mercoledì 30 dicembre 2009

Recensione LA MAGGIORE DISTANZA POSSIBILE

Recensione la maggiore distanza possibile




Regia di Lin Jing-jie con Kwai Lun-mei, Mo Zi-yi, Jia Xiao-guo

Recensione a cura di Anna Maria Pelella

Il tecnico del suono Xiaotang viene licenziato per la sua incapacità ad arrivare in orario sul set, e decide di mettersi in viaggio.
Durante il percorso continua a registrare suoni che poi invia per posta alla sua ex ragazza, ma lei ha cambiato indirizzo e i nastri arrivano alla nuova inquilina, Xiao Yun che ha una storia con un uomo sposato. Ascoltando le registrazioni si stabilisce un legame che spinge la donna a mettersi in viaggio per cercare i luoghi dei suoni che le sono stati recapitati. Nel frattempo lo psicologo Acai si mette in viaggio per cercare una donna che frequentava anni prima e che nel frattempo si è sposata...

"La maggiore distanza possibile" è quella a portata dell'orecchio, oltre la quale i suoni e le persone scompaiono. Xiaotang, tecnico del suono licenziato dal set su cui lavora, continua le sue registrazioni e, nell'intento di comunicare con la sua ex ragazza, gliele spedisce per posta. Solo che lei non abita più là e le audiocassette finiscono nelle mani della nuova inquilina, Xiao Yun che ha una storia, in realtà già finita, con un uomo sposato. Lo psicologo Acai, che tiene poco in conto le sue emozioni e parte di queste le usa per infierire sui pazienti, si mette in viaggio per attraversare più che il paese, la depressione che lo minaccia assai da vicino. I tre si sfioreranno, i due uomini avranno anche modo di incontrarsi e parlare del loro dolore, ma la distanza permane.

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martedì 29 dicembre 2009

Recensione SURVEILLANCE

Recensione surveillance




Regia di Jennifer Lynch con Julia Ormond, Bill Pullman, Pell James

Recensione a cura di Nicola Picchi

Due agenti dell'FBI arrivano in una piccola cittadina di provincia per indagare su una serie di efferati omicidi, e si trovano ad interrogare i testimoni sopravvissuti all'ultimo fatto di sangue. Ognuno ha una diversa versione della storia da raccontare.

Quindici anni dopo il ridicolo "Boxing Helena", Jennifer Lynch torna alla regia con "Surveillance", thriller deviante che, dopo esser passato inosservato a Cannes, si è aggiudicato il premio come miglior film al 41° Festival di Sitges. Superfluo notare come la regista si muova sulle tracce dell'illustre genitore (qui produttore esecutivo), ma ci metta anche del suo mostrando un'indubbia padronanza del mezzo cinematografico e una sensibilità non comune. Se il brutale omicidio iniziale, intuito alla tremolante luce delle torce elettriche, e il successivo arrivo dei due agenti dell'FBI in un'anonima cittadina sembrano omaggiare "Twin Peaks", in seguito il film adotta una struttura alla "Rashomon", e scusate se è poco.
La giovane Bobbi, la bambina Stephanie e il poliziotto Jack Bennett, sopravvissuti ad un evento che verrà gradualmente ricostruito attraverso le loro testimonianze, vengono interrogati separatamente alla stazione di polizia, sotto l'occhio vigile delle telecamere installate dagli agenti Sam Hallaway e Elizabeth Anderson. Le testimonianze non collimano: ognuno di loro, tranne la bambina, omette dei particolari o mente scientemente. L'unità di luogo è squarciata da flashback ipersaturi, a cui viene delegato il compito di colmare lo scarto tra la narrazione dei testimoni (parziale e soggettiva) e quanto è effettivamente accaduto (effettiva verità dell'immagine). Questa dissonante partitura a tre si svilupperà in un movimento finale davvero disturbante, iperbolico ma efficace, anche se, come annota Variety, più che di un twist si potrebbe parlare di un testacoda fuori controllo.

