lunedì 30 dicembre 2013

Recensione LO HOBBIT - LA DESOLAZIONE DI SMAUG

Recensione lo hobbit - la desolazione di smaug




Regia di Peter Jackson con Martin Freeman, Benedict Cumberbatch, Ian McKellen, Evangeline Lilly, Luke Evans, Richard Armitage, Elijah Wood, Orlando Bloom, Cate Blanchett, Hugo Weaving, Christopher Lee, Andy Serkis, Ken Stott, Graham McTavish, Lee Pace, Stephen Fry, Billy Connolly

Recensione a cura di Luke07

Dopo essersi unito alla compagnia di Thorin Scudodiquercia ed essere venuto in possesso di un misterioso anello magico, il viaggio dello hobbit Bilbo Baggins prosegue attraverso l'incontro con il mutaforma Beorn, gli elfi silvani di Bosco Atro e l'arciere Bard di Pontelagolungo. L'intera compagnia vedrà però messa a dura prova il proprio coraggio quando, giunta alla Montagna Solitaria, si trova di fronte il terribile drago Smaug.

La sensazione che Peter Jackson fosse un mago era già balenata nella mente di molti alla visione della trilogia de "Il Signore degli Anelli", ma pochi avrebbero scommesso sulla reale necessità di suddividere in ben tre film un libro che conta poco più di trecento pagine. Nemmeno i più ottimisti e sfegatati fan del regista neozelandese si sarebbero mai aspettati quello che invece oggi è di fronte agli occhi di tutti, perché Peter Jackson ha compiuto il miracolo. Certo, manca ancora un frammento per completare il mosaico ed esprimere un giudizio esaustivo, ma quel "Racconto di un ritorno" promette fin da ora di chiudere epicamente un cerchio aperto oltre dieci anni fa.

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mercoledì 18 dicembre 2013

Recensione I SOGNI SEGRETI DI WALTER MITTY

Recensione i sogni segreti di walter mitty




Regia di Ben Stiller con Ben Stiller, Kristen Wiig, Sean Penn, Adam Scott, Kathryn Hahn, Shirley MacLaine, Patton Oswalt, Terence Bernie Hines, Adrian Martinez, Kelly Southerland

Recensione a cura di JackR

Walter Mitty (Ben Stiller) si occupa dell'archivio fotografico di Life Magazine, è segretamente innamorato della sua nuova collega, Cheryl (Kristen Wiig), e ha un problema: sogna ad occhi aperti così intensamente che si disconnette dalla realtà. Non ha mai viaggiato, non ha mai fatto nulla di straordinario, avendo soffocato precocemente i suoi talenti e i suoi progetti per aiutare la famiglia in difficoltà dopo la scomparsa del padre. Le sue fughe dalla realtà sono il rimedio per una vita di rimpianti, ma di fatto sono peggiori del male, perché lo rendono ancora più introverso e difficile. Quando Life Magazine arriva all'ultimo numero cartaceo, il fotografo Sean O'Connell (Sean Penn) invia un telegramma in redazione, con istruzioni precise per la foto di copertina. Incredibilmente, il negativo della foto prescelta è stato rimosso dal rullino inviato a Walter, che per salvare la copertina e il posto di lavoro, decide di rintracciare Sean e, forse, finalmente, aprirsi alla vita...

"I sogni segreti di Walter Mitty" è l'ennesimo, vano, tentativo di Ben Stiller di espiare la famosa scena del gel per capelli in Tutti Pazzi per Mary. Il ruolo che gli ha spalancato le porte di Hollywood e gli ha permesso di realizzare i suoi progetti personali pesa ancora come un macigno, costringendolo a strafare continuamente, da un lato per essere sempre e comunque altrettanto divertente, dall'altro per dimostrare di non essere demente come le sue migliori gag.
Il potere onestamente guadagnato e meritato con una vita dedicata al cinema, come regista, attore e produttore, mostra sempre il suo lato oscuro nei progetti, cui Stiller sembra tenere di più, quelli in cui investe il proprio capitale economico, artistico e umano. Come "Tropic Thunder", "I Sogni Segreti di Walter Mitty" è un incredibile spreco di talenti, mezzi ed effetti speciali per raccontare una storia che aveva bisogno di tutt'altro registro, regista e forse anche attore protagonista. Il delirio di onnipotenza - o almeno la mancanza di un confronto e un controllo - si manifesta in una durata eccessiva, in una fotografia completamente sbagliata (perché sembra tutto uno spot?), una sceneggiatura senza un vero centro e un casting poco equilibrato.

