i sentimenti dei protagonisti, che spesso fanno parte del paesaggio ripresi in campi lunghi, alternati da primi piani. Molto bella la soggettiva del punto di vista del cane Cola, quando segue Sung-hyun fino alla porta di casa, l'angolazione e gli sguardi di Sung-hyun fanno percepire allo spettatore con chi ci si sta identificando e appena il cagnolino viene inquadrato suscita tenerezza. Gli attori parlano con gli sguardi e con il linguaggio del corpo, i dialoghi sono presenti ma non preponderanti. Sung-hyun (Lee Jung-jae) e Eun-joo (Jun Ji-hyun) sono due solitudini che si sfiorano, entrambi soffrono per dei rapporti finiti, lui con il padre, lei col suo ragazzo, relazioni solo accennate. Le loro lettere diventano inizialmente una valvola di sfogo, poi il mezzo grazie al quale si conoscono e pian piano s'innamorano, di un amore che sembra impossibile concretizzarsi. Sung- hyun si imbatte con la Eun-joo del passato, che non lo conosce, e rimane subito colpito dalla sua figura.

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giovedì 26 febbraio 2009

Recensione TONY MANERO

Recensione tony manero




Regia di Pablo Larraín con Alfredo Castro, Amparo Noguera, Héctor Morales, Paola Lattus, Elsa Poblete

Recensione a cura di Anna Maria Pelella

Cile, 1978. Raul Peralta è ossessionato dal personaggio di Tony Manero.
Va continuamente a vedere "La febbre del sabato sera" e fa di tutto per comporre una pista da ballo come quella del film nel locale dove si esibisce con alcuni personaggi che tentano di emulare la coreografia originale.

L'America, oltre ad essere l'esportatore ufficiale della democrazia nel mondo, è anche la nazione dove pare davvero che tutto possa accadere. Nello specifico che il commesso di un negozio di vernici possa veramente essere una divinità per qualche ora il sabato notte.
Il commesso in questione è divenuta un'icona al punto tale che la febbre del sabato sera ha contagiato milioni di persone in tutto il mondo, nei lontani anni settanta. In paesi con problematiche meno evidenti tutto questo ha generato soltanto un certo numero di giovanotti imbrillantinati e vestiti di bianco, che il sabato sera si sfinivano sulle piste delle discoteche, col fine neanche tanto segreto di avere lo stesso successo di Travolta con le donne.
Ma nel Cile della dittatura è possibile che le icone positive, di un paese di cui sono evidenti soltanto i lati buoni e possibilisti, abbiano una presa a livello individuale tanto forte da annullare la personalità di chi sceglie di somigliare a un personaggio che in realtà non esiste.

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Recensione IL SIGNORE DEL MALE

Recensione il signore del male




Regia di John Carpenter con Donald Pleasence; Jameson Parker, Victor Wong, Lisa Blount, Dennis Dun

Recensione a cura di A. Cavisi

Un prete e un gruppo di scienziati indagano su un cilindro contenente uno strano liquido verde, conservato da secoli nella cantina di una chiesa di Los Angeles e tenuto segreto da un gruppo di ecclesiastici chiamato La setta del sonno. Ben presto quel liquido si rivelerà essere una forza malvagia e sovrumana che sta tentando in tutti i modi di fuoriuscire impossessandosi di un corpo tramite il quale poter esercitare il male.