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lunedì 28 dicembre 2009

Recensione SEGRETI DI FAMIGLIA

Recensione segreti di famiglia




Regia di Francis Ford Coppola con Vincent Gallo, Maribel Verdú, Alden Ehrenreich, Klaus Maria Brandauer, Carmen Maura, Rodrigo De La Serna, Mike Amigorena, Sofía Castiglione, Francesca De Sapio, Erica Rivas, Leticia Brédice

Recensione a cura di Francesca Caruso

Che in America le sceneggiature originali siano una merce rara ben si sa, e con l'andare del tempo la creatività autoriale sembra andare verso l'estinzione. Naturalmente ci sono le eccezioni, talvolta anche illustri, come il nuovo film del pluripremiato regista, sceneggiatore e produttore Francis Ford Coppola. Dopo un lungo periodo di tempo, Coppola porta sul grande schermo una sceneggiatura originale, scritta mentre terminava il suo ultimo film "Un'altra giovinezza".

"Segreti di famiglia" trae le sue radici dalla famiglia dello stesso regista. Non è certamente un film autobiografico, ma mentre scriveva l'autore si è basato su caratteri e situazioni che gliela ricordavano.

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Recensione LOST INDULGENCE

Recensione lost indulgence




Regia di Zhang Yibai con Karen Mok, Wenli Jiang, Eason Chan, Bowen Duan, Sichun Ma, Jian-ci Tan, Eric Tsang

Recensione a cura di Anna Maria Pelella

Wu Tao è un tassista nella città di Chongqing. Una notte prende a bordo un'avvenente fanciulla, Su Dan, e i due finiscono con la macchina nel fiume. Il suo corpo non verrà ritrovato, mentre lei riporterà gravi ferite ad una gamba. La moglie di Wu Tao e suo figlio adolescente decidono di far visita a Su Dan in ospedale, e da questo incontro nascerà una situazione tra i tre, che finirà per cambiare la vita di tutti.

Bloccato dalla censura in patria alla sua prima uscita italiana, prevista per il Far East di Udine, "Lost, Indulgence" è un delicato film sul precario equilibrio emotivo all'interno di una famiglia, che ruota tutta intorno ad una figura assente. Inspiegabilmente censurato, se non per il leggero sottotesto di disagio sociale, o forse per l'uso delle allusioni circa una sessualità mai mostrata nè raccontata, questo bellissimo film ha avuto poche possibilità di esser visto all'estero, in pratica solo al Tribeca Film festival in aprile, ed è direttamente uscito in dvd.

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mercoledì 23 dicembre 2009

Recensione A SERIOUS MAN

Recensione a serious man




Regia di Ethan Coen, Joel Coen con Simon Helberg, Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Adam Arkin, George Wyner, Katherine Borowitz, Fyvush Finkel, Steve Park, Raye Birk, Amy Landecker, Stephen Park, Sari Lennick, Allen Lewis Rickman, Fred Melamed, Alan Mandell, Tim Russell, Jim Brockhohn

Recensione a cura di Jellybelly (voto: 8,0)

I Coen sono i migliori registi della loro generazione, e questo già era noto grazie a capolavori come "Fargo", "Il grande Lebowski", "L'uomo che non c'era" o "Crocevia della morte"; sono però sempre rimasti piuttosto lontani dal mainstream, guadagnandosi la scomoda etichetta di registi "di culto", che permetteva loro di dare ampio sfogo alla creatività. Le poche volte che si sono piegati ad esigenze di mercato (si vedano i poco riusciti "Ladykillers" e "Prima ti sposo, poi ti rovino") sembravano aver smarrito quel talento corrosivo che li aveva contraddistinti fino ad allora. Proprio per questo, lo straordinario successo di critica e pubblico del loro ritorno in grande stile, "Non è un paese per vecchi", gettava lunghe ombre sul prosieguo della loro carriera: l'anarchia creativa sarebbe stata messa a dura prova proprio dall'ampliamento della loro base di pubblico.
Noncuranti di tali possibili insidie, i Coen tornavano in sala dopo poco più di un anno con "Burn after reading", una sgangherata quanto deliziosa commedia demenziale piena zeppa di attori di richiamo (George Clooney, Brad Pitt, John Malkovich, Tilda Swinton) ma di scarso appeal presso il grande pubblico, rimasto disorientato.
Non paghi, a distanza di un altro anno propongono il loro nuovo lavoro, questo "A serious man", spingendosi ancora più in là: genere inclassificabile, humour nerissimo, un pugno di ottimi caratteristi pressoché ignoti e la dichiarata intenzione di prendersi gioco del pubblico.
Riuscendoci perfettamente.