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lunedì 16 dicembre 2013

Recensione HUNGER GAMES: LA RAGAZZA DI FUOCO

Recensione hunger games: la ragazza di fuoco




Regia di Francis Lawrence con Jennifer Lawrence, Elizabeth Banks, Liam Hemsworth, Josh Hutcherson, Sam Claflin, Philip Seymour Hoffman, Jena Malone, Woody Harrelson, Stanley Tucci, Maria Howell, Donald Sutherland, Willow Shields, Jeffrey Wright, Bruno Gunn, Paula Malcomson, Amanda Plu

Recensione a cura di Luke07

Dopo il successo di "Hunger Games", Katniss Everdeen è ormai diventata una celebrità.

Lei e Peeta sono sopravvissuti, ma la paura che qualcosa possa ancora succedere alla sua famiglia la divora. Durante il Tour della Vittoria, Katniss sperimenta la realtà degli altri distretti, realizzando di aver contribuito a fomentare l'odio contro il regime di Capitol City. La ragazza di fuoco è confusa, ha innescato una scintilla e ora non sa come gestirla, teme per i suoi affetti e vorrebbe soffocare il suo desiderio di rivolta, ma dentro di sé sa che non si può tornare indietro e che tutto sta per cambiare.

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giovedì 12 dicembre 2013

Recensione STILL LIFE (2013)

Recensione still life (2013)




Regia di Uberto Pasolini con Eddie Marsan, Joanne Froggatt, Karen Drury, Andrew Buchan, Neil D'Souza, David Show Parker, Michael Elkin, Ciaran McIntyre, Tim Potter

Recensione a cura di The Gaunt

Uberto Pasolini non ha molti film al suo attivo come regista, solamente due: l'esordio "Machan" e appunto "Still life" presentato alla 70esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti, dove ha conseguito il premio come migliore regia. E' più nota la sua attività di produttore che ha avuto il suo apice di successo mondiale, di critica e di pubblico, con "Full Monty" di Peter Cattaneo. Una serie numerosa di premi, ed inoltre arricchiti dalle nomination agli Oscar nelle categorie importanti: film, regia e sceneggiatura originale.
Il suo esordio dietro la macchina da presa con "Machan" riprendeva a grandi linee la storia di "Full Monty", solo che gli squattrinati organizzati era stati trasferiti dall'Inghilterra al contesto povero dello Sri Lanka. Riuscire a costituire una squadra fittizia di pallamano per poter ottenere un visto per l'Europa e una volta giunti sul posto darsi alla clandestinità nelle varie nazioni europee. Come detto, pur avendo chiaramente delle caratteristiche derivative con "Full Monty", la pellicola era comunque di fattura più che dignitosa.