Che John Carpenter sia un abilissimo artigiano della macchina da presa è cosa ormai nota, che sia decisamente esperto nel "manipolare" il materiale orrifico e nel renderlo interessante ed originale rispetto ai suoi concorrenti, sembrerebbe alquanto scontato ripeterlo, ma è cosa indiscutibilmente ovvia, soprattutto a seguito di visioni altamente "illuminanti" al riguardo. Se già con "Halloween", quasi dieci anni prima, aveva dato ampia prova del suo smisurato talento nel gestire un genere di per sé difficilmente gestibile, con "Il signore del male" ce ne dà una sonora e potente conferma.
Merito della riuscita di questa pellicola, oltre alla vigorosa e rigorosa regia che si accompagna con una splendida fotografia, va anche al talento musicale del regista, che ha portato alla composizione di questa e di molte altre colonne sonore che arricchiscono notevolmente le già di per sé succosissime pellicole del cineasta visionario, ma al tempo stesso molto pratico. Il connubio tra musica e regia, portato avanti magistralmente dal regista, si arricchisce in questo caso della partecipazione del noto musicista Alice Cooper, che non solo ha collaborato alla "stesura" della colonna sonora, ma si è prestato anche ad interpretare una sorta di zombi famelico che si aggira per le strade confinanti con la chiesa dall'aspetto per nulla rassicurante (e già questo dovrebbe costituire una prova dell'immenso talento del regista che è riuscito a ricreare un luogo "pauroso" che trasmette terrore e tensione, all'interno di quella che per antonomasia è sempre stata considerata la dimora del bene, della pace più assoluta, la casa di Dio e dei suoi fedeli).

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venerdì 20 febbraio 2009

Recensione LASCIAMI ENTRARE - LET THE RIGHT ONE IN

Recensione lasciami entrare - let the right one in




Regia di Tomas Alfredson con Kåre Hedebrant, Lina Leandersson, Per Ragnar, Henrik Dahl, Karin Bergquist, Peter Carlberg, Ika Nord, Mikael Rahm, Karl-Robert Lindgren, Anders T. Peedu, Pale Olofsson, Cayetano Ruiz, Patrik Rydmark

Recensione a cura di Jellybelly (voto: 7,5)

"Let the right one in
Let the old dreams die
Let the wrong ones go
They cannot do what you want them to do"
Morrissey, "Let the right one slip in"

La sonnacchiosa, placida Svezia sta vivendo un periodo di grande ribalta internazionale, negli ultimi tempi: ad aprire le danze è stato lo sfortunato scrittore Stieg Larsson, morto d'infarto prima di poter assistere al trionfo dei suoi romanzi "Uomini che odiano le donne", "La ragazza che giocava col fuoco" e "La regina dei castelli di carta" (cosiddetta "Trilogia Millennium"), seguito a ruota dal collega John Ajvide Lindqvist, autore dell'horror "Lasciami entrare". Come spesso accade, il cinema si inserisce nel solco tracciato dalla letteratura: di tutti i libri citati vengono quindi messi in cantiere i relativi adattamenti cinematografici; a cominciare proprio dal più intenso dei quattro romanzi, l'originale, splendido racconto dell'orrore di Lindqvist, che viene chiamato anche a scriverne la sceneggiatura.

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Recensione ALI'

Recensione ali'




Regia di Michael Mann con Will Smith, Jamie Foxx, Jon Voight, Mario Van Peebles, Ron Silver

Recensione a cura di Giordano Biagio (voto: 7,0)

Questo indimenticabile film di Micheal Mann, uscito nel 2001 in USA, è stato molto celebrato dalla critica cinematografica occidentale e osannato dai fan più accesi di Cassius Clay ma non ha avuto il successo di pubblico che forse meritava, deludendo gran parte delle aspettative dei produttori e dello stesso regista.
Costato più di 200 miliardi di lire è stato girato tra gli Stati Uniti e lo stato africano dello Zambia, a Kinshasa, in un arco di tempo piuttosto lungo della durata di circa due anni che ha permesso una cura tecnica e ideativa di grande efficacia. Il film è indubbiamente apprezzabile anche per il rigore biografico su Cassius Clay, per alcuni tratti trascritto in stile documentario, e per la fotografia a volte veramente straordinaria, ricca di inquadrature che destano stupore e in cui sono racchiuse immagini esteticamente sempre ben studiate, capaci di inserirsi armoniosamente nell'atmosfera narrativa voluta dalla sceneggiatura. Una fotografia che ha contribuito - insieme a una musica puntualissima nel rafforzare con le sue intonazioni drammatiche i momenti più salienti del film - alla creazione di un ambiente filmico suggestivo e incantevole, forse raro in un film sportivo, capace di moltiplicare le trepidazioni dei momenti più caldi della narrazione.
Una ripresa fotografica indubbiamente sempre di alto livello qualitativo, ricca di soggetti sociali veri, autentici, che hanno fatto risuonare con le immagini-documento le parti più significative della vita africana di Kinshasa.