Siamo in Polonia, nei pressi di Lublino, in un imprecisato passato. La vita di una coppia di contadini ebrei è scossa dalla presenza di un anziano viandante che sarebbe dovuto essere morto: forse si tratta di un dybbuk, un demone che si impossessa dei corpi dei defunti.
Titoli di testa, e ci ritroviamo nel Minnesota del 1967.
La quieta vita del mite professore di fisica ebreo Larry Gopnick viene sconvolta da una serie di disavventure più o meno gravi: la moglie gli confessa di avere una relazione extraconiugale con un amico di famiglia e chiede il divorzio; un suo studente tenta di corromperlo in cambio di una sufficienza; suo fratello Arthur rimane coinvolto in torbide storie di gioco d'azzardo, sesso e sodomia; l'antenna del televisore non ne vuole sapere di funzionare.
Larry affronta tutto con l'imperturbabile pazienza dei giusti, senza mai lasciare che le avversità abbiano la meglio sulla sua serietà.
O forse no.

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Recensione MOTEL WOODSTOCK

Recensione motel woodstock




Regia di Ang Lee con Demetri Martin, Imelda Staunton, Henry Goodman, Emile Hirsch, Liev Schreiber, Jeffrey Dean Morgan, Paul Dano, Jonathan Groff, Eugene Levy, Dan Fogler, Kevin Chamberlin

Recensione a cura di ele*noir (voto: 7,0)

Nel 1969 l'America ospita, senza che potesse prevederlo o fermarlo, il più grande concerto rock della storia della Musica. Nei campi di Bethel, piccola cittadina dello stato di New York, viene allestito il festival di Woodstock, che in tre giorni di musica rock libera l'espressione pacifista di una generazione che voleva cambiare il mondo con l'amore.

A quarant'anni dall'anniversario dello storico evento esce un film che ne ricorda la gestazione, basandosi sulla biografia di Elliot Tiber, Taking Woodstock (da cui è tratto anche il titolo originale del film), il ragazzo che permise agli organizzatori del concerto di avere un luogo dove realizzarlo.
Elliot Tiber è un giovane artista che s'impegna per far rimanere a galla la pensione dei genitori, El Monaco Hotel, oberata di debiti. Quando viene a sapere che il Festival di Woodstock non ha trovato una sede dove essere allestito, si fa avanti offrendo la sua proprietà e il permesso che aveva ottenuto per il White Lake Music and Arts Festival, diventando colui che permise di far diventare il concerto leggendario.

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Recensione A CHRISTMAS CAROL

Recensione a christmas carol




Regia di Robert Zemeckis con Jim Carrey, Colin Firth, Christopher Lloyd, Bob Hoskins, Daryl Sabara, Jacquie Barnbrook, Molly C. Quinn, Fay Masterson, Gary Oldman, Cary Elwes, Robin Wright Penn

Recensione a cura di Luke07 (voto: 6,5)

Dopo aver rivoluzionato le tecniche cinematografice con "Back to the Future", "Who Framed Roger Rabbit" e "Forrest Gump", tutte pellicole che in qualche modo hanno contribuito allo sviluppo tecnico della settima arte, il premio Oscar Robert Zemeckis fa il suo ritorno sul grande schermo due anni dopo lo sfortunato "Beowulf" e cinque dopo il natalizio "The Polar Express", entrambi realizzati con l'innovativa tecnica della "performance capture" - basata sull'acquisizione digitale del movimento degli attori attraverso una serie di cineprese - riproponendo il grande classico di Charles Dickens del 1843 "A Christmas Carol".