John May è un impiegato del comune incaricato di ricercare eventuali parenti di persone che sono morte da sole. Se non riuscirà nell'intento dovrà provvedere alla sepoltura, organizzando il funerale, e scrivendo un elogio. Un lavoro molto accurato che non è molto gradito ai suoi superiori, viste le spese che il comune deve sostenere. Infatti durante un periodo di tagli al personale, il suo posto è in cima alla lista e prima del suo trasferimento vuole giungere al termine del suo ultimo compito.
"Still life" rispetto alle due pellicole citate in precedenza non gioca le sue carte sul versante dell'ironia pura. Certamente non è un elemento di cui questa pellicola è carente, tuttavia l'approccio che utilizza il regista italo-inglese è molto più serio, perché "Still life" in fondo parla della morte o almeno di un certo modo di morire: morire da soli.
Pasolini ha sottolineato alle conferenze stampa e nelle varie interviste rilasciate alla Mostra del Cinema di Venezia il fenomeno di questo sensibile aumento di persone che vengono trovate senza vita all'interno dei propri appartamenti dopo giorni o settimane dal decesso. Nessuno si accorge di nulla, nessuno si fa delle domande di questa mancanza, tanto meno in molti casi gli stessi parenti, quasi a dimostrare uno scollamento evidente del tessuto familiare, presente nella maggior parte dei casi all'interno delle civiltà occidentali. Esemplificativa in questo senso è la telefonata verso un signore chiamato Radley, che non vuole saperne di presenziare al funerale (pagato dallo Stato) di suo padre che ha come cognome Radulovitz. Per rancore o per vergogna di un passato da immigrato o figlio di immigrati, si è portati quasi a rinnegare le proprie origini e di conseguenza molti tessuti familiari diventano più deboli fino ad essere recisi.
Molte volte all'interno della cronaca dei quotidiani capita di leggere notizie di questo tipo e non succede una volta ogni tanto. Può sembrare assurdo, ma non è certo una scoperta di oggi che all'interno di condomini grandi come alveari umani accadano fatti del genere. La gente muore e nessuno si accorge di nulla come se all'interno di tali agglomerati le persone siano invisibili l'uno dall'altro. Sia in caso di presenza o in caso di assenza.
Emblematico è tutta la sequenza iniziale di questo film con la celebrazione di un funerale. L'elogio un po' stentato del sacerdote, una musica di sottofondo, solo una persona presente che osserva come tutto vada per il verso giusto. Questa stessa persona la vediamo solitaria seguire il feretro fino alla sua sepoltura.
John May, questo è il suo nome, è un semplice impiegato del comune a cui viene affidato l'incarico della ricerca di parenti proprio nei casi spiegati in precedenza, ma nella maggior parte delle volte scopre che o non ci sono parenti stretti o amici del defunto rintracciabili o che quest'ultimi non possono e soprattutto non vogliono avere nulla a che fare con tali persone. Il comune si sobbarca la spesa per il funerale che John May prepara nei più piccoli particolari.
"Still life" è costruito fondamentalmente su questo personaggio con cui è facile avere una forte empatia grazie alla straordinaria interpretazione di Eddie Marsan, ottimo caratterista del cinema inglese, dal viso riconoscibilissimo e particolare, che ha avuto, insieme allo stesso Pasolini alla proiezione in Sala Grande circa dieci minuti di standing ovation, a dimostrazione dell'ottimo lavoro effettuato e dall'emozioni che ha saputo suscitare questo singolare personaggio.

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mercoledì 4 dicembre 2013

Recensione VIAGGIO SOLA

Recensione viaggio sola




Regia di Maria Sole Tognazzi con Margherita Buy, Stefano Accorsi, Fabrizia Sacchi, Gian Marco Tognazzi, Alessia Barela, Lesley Manville, Carolina Signore, Diletta Gradia

Recensione a cura di peucezia

Tornata dietro la macchina da presa dopo il documentario "Ritratto di mio padre" girato nel 2010, Maria Sole Tognazzi si guarda un po' alle spalle e si sofferma dopo "L'uomo che ama" su una persona sola e amareggiata dalla vita.
Margherita Buy alias Irene è una post quarantenne che svolge un lavoro decisamente atipico e forse persino invidiabile: è una ispettrice alberghiera che ha l'incarico di viaggiare per valutare gli hotel e i resort di lusso di tutto il mondo. Il ruolo che occupa è a prima vista affascinante visto che le consente di godere degli agi e delle comodità di strutture eleganti e lussuose, ma di fatto la donna è sola e rassegnata a un destino da zitella perché la sua occupazione stride con i rapporti umani e soprattutto con una relazione sentimentale duratura.
La donna ha un legame con un suo ex, ormai amico di una vita, a sua volta in crisi perché sta per diventare padre, e ha un rapporto controverso con una sorella sposata e madre che è sicuramente meno rigida nella gestione delle relazioni umane ma è al contempo tremendamente distratta.

La storia, che si divide tra le immagini quasi propagandistiche di strutture alberghiere a cinque stelle sparse per il mondo e la città di Roma, si regge quasi completamente sulla Buy che ancora una volta interpreta una donna problematica anche se meno nevrotica rispetto ad altre volte.
Gli altri personaggi sono ridotti a comparse e persino il protagonista maschile Stefano Accorsi, che all'inizio sembrava promettere buoni sviluppi, rimane una semplice ombra.
Di certo le figure maschili della pellicola non sono positive: Accorsi, padre quasi per caso, ricorre alla sua ex per un conforto, mentre il cognato di Irene interpretato da Gianmarco Tognazzi è un marito e padre tenero e affettuoso ma nel contempo anche timoroso di perdere i suoi punti di riferimento.