"Alì" è un film di qualità anche per come l'autore ha costruito la sceneggiatura, basata su riferimenti storici e culturali precisi che hanno consentito di edificare un profilo realistico e di forte spessore psicologico del campione nero, trasmettendo un immagine di Cassius Clay lontana dal rumore del mito popolare e congiunta a un contesto storico e politico formulato con chiarezza, nonostante le difficoltà a comporlo per immagini a causa della sua non facile interpretazione.
Un contesto storico drammaticamente problematico, in cui Mann si sofferma con una attenzione quasi maniacale sulle mancanze etiche più specifiche del sociale americano, quello interclassista e interrazziale, da sempre misteriosamente intessuto di potere politico e clientele elettorali legate al ceto più debole situato nelle fasce della popolazione emarginata. Mann ne rivisita per l'occasione, in modo crudo, tutte le sue più numerose sfaccettature e contraddizioni, trattenendosi in quei punti più prossimi al dramma.
Nonostante le iniezioni di un realismo letterario sobrio, scarno, privo di effetti sofisticati o ricercati, Mann è riuscito a fare dello spettacolo tipicamente cinematografico forse senza mai ricercarlo del tutto, semplicemente mantenendosi fedele al personaggio protagonista del film così come esso appariva allora direttamente al pubblico negli stadi o attraverso i media televisivi, nulla aggiungendo o togliendo ma continuamente interpretando o intuendo qualcosa di Alì che si affacciava tra le pieghe di un'esistenza gloriosa ma sofferta, a volte pasticciata, a tratti annebbiata da crisi depressive, e formulando le proprie idee analitiche per ipotesi senza mai trascendere in affermazioni categoriche o univoche, cercando costantemente di presentare il suo pensiero in uno stile geometrico, rigoroso, fatto di deduzioni logiche meditate con cura, capaci di illuminare quanto, all'epoca, alla maggior parte delle persone risultava oscuro nella biografia privata e pubblica del campione nero.
Il film non trascura la parte più psicologica del campione, soffermandosi nei suoi registri consci e inconsci maggiormente tormentati e significativi.
Cassiu Clay (Muhammed Alì) appare nel film come un pugile nero molto discusso, un leggendario personaggio dai modi mistici e polemici, inquieto e passionale, rude, a volte ieratico e grave nel suo difficile compito di risollevare con i meriti sportivi la troppo contenuta spiritualità dei neri musulmani d'America, spesso depressi e apatici nel richiedere, nelle opportune sedi istituzionali, il rispetto dei propri diritti da tempo acquisiti sulla carta.

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mercoledì 18 febbraio 2009

Recensione EX

Recensione ex




Regia di Fausto Brizzi con Alessandro Gassman, Claudia Gerini, Nancy Brilli, Massimo Ghini, Silvio Orlando, Cristiana Capotondi, Elena Sofia Ricci, Gianmarco Tognazzi, Vincenzo Salemme, Claudio Bisio, Fabio De Luigi

Recensione a cura di Francesca Caruso

Il film inizia da dove le commedie sentimentali di solito finiscono, ovvero dal bacio degli innamorati, raccontando ciò che accade dopo, quando il rapporto si incrina.

Filippo e Caterina stanno divorziando e fanno di tutto per "non" avere l'affidamento dei due figli.
Luca, dopo l'ennesima lite con Loredana, va via di casa e si trasferisce dal figlio, scoprendo a cinquant'anni il suo lato giovanile, intenzionato a divorziare dalla moglie.
Sergio, divorziato da oramai otto anni, si ritrova a fare il padre a tempo pieno delle figlie adolescenti, dopo la morte improvvisa della sua ex moglie.
Elisa è in procinto di sposarsi con Corrado; Don Lorenzo, che li dovrà unire in matrimonio, è il suo ex innamorato e questo complica le cose.
Paolo è fidanzato con Monique e subisce le minacce di Davide, ex di lei, che pretende che la lasci.
Giulia vive con Marc a Parigi, ma un trasferimento in Nuova Zelanda rischia di farli diventare ex.