La trama è nota ai più: viene narrato il percorso di redenzione dell'avaro Ebeneezer Scrooge il quale, la notte della vigilia di Natale, riceve la visita di tre spiriti che incarnano rispettivamente il Natale passato, quello presente e quello futuro. Attraverso dei veri e propri viaggi nel tempo (del resto Zemeckis è uno che se ne intende), il vecchio Scrooge ripercorre l'intera sua vita e gli intrecci con quelle degli altri: il difficile rapporto con il padre, l'affetto della sorellina Fan, l'apprendistato dal buon Fezziwig, fino all'incontro con Belle, l'amore della sua vita rigettato in nome del dio denaro.
Il presente, invece, ha le sembianze del buon Bob Cratchit, sfruttato da Scrooge, e del suo piccolo Tiny Tim, storpio dalla nascita, nonché del suo unico nipote, Fred.
Infine gli viene mostrato un futuro tetro e sinistro in cui il mondo si fa beffe della sua morte e il piccolo Tiny Tim viene a mancare di stenti. È la classica goccia che fa traboccare il vaso e che fa penetrare il messaggio fino al cuore dell'ormai redento Scrooge.

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Recensione VITE VENDUTE

Recensione vite vendute




Regia di Henri-Georges Clouzot con Véra Clouzot, Yves Montand, Charles Vanel, Folco Lulli, Peter Van Eyck

Recensione a cura di The Gaunt (voto: 10,0)

Nella storia del cinema francese Henry Georges Clouzot si pone ad uno stadio evolutivo di passaggio fra il realismo poetico e la di poco successiva nascita della Nouvelle Vague. Un autore particolare che si è saputo ritagliare un proprio spazio espressivo, sebbene qualche volta ingiustamente dimenticato e messo ai margini per via della sua discussa "collaborazione" con il regime filo-nazista di Vichy. Da tale connubio però va sottolineata la realizzazione di una pellicola come "Il Corvo" ("Le corbeau"), gioiello indiscusso dell'intera cinematografia francese, assai poco rassicurante rispetto a tematiche più di regime, dove un ambiente tipicamente piccolo borghese viene devastato dalla meschinità e dal sospetto per colpa di certe missive firmate appunto "Il Corvo" (espediente che ha ispirato successivamente la famosa stagione dei veleni alla Procura della Repubblica di Palermo ai tempi di Falcone e Borsellino).

Clouzot è sempre stato un amante di storie dalle tinte molto fosche, in cui vengono evidenziati i lati nascosti e più oscuri dei caratteri dei personaggi e dove soprattutto anche le luci celano segreti tali da generare sospetti e paure. Un pessimismo cupo attraversa le sue pellicole da "Il Corvo" passando per "Legittima difesa", fino allo squallore morale de "I diabolici".

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martedì 22 dicembre 2009

Recensione IL MIO AMICO ERIC

Recensione il mio amico eric




Regia di Ken Loach con Steve Evets, Eric Cantona, Stephanie Bishop, Gerard Kearns

Recensione a cura di A. Cavisi

Eric Bishop è un postino di mezza età che sta attraversando una crisi dovuta ai problemi causati dai due figli lasciatigli da una moglie che l'ha abbandonato, e dall'amore mai scemato per la sua prima moglie che lui abbandonò trent'anni prima. A soccorrerlo arriva il suo mito, il calciatore Eric Cantona, che si materializzerà accanto a lui, uscendo dall'enorme poster nella sua stanza, indicandogli la maniera migliore per ricominciare a vivere.

Un Ken Loach rinnovato e abbastanza inedito questo de "Il mio amico Eric", visto che ci aveva abituato a film ben più drammatici, impegnati e seriosi, che si facevano apprezzare proprio per il loro valore etico-sociale e per il bagaglio di denunce ai soprusi contro i componenti più deboli della società, da sempre presi ad oggetto di narrazione da parte del regista inglese. In questo caso ci troviamo di fronte ad una perfetta e piacevolissima commistione tra dramma e commedia, con qualche punta di "surrealismo" insita nell'irresistibile ed a tratti esilarante figura del "grillo parlante" Cantona. Sia chiaro, Loach non ha potuto resistere a scegliere come protagonista della sua nuova pellicola un operaio (da sempre la categoria privilegiata del regista) e a mostrarci tutto il valore dei lavoratori e la loro potenza sociale ed umana proprio tramite la figura di tutti i fantastici amici di Eric che sequenza dopo sequenza dimostrano la loro grandezza d'animo e la loro forza di spirito (come quando si riuniscono per aiutare Eric con una specie di seduta di auto-stima o come nella straordinaria sequenza in cui riunitisi in due pullman da tifosi, indossando la maschera di Cantona, distruggono la villa di un criminale che minaccia l'esistenza di Eric e del suo "figlioccio" maggiore).