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martedì 3 dicembre 2013

Recensione CIMITERO VIVENTE

Recensione cimitero vivente




Regia di Mary Lambert con Michael Lombard, Dale Midkiff, Fred Gwynne, Brad Greenquist, Denise Crosby

Recensione a cura di carsit (voto: 7,5)

Quando si parla di horror, è impossibile non imbattersi nella figura di Stephen King.
King è notoriamente un prolifico autore che deve la sua notorietà per moltissimi romanzi, i quali hanno venduto milioni di copie in tutto il mondo.
King non ha introdotto variazioni o grandi novità all'interno di questo genere, ma è riuscito ad offrire una sua particolare qualità che spesso manca nelle storie d'orrore: lo spessore psicologico dei personaggi che si muovono nella vicenda. L'autore riesce a dare vita ai suoi protagonisti; sono caratterizzati in maniera così sopraffina e realistica che potrebbero benissimo esistere.
Questo fattore non è da trascurare o da sottovalutare, e non a caso King è uno scrittore di successo.
L'autore del Maine delinea personalità praticamente perfette, ed attraverso queste riesce spesso a far passare anche interessanti approfondimenti su temi notoriamente difficili da trattare (per esempio: infanzia, violenza sui bambini, schizofrenia, sesso, morte).
Proprio sull'ultimo tema "Pet sematary" trova il suo cardine principale e riesce a proporre anche alcune idee molto interessanti.

L'incipit iniziale è molto semplice:
Louis Creed, un medico, si trasferisce nel Maine perché ha accettato un'offerta di lavoro in una scuola. Con lui ci sono la moglie Rachel, ed i figlioletti Ellie e Gage.
La casa non ha nessun tipo di infestazioni e/o maledizioni particolari, come si potrebbe erroneamente pensare. Conosceranno Jude Mitchell, un simpatico anziano che abita a cinquanta metri da loro e con cui instaureranno una solida e genuina amicizia.
Eppure in questo luogo c'è un elemento disturbante, c'è un qualcosa di inquietante che ambisce la morte dei vivi e che non tarderà a manifestarsi. Quando Victor Pascow (uno studente della scuola) morirà tragicamente per un incidente, Louis sarà costretto a confrontarsi con una realtà più grande di lui. E sarà Jude il portavoce di questo oscuro segreto: dietro la loro casa, ad un paio di chilometri di distanza, risiede un cimitero, "Pet sematary" viene chiamato, e gli abitanti del villaggio seppellivano i loro animali quando questi incontravano la morte.
Ma secondo una leggenda, un'indefinita e pericolosa entità (il Wendigo, mitica creatura dei nativi americani) ha donato al cimitero il potere di resuscitare i morti quando questi sono seppelliti nel luogo maledetto. Per Louis è molto difficile credere ad una leggenda di questo genere, ma molto presto dovrà ricredersi.

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venerdì 29 novembre 2013

Recensione IL PASSATO (2013)

Recensione il passato (2013)




Regia di Asghar Farhadi con Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Sabrina Ouazani, Pauline Burlet, Elyes Aguis, Babak Karimi, Valeria Cavalli, Jeanne Jestin

Recensione a cura di Mimmot

Conosciuto un po' ovunque dopo il successo internazionale (e l'Oscar) riscosso con il precedente "Una separazione", il regista iraniano Asghar Farhadi stavolta si è trasferito in Francia dove ha girato uno dei più bei film francesi degli ultimi anni, il cui breve e sintetico titolo, "Il passato", sintetizza e contiene in sé tutta l'essenza della storia che narra.
Quel passato che spesso riaffiora nelle nostre vite per ricordarci che noi tutti siamo ciò che è stato. Quel passato la cui eredità pesa e condiziona il nostro presente. Quel passato i cui residui inquinano non solo l'oggi ma anche il domani. Quel passato che ci ha formato e ci zavorra nella sua complessità e contraddizioni e da cui è difficile emanciparsi.