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Recensione RITORNO AL FUTURO PARTE III

Recensione ritorno al futuro parte iii




Regia di Robert Zemeckis con Michael J. Fox, Christopher Lloyd, Mary Steenburgen, Lea Thompson, Thomas F. Wilson, Elisabeth Shue

Recensione a cura di JackR

"Ritorno al futuro parte III"comincia esattamente dove la parte II finisce: Marty è intrappolato nel 1955 dopo che Doc è stato colpito da un fulmine nella Delorean ed è stato trasportato nel 1885. Solo il Doc del 1955 può aiutare Marty a tornare nel presente.
Al cimitero di Hill Valley, nei pressi del quale è sepolta la Delorean lasciata dal Doc del 1885 per Marty, Marty e Doc scoprono che Doc, nel 1885, è stato ucciso da "cane pazzo" Tannen, uno dei più spietati e pericolosi criminali della zona, antenato di Biff, pochi giorni dopo aver scritto la lettera per Marty. Invece di tornare al presente, dunque, Marty decide di correre in soccorso dell'amico in pericolo. Giunto nel 1885, però, buca il serbatoio della Delorean, rendendo impossibile il viaggio di ritorno per mancanza di carburante.
In una Hill Valley che sta costruendo la torre dell'orologio Marty ha la possibilità di tenere in braccio il suo bisnonno neonato ed incontrare "cane pazzo" Tannen. Messo al corrente della situazione, Doc comincia ad ingegnarsi per trovare il modo di portare la Delorean a 88 miglia all'ora, velocità a cui avviene il salto temporale, e scongiurare il proprio assassinio. Nel frattempo, i due salvano da morte certa Clara Clayton, la nuova insegnante di Hill Valley ma Doc finisce per innamorarsene, al punto di decidere di rimanere nel vecchio west con Clara.
Una volta riportato Doc alla ragione in una curiosa inversione di ruoli rispetto ai precedenti capitoli, i due decidono di dirottare un treno e spingere la Delorean fino alla velocità desiderata.
I ripetuti incontri con "cane pazzo" Tannen alterano la storia nuovamente. Marty riesce a salvare la vita di Doc, mettendo pericolosamente in gioco la propria. La mattina della partenza Marty dovrà sfidare a duello Tannen. Salire sulla Delorean al momento giusto sarà tutt'altro che semplice.

La parte II e la parte III della trilogia in realtà sono due atti di un unico film, quindi giudicarli separatamente è piuttosto complicato, soprattutto nel caso del terzo film, che comincia in medias res. Non è questa però la debolezza del terzo atto, sebbene una visione che prescinda da quella degli altri due capitoli - anche per chi li conosce bene - risulta fortemente indebolita, in quanto priva della tensione accumulata dal ritmo delle vicende del secondo capitolo.
Gli unici salti temporali, infatti, sono all'inizio ed alla fine. La stessa cosa, in effetti, accade nel primo capitolo ma ovviamente le dinamiche sono ben diverse e i due film non sono paragonabili. Rispetto al secondo capitolo, però, il ritmo ed il numero dei viaggi, nonchè le implicazioni spazio-temporali, diminuiscono drasticamente. Se fosse un unico film, si direbbe che la prima parte ha un ritmo forsennato, la seconda è sostanzialmente statica.
Il terzo capitolo ha infatti un ritmo molto più lento e l'ambientazione del vecchio west offre pochi spunti per paradossi e gag come accade per i precedenti capitoli nei quali, per forza di cose, le situazioni intricate e divertenti sono molte di più.
Il futuro ultra tecnologico e gli anni '50 del rock and roll già di per sé offrono ambientazioni affascinanti e molti spunti per una commedia, indipendentemente dalla tematica del viaggio nel tempo, al contrario della Hill Valley dell'ottocento. C'è spazio per qualche siparietto divertente ma niente in confronto alle situazioni geniali viste nei primi due episodi, anche perchè per la prima volta il viaggio non riguarda l'epoca vissuta da Doc e dalla famiglia McFly, ma un più "comune" salto temporale di un secolo.
Quel che distingue "Ritorno al futuro" dagli altri classici del viaggio nel tempo è proprio l'intuizione di visitare epoche molto prossime, in un senso e nell'altro, a quella di partenza, rendendo possibili situazioni interessanti come conoscere i propri genitori da ragazzi o vedere il proprio futuro. "Ritorno al futuro parte III" tralascia quest'aspetto per concentrarsi su una storia diversa, in un'epoca casualmente scelta come scenario finale.