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Recensione KEN PARK

Recensione ken park




Regia di Larry Clark, Edward Lachman con Tiffany Limos, James Bullard, Shanie Calahan, James Ransone, Stephen Jasso

Recensione a cura di ele*noir (voto: 8,5)

Non è semplice raccontare un'anonima triste vita. Figuriamoci quattro.
La via più semplice è quella del realismo, il miglior sostenitore della verità.
Ma la tristezza e la disperazione quanto la libertà e la spontaneità non sono ospiti gradite nel palco della società buonista.
La paura del turbamento e di chissà quale negativa contaminazione frenano l'interesse e la giusta voglia di capire. La censura allora viene nutrita abbondantemente di tutto ciò che può impressionare, o soltanto far curiosare in quella che, in fondo, è la realtà.
Una della tante verità della vita, in cui le sfumature generano uomini e donne fantastici nella loro bellezza come nella propria miserabilità.

"Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.
"
Fabrizio De Andrè

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lunedì 21 dicembre 2009

Recensione NOTTE E NEBBIA

Recensione notte e nebbia




Regia di Alain Resnais con -

Recensione a cura di Ciumi (voto: 9,5)

La memoria. E' questo il termine primo del cinema di Resnais.

La memoria: da opporre all'oblio, il "qualcosa" al nulla, il momento vivifico all'eternità annientatrice.
Ma è un momento tragico, spesso, e un "qualcosa" di orribile.

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venerdì 18 dicembre 2009

Recensione L'UOMO CHE FISSA LE CAPRE

Recensione l'uomo che fissa le capre




Regia di Grant Heslov con George Clooney, Ewan McGregor, Kevin Spacey, Jeff Bridges

Recensione a cura di Carlo Baldacci Carli (voto: 8,0)

"Siamo Jedi, non combattiamo con le armi, ma con la mente".

Tratto dal romanzo "Capre di Guerra" (oggi ribattezzato con lo stesso titolo del film) del giornalista, scrittore e regista televisivo Jon Ronson, "L'Uomo che fissa le Capre" è una commedia antimilitarista nel senso lato del termine, che sembra proporsi al pubblico come legittimo erede di "Mash" (1970) di Robert Altman.
Il cliché narrativo adottato è quello già proposto da Neil Simon della strana coppia (da cui il film omonimo del 1968).
A narrare la storia è Bob Wilton (Ewan McGregor), un giornalista di scarso successo, che, non riuscendo ad accettare la separazione dalla moglie (Rebecca Mader, la sola interprete femminile del film insieme con la madre di Gus) parte per l'Iraq come corrispondente di guerra. Durante il viaggio, Wilton incontra Lyn Cassady (George Clooney). Il giornalista si ricorda del nome di quest'uomo poiché alcuni anni prima aveva intervistato Gus Lacey (Stephen Root), un sedicente soldato psichico capace di uccidere un criceto con la sola forza del pensiero.
Durante quell'intervista, Gus aveva rivelato a Wilton l'esistenza di un corpo speciale dell'Esercito degli Stati Uniti, formato da soldati dotati di poteri psichici. Il fondatore di quel corpo, che aveva il nome di "Armata Nuova Terra" era Bill Django (Jeff Bridges) e il suo pupillo più promettente era appunto Cassady.
L'incontro fra Wilton e Cassady proietta il reporter, e lo spettatore insieme con lui, in un viaggio attraverso gli ultimi quaranta anni di guerre combattute dagli Stati Uniti d'America, fra dottrine New Age ben miscelate con qualsiasi forma di filosofia orientale, sostanze psicotrope ed allucinogene, e citazioni cinematografiche.

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Recensione BIRD

Recensione bird




Regia di Clint Eastwood con Michael Zelniker, Diane Venora, Forest Whitaker

Recensione a cura di Zero00 (voto: 9,5)

"I cartoni, l'unica forma d'arte nata in America... Il jazz non conta, troppe note"
("I Simpson", Episodio 16, 15a Stagione)

Il jazz è un genere musicale, ma non solo. È uno stile, un atteggiamento, un'attitudine. Il jazz è libertà e abnegazione, si nutre delle radici di chi lo suona e ne diviene prolungamento, coscienza e volontà, nonché ragione d'essere.

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