Ciò che colpisce subito de "Il passato", oltre alla forma elegante e raffinata, di scrittura e regia, è il tema ricorrente, che lo lega al precedente, bellissimo, lavoro di Farhadi: quello dell'atto finale di un matrimonio. Ma mentre nel primo la separazione avviene in quello stesso preciso momento, nel secondo la separazione è già avvenuta da un pezzo, è già stata elaborata e metabolizzata. Si tratta solo di formalizzarla e renderla definitiva dal punto di vista legale.
Per questo un uomo iraniano, Amhad, da Teheran fa ritorno a Parigi per firmare le carte del divorzio dalla sua ex moglie Marie. Una pura formalità se non fosse che le cose, come sempre accade nel cinema di Farhadi, quasi subito si complicano a partire dal loro incontro all'aeroporto quando Marie lo convince ad alloggiare nella sua casa, invece di accompagnarlo in albergo come lui avrebbe voluto.
Ben sapendo che in quella casa, dalla quale si era allontanato quattro anni prima, per motivi che non sapremo mai perché tutte le volte che cercherà di spiegarlo la ex moglie e gli altri personaggi in scena non glielo permetteranno mai, oltre a lei e le sue due figlie, nate da una precedente relazione, l'inquieta adolescente Marie e l'ancora bambina Lea, vivono il suo attuale compagno Samir, di cui scopriremo presto essere incinta, e il figlioletto di lui Fuad.

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mercoledì 27 novembre 2013

Recensione KILLING MRS. TINGLE

Recensione killing mrs. tingle




Regia di Kevin Williamson con Katie Holmes, Helen Mirren, Barry Watson, Marisa Coughlan

Recensione a cura di dubitas (voto: 6,5)

Leigh Ann è una giovane studentessa che mira a prendere una borsa di studio fuori dalla sua città, ma per fare ciò ha bisogno di passare l'esame finale di storia e ottenere la valutazione massima A. L'amico, di cui è infatuata, Luke (Barry Watson) e l'amica Jo Lynn (Marisa Coughlan) tentano di aiutarla nella difficile impresa, e rubano la copia dell'esame della severissima e crudele insegnante Mrs. Tingle.

La sorte vuole che proprio nel momento dell'imbroglio, Mrs. Tingle entri nella palestra e scopra i tre ragazzi, dirigenodosi poi direttamente verso la presidenza per espellerli. I ragazzi cercheranno - la notte stessa - di convincere Mrs. Tingle dell'assoluta innocenza di Ann, tentando prima di ragionare con lei (fallendo), poi minacciandola ed infine legandola ad un letto nella speranza di trovare una soluzione migliore.

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lunedì 25 novembre 2013

Recensione AUTOPSY

Recensione autopsy




Regia di Adam Gierasch con Ashley Schneider, Eric F. Adams, Michael Bowen, Jenette Goldstein, Arcadiy Golubovich, Ross Kohn

Recensione a cura di carsit (voto: 5,0)

"Autopsy" è un film che può essere preso come rappresentante dell'horror che si è fatto prepotentemente largo negli ultimi 10-15 anni.
L'horror, come ogni genere cinematografico, subisce continui cambiamenti ed evoluzioni che comportano variazioni del prodotto sul mercato.
Nel passato l'horror veniva presentato attraverso location molto suggestive, inquietanti e contornate da una trama con una lentezza dosata, atta ad aumentare il climax di terrore, che spesso esplodeva nelle sequenze finali.
"Amityville horror" di Rosenberg, "La casa dalle finestre che ridono" di Avati, " Profondo rosso" di Argento sono tutti esempi di questa categoria di pellicole.
Con il progredire del tempo si è percepito un cambiamento di registro abbastanza evidente, essendosi affacciato il genere del torture-porn, uno stile di film che ha come tematica principale quello dello splatter.
Esempi lampanti sono "Hostel" di Roth, "Martyrs" di Laugier, "Saw - l'enigmista" di Wan. In questo genere la trama diventa quasi accessoria, un elemento secondario, un qualcosa in più, non necessario ai fini del film.
Il regista, attraverso effetti speciali più o meno buoni, cerca di disgustare e lasciare sgomento lo spettatore attraverso scene di forte impatto visivo.
Autopsy rientra proprio in quest'ultima categoria.
Cosa funziona e cosa è da rivedere in questo film ?