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martedì 17 febbraio 2009

Recensione KATYN

Recensione katyn




Regia di Andrzej Wajda con Andrzej Chyra, Maja Ostaszewska, Artur Zmijewski, Danuta Stenka, Jan Englert, Pawel Malaszynski, Magdalena Cielecka, Agnieszka Glinska, Maja Komorowska, Wladyslaw Kowalski, Antoni Pawlicki, Agnieszka Kawiorska, Sergei Garmash, Krzysztof Kolberger, Wiktoria Gasiewska, Joachim Paul Assböck, Stanislawa Celinska, Alicja Dabrowska, Krzysztof Globisz, Oleg Drach, Oleg Savkin

Recensione a cura di Francesca Caruso

Il regista e sceneggiatore Andrzej Wajda è uno dei principali esponenti del cinema polacco, insignito nel 2000 dell'Oscar alla Carriera per "cinque decadi di straordinarie regie". Il film è dedicato alla memoria del padre, capitano polacco vittima della strage di Katyn, e della madre ingannata. Il 17 settembre 1939 la Germania invade la Polonia; migliaia di cittadini polacchi fuggono dalla frontiera occidentale per rifugiarsi nelle regioni orientali, ma scoprono che anche i russi sono entrati nel paese e si ritrovano stretti in una morsa. Tutti i militari della zona sono fatti prigionieri, e tra questi Andrzej, capitano dell'8° reggimento dell'esercito, e Jerzy, un suo subalterno. Anna, la moglie del capitano, lo raggiunge nella zona dove sono stati raccolti prima di essere trasportati altrove, scongiurandolo di tornare a casa con lei e la loro bambina e togliersi la divisa, ma Andrzej ha giurato fedeltà a quella divisa e non può seguire la sua famiglia.
Il capitano decide di annotare su un taccuino tutto quello che accade intorno a lui giorno per giorno. Dopo alcuni mesi, Anna e la figlia, con l'aiuto di un ufficiale dell'Armata Rossa, riesce a tornare a Cracovia e si rifugia dalla madre di suo marito, anche il suocero Jan, professore universitario, con gli altri colleghi, è stato deportato. Le due donne aspettano i loro mariti, con fiducia e ostinazione. Un giorno il taccuino di Andrzej, recapitatole a casa grazie all'intervento di Jerzy, metterà pace nel cuore in attesa di Anna.

"Katyn" è la storia dei 15.000 soldati polacchi, dei quali circa 8.400 ufficiali, trucidati e seppelliti in fosse comuni nella foresta di Katyn dalla NKVD (la polizia politica di Stalin). Stalin in persona firmò il 5 marzo 1940 l'autorizzazione a uccidere i prigionieri di guerra polacchi, una strage perpetrata per annientare la futura classe dirigente.
Dopo la scoperta delle fosse comuni nel 1943 da parte dei Tedeschi, i sovietici negarono il loro coinvolgimento, accusando gli stessi Tedeschi. Per molto, troppo tempo i sovietici rinnegarono e cercarono di occultare le loro responsabilità.
Il 13 aprile 1990 Gorbaciov, durante l'incontro con il presidente polacco Jaruzelski, ammise la colpevolezza sovietica.

