Recensione il curioso caso di benjamin button
Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 7,5)
"Solo il tempo è veramente nostro! La natura ci ha dato il possesso di questa sola cosa sfuggente ed instabile".
Seneca, "Lettere a Lucillo"
Appare incredibile e non finisce mai di stupire l'incapacità del cinema hollywoodiano di rinnovarsi. Infatti, con una curiosa periodicità le case di produzione americane (in questo caso stiamo parlando della Warner Bros e della Paramount Pictures, che si sono unite per coprire il cospicuo costo di centocinquanta milioni di dollari) commissionano una storia che sia la contempo una parabola umana e un affresco storico, in grado di colpire e di sedurre il grande pubblico ingraziandosi anche i favori della critica. L'operazione è assolutamente sensata, perché quando si decide di spendere cifre colossali si deve anche avere la prospettiva più che congrua di recuperale e di realizzare anche un buon profitto. E sarebbe auspicabile che dietro una siffatta operazione commerciale si celasse anche l'intenzione di trasmettere un messaggio, sia esso filosofico o artistico o politico o anche meramente estetico. Spesso questo genere di pellicole gode di un ampio consenso di pubblico e riesce anche a portare a casa numerosi premi, fra cui i tanto ambiti Premi Oscar. Questo fu il caso, per esempio, di pellicole come "Forrest Gump" (1994) di Robert Zemeckis e vincitore di sei Premi Oscar, de "Il Paziente Inglese" ("The English Patient", 1996) di Anthony Minghella e vinitore di nove Premi Oscar, di "Titanic" (1997) di James Cameron e vincitore di undici Premi Oscar. Anche "American Beauty" (1999) di Sam Mendes e vincitore di cinque Premi Oscar, benché apparentemente differente, rientra perfettamente in questo contesto sia per alcune analogie strutturali, sia per tecnica produttiva. Vi ha provato senza successo anche uno dei migliori autori contemporanei, Martin Scorsese, prima con "Gangs of New York" (2002) e poi con "The Aviator" (2004). E anche Steven Spielberg ha percorso questa strada con "Prova a Prendermi" ("Catch Me if you can", 2002). Tuttavia, dopo il 2000 qualcosa è cambiato. Forse è stato a causa dei fatti dell'undici settembre 2001, forse è stato a causa delle traversie politiche, economiche e sociali che si sono abbattute sugli Stati Uniti e sul mondo intero. Fatto sta che l'Academy ha incominciato a premiare film di tipo differente, meno indulgenti e meno ottimisti. Si ricordi per esempio che "Forrest Gump" gareggiava nella corsa agli Oscar con "Pulp Fiction", pellicola decisamente meno buonista, che uscì dal confronto ampiamente sconfitta nonostante sia un film talmente incisivo da aver influenzato la cinematografia mondiale e da esser stato capace di modificare la concezione stessa di un certo tipo di cinema. Negli ultimi anni hanno trionfato film più asciutti, più duri e intimamente pessimistici come "Mystic River" (2003) e "Million Dollar Baby" (2004), entrambi di Clint Eastwood, senza dimenticarci di "Crash" (2004) di Paul Higgins e di "Non è un Pese per Vecchi" ("No Country for Old Men", 2007) di Joel e Ethan Coen.
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