"Autopsy", fin dalle prime battute, propone un gruppo di teenager che vivono la loro vita e, tra feste, sballi e divertimenti vari, il gruppo di ragazzi non ha motivo di annoiarsi.
L'incipit iniziale è in verità parecchio confusionario e poco chiaro, dato che i protagonisti vengono presentati attraverso sequenze di fotografie e di brevi video, frammentati da una regia "videoclippara" che rende poco chiaro il tutto, ma questo in fin dei conti non è realmente importante, perchè la trama risulta essere un qualcosa di non indispensabile (come detto prima ).
Il film ha il grandissimo pregio di non perdersi in lungaggini e preamboli francamente inutili, dato che i cinque ragazzi saranno presto coinvolti nell'incubo (da questo momento è possibile leggere SPOILER).

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giovedì 21 novembre 2013

Recensione QUANDO LA MOGLIE E' IN VACANZA

Recensione quando la moglie e' in vacanza




Regia di Billy Wilder con Tom Ewell, Evelyn Keyes, Sonny Tufts, Robert Strauss, Marilyn Monroe, Oscar Homolka

Recensione a cura di peucezia

Titolo originale del tutto diverso che tradotto suona come il prurito del settimo anno, riferendosi all'anno di matrimonio che tradizionalmente vedeva il coniuge di sesso maschile più incline a guardarsi intorno dopo anni di fedeltà. In Italia il titolo invece si riferisce alla trama che ruota intorno a un marito, lasciato momentaneamente solo dalla consorte partita per la villeggiatura, e dopo il grande successo della pellicola dette la stura alla realizzazione di film minori che vertevano su mariti in libertà durante i mesi estivi.

La pellicola americana uscita nel 1955 e diretta dal re della commedia americana, il grande Billy Wilder, è tratta da un lavoro teatrale del 1951. La scena ancora oggi considerata cult è quella che vede la protagonista femminile Marilyn Monroe (alla sua consacrazione grazie a questo film) con l'ampia gonna bianca del vestito estivo sollevata da un soffio di aerazione proveniente da una griglia. Molti registi riprodussero la sequenza ed è rimasta nella memoria recente quella presente in "La signora in rosso" con le vesti di Kelly LeBrock che si sollevano quasi analogamente.

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martedì 19 novembre 2013

Recensione THE CANYONS

Recensione the canyons




Regia di Paul Schrader con James Deen, Lindsay Lohan, Nolan Gerard Funk, Gus Van Sant, Amanda Brooks, Tenille Houston, Lauren Schacher, Jarod Einsohn, Victor of Aquitaine, Matthew Hoffman

Recensione a cura di Terry Malloy

"The Canyons" è un thriller noir ambientato a Los Angeles che parla dei pericoli sia personali che professionali che derivano dall'ossessione per il sesso e per l'ambizione. La storia ruota attorno alla turbolenta relazione tra Tara (Lindsay Lohan), una giovane aspirante attrice, e Christian (James Deen), un giovane ricco produttore di film. La vicenda si complica quando nella vita di Tara si riaffaccia il suo ex, Ryan (Nolan Funk), in un'escalation di sangue, violenza, paranoia e crudeli giochi mentali.

Questa è la sinossi data dal Catalogo Adler Entertainment, la società di distribuzione del film in Italia, società che presenta "The Canyons" come uno dei suoi cavalli di battaglia, quando probabilmente dovrebbe configurarsi piuttosto il ronzino, il cavallino da traino, l'ultima ruota del carro del suo listino.