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Recensione RITORNO AL FUTURO PARTE II

Recensione ritorno al futuro parte ii




Regia di Robert Zemeckis con Michael J. Fox, Christopher Lloyd, Lea Thompson, Thomas F. Wilson, Elisabeth Shue

Recensione a cura di JackR

Il grandissimo successo di "Ritorno al futuro" rese inevitabile girare un seguito. Il finale sospeso del primo episodio, però, rese altrettanto inevitabile ripartire esattamente da quel punto, definendo in qualche modo i binari della continuazione della trama. Inoltre, come è noto, Crispin Glover (George McFly nel primo episodio) venne estromesso dal cast, rendendo necessario eliminare George dagli episodi successivi: ecco perchè, ad esempio, nel 1985 alternativo George è addirittura morto.

Alla fine del primo film, in un colpo di scena finale, Doc torna dal futuro e riparte immediatamente portando con sé Marty e Jennifer in una missione per salvare la loro famiglia sulla Delorean volante.
"Ritorno al futuro parte II" comincia esattamente da qui: Doc, Marty e Jennifer arrivano nel 2015, trent'anni nel futuro, per cercare di impedire a Marty Junior (Micheal J. Fox), copia esatta di suo padre ma molto meno sveglio, di cacciarsi nei guai. Mentre Marty e Doc portano a compimento la missione, Jennifer, svenuta, viene portata dalla polizia nella casa che, nel 2015, condivide con Marty. La missione di recupero di Jennifer consente però ad un ormai decrepito ma mai domo Biff Tannen, di sottrarre la Delorean senza che Marty e Doc se ne accorgano.
Tornati nel 1985, Marty e Doc si accorgono che c'è qualcosa che non va: Biff è diventato il padrone di Hill Valley, la città è devastata e senza legge, George è stato ucciso e Lorraine è sposata con Biff. Doc scopre cosa è avvenuto: Il vecchio Biff è tornato indietro nel 1955 e ha consegnato ad un giovane se stesso un almanacco con tutti i risultati sportivi dei successivi cinquant'anni (che aveva comprato Marty ma che Doc gli aveva fatto gettare), alterando la storia. Il giovane Biff, scommettendo sempre sul risultato esatto, è diventato in questo modo ricco e potente.
L'unico modo di rimettere le cose in sesto è quello di tornare nel 1955 e sottrarre al giovane Biff l'almanacco, cercando di interferire il meno possibile con gli eventi di quel periodo, onde evitare disastrosi paradossi temporali. Incredibilmente, il vecchio Biff ha scelto di tornare nel 1955 negli stessi giorni in cui Marty aveva vissuto il suo primo viaggio nel tempo. Nel 1955 ora ci sono due Marty McFly e due Doc Brown e Hill Valley non è poi così grande...

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lunedì 16 febbraio 2009

Recensione RITORNO AL FUTURO

Recensione ritorno al futuro




Regia di Robert Zemeckis con Michael J. Fox, Christopher Lloyd, Lea Thompson, Crispin Glover, Thomas F. Wilson, Claudia Wells, James Tolkan, Elijah Wood