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lunedì 18 novembre 2013

Recensione THE MUDGE BOY

Recensione the mudge boy




Regia di Michael Burke con Emile Hirsch, Tom Guiry, Richard Jenkins, Pablo Schreiber, Zachary Knighton, Ryan Donowho, Meredith Handerhan, Beckie King, Sandra Gartner, Tara O'Reilly

Recensione a cura di dubitas (voto: 8,0)

Timido, sessualmente confuso, impacciato, Duncan è un ragazzo di 13 anni che vive nel modo più strano possibile: dopo la morte della madre, passa le giornate intere a giocare con delle galline e sviluppa la bizzarra abitudine di mettere il loro becco in bocca per "calmarle", indossando i vestiti della madre (un modo per colmare la sua mancanza) ed imitando la sua voce a pranzo.
Dall'altra parte c'è un padre sempre più freddo e distaccato, incapace di donare al figlio il meritato affetto. Duncan mette gradualmente piede nel mondo esterno, facendosi nuovi amici e conoscendo la differenza che lo divide dai suoi coetanei e lo fa sentire strano, scoprendosi attratto dall'amico Perry. Ma dovrà fare i conti con un aspetto della società che non aveva messo in conto: l'oppressione del diverso e la conformazione della società. Quello che è un vasto paesaggio rurale non è altro che una prigione eterna, ma al posto delle mura di pietra ci sono delle alte e innalzate colline.

"The mudge boy" è un dramma americano che si discosta in modo incisivo daltipico modello che siamo abituati a vedere. Michael burke ci racconta una storia apparentemente "già vista", parlando della sfortuna di coloro che vivono in una piccola città e devono conformarsi a dei valori anche quando questi vanno contro la loro natura. Il lavoro di Burke si basa sulla contrapposizione di due caratteri opposti : da una parte c'è Duncan, il "chicken boy" (così scherzosamente chiamato dai suoi coetanei), ragazzo in qualche modo impacciato e femminile, considerato "senza valore" dal padre, e dall'altra c'è Perry, il tipico adolescente pieno di testosterone, palestrato e "macho". E' in questa profonda differenza che si concentra il succo della narrazione.
E' un contrasto eterno che si può verosimilmente riscontrare in due tendenze opposte della società : il conformismo e la diversità. Il primo è qualcosa di artificiale, un modo blando e insipido per adeguarsi a delle convenzioni sociali, ed il secondo è l'elemento naturale che ci caratterizza: ognuno di noi è diverso, ed è proprio in questa diversità che sta la nostra forza e la nostra specialità e importanza. Ma c'è una cosa che le accomuna e che Burke non si dimentica di sottolineare: la sofferenza.
Chi è diverso soffre perché non si sente compreso, ostracizzato da una società che fa di tutto per farlo sentire debole, ancora di più di quello che già è per natura (e su questo potremo stendere altre considerazioni, come che l'uomo di per sé è debole). Il conformismo è una corazza che ci protegge dalla cattiveria, ma non ci garantisce la felicità né ci risparmia dalla sofferenza. Perry tenta di mascherare la propria infelicità comportandosi da tipico leader maschile, circondato da ragazze e sempre alla ricerca di un divertimento fine a se stesso, ma anche lui ha dei momenti di cedimento e non riesce a reggere al perverso gioco della società. Ed è proprio in uno di questi momenti che egli dà sfogo ai suoi autentici sentimenti, anche in modo piuttosto violento, verso l'amico Duncan.

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giovedì 14 novembre 2013

Recensione UNA PICCOLA IMPRESA MERIDIONALE

Recensione una piccola impresa meridionale




Regia di Rocco Papaleo con Riccardo Scamarcio, Rocco Papaleo, Barbora Bobulova, Sarah Felberbaum, Claudia Potenza, Giuliana Lojodice, Giovanni Esposito

Recensione a cura di peucezia

Seconda prova registica dell'attore lucano Rocco Papaleo dopo "Basilicata coast to coast", il film "Una piccola impresa meridionale" allarga la visuale del regista dalla terra natale lucana a un sud ipotetico che abbraccia idealmente un'area che va tra Campania e Puglia (accanto a Papaleo e al suo accento potentino c'è la cadenza nord-barese della Loiodice e di Scamarcio e quella campana dei due soci dell'impresa di ristrutturazione) malgrado sia stato girato in Sardegna.

Se il primo film, viaggio lungo tutta la Basilicata e viaggio interiore per i protagonisti secondo i parametri classici del road movie, sceglie la strada del simbolismo tout court privilegiando l'immagine e la riflessione all'azione, la tematica della seconda pellicola abbandona il surrealismo sfrenato per soffermarsi sugli outcast, i disadattati spirituali e sociali quali sono tutti i personaggi della storia.

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