Recensione a cura di JackR

La definizione, l'osservazione e la misurazione del tempo, la possibilità di deformarlo e quella di attraversarlo: scienza, filosofia e letteratura trovano terreno fertile da secoli, ma solo con il cinema il viaggio nel tempo è entrato nella cultura popolare come una chimera, una paura e una speranza. Il cinema di fantascienza ha una lunga tradizione per quel che riguarda le varie declinazioni della tematica del viaggio nel tempo: da "The Time Machine" ("L'uomo che visse nel futuro") a "Il Pianeta delle Scimmie" negli anni ‘60, da "Terminator" a "12 Monkeys", fino al nostrano "Non ci resta che piangere" e alle ultime complicazioni di "Donnie Darko" e "Primer", quest'ultimo inedito in italia.
In alcuni casi (come nel film di Troisi e Benigni) il viaggio nel tempo è solo l'espediente narrativo che da il la agli avvenimenti: non c'è pretesa di spiegazione scientifica, non sono indagati i possibili paradossi che le azioni del viaggiatore temporale comportano.
La maggior parte delle volte negli script dei film sui viaggi nel tempo il principio di auto consistenza di Novikov (per cui il tempo è refrattario ai cambiamenti ed il viaggiatore non sarà in grado di generare paradossi) e il paradosso ontologico (per cui causa ed effetto si invertono in un loop irresolubile) regolano l'andamento degli eventi; si pensi ad esempio all'ultimo, pessimo, "The Time Machine" per il primo caso o a "L'esercito delle 12 Scimmie" e "Terminator" per il secondo caso.
Un'altro filone narrativo è infine quello in cui al "crononauta" è consentito di modificare con le proprie azioni gli eventi del passato e le loro conseguenze ed eventualmente generare paradossi. Esempi sono l'episodio dello speciale di Halloween de "I Simpson" in cui Homer viaggia nel passato, "The Butterfly Effect" e "Frequency", benché in questo caso invece delle persone viaggino le informazioni.
A questo genere di film appartengono "Ritorno al Futuro" ed i suoi due seguiti, che nell'immaginario collettivo restano tuttora, a quasi venticinque anni dall'uscita del primo episodio, l'archetipo del film sui viaggi nel tempo.

Benché l'idea alla base del film sia l'esplorazione del rapporto tra un adolescente e i suoi genitori quando avevano la sua stessa età e pertanto abbia un impianto da commedia, "Ritorno al Futuro" è a tutti gli effetti un film di fantascienza: c'è lo scienziato folle, c'è una vera e propria macchina del tempo, c'è una teoria sui cambiamenti della realtà dovuta alle azioni dei viaggiatori temporali ferrea e inattaccabile, sebbene sia ancora oggi fonte di innumerevoli discussioni tra gli appassionati, che si divertono sui forum di tutto il mondo a spiegarsi reciprocamente la coerenza dei salti temporali della saga, cosa che peraltro la dice lunga sulla riuscita di questo film.

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Recensione RELIGIOLUS

Recensione religiolus




Regia di Larry Charles con Bill Maher, Jose Luis De Jesus Miranda, Andrew Newberg, Steve Berg

Recensione a cura di Anna Maria Pelella

"Io credo che Dio voglia che tutte le persone siano libere, questo io credo. E questo è alla base della mia politica estera"
George W. Bush

Bill Maher, comico americano di una certa fama, intervista in giro per il mondo le persone a proposito delle loro credenze religiose. Spesso l'intervista assume connotati grotteschi, in particolare quando Maher applica il suo personalissimo humor alle affermazioni più eclatanti dei fedeli e dei loro capi spirituali.

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venerdì 13 febbraio 2009

Recensione LO SCEICCO BIANCO

Recensione lo sceicco bianco




Regia di Federico Fellini con Alberto Sordi, Brunella Bovo, Leopoldo Trieste, Giulietta Masina, Ernesto Almirante

Recensione a cura di A. Cavisi

Ivan e Wanda, freschi sposi, si recano a Roma in viaggio di nozze per conoscere gli zii di lui e per far visita al Papa. Qui Wanda si reca clandestinamente a fare visita al suo eroe dei fotoromanzi perdendosi senza riuscire a ritrovare la via per l'albergo, e Ivan cerca in tutti i modi di nascondere ai parenti la scomparsa della moglie.

"La vita vera è quella dei sogni", dice una sanguigna signora alla spaesata protagonista di questo film. Perché già alla sua prima regia (escludendo la co-regia per "Luci del varietà"), Fellini ci immerge in quel mondo visionario ed onirico che contrassegnerà gran parte della sua filmografia. Fondendo realtà ad illusione egli ci mostra uno spaccato sociale dell'epoca, rendendolo grottesco e ridicolo, ma al contempo molto lucido ed ironico.

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