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Recensione a cura di Anna Maria Pelella
Kai è scappato di casa diciannove anni fa e, incautamente, vi fa ritorno alla morte di sua madre. La casa, come il suo passato, nasconde brutti ricordi e Kai non può fare a meno di confrontarsi con essi e col peso di una vita spesa a nascondersi dal dolore.
Kai torna a casa alla morte di sua madre, ma non è là per raccoglierne l'eredità. Vuole solo accertarsi che sia morta davvero. Non ha bei ricordi e sua madre non è stata amorevole con lui. La fuga che lo ha aiutato a sopravvivere purtroppo non ha cancellato la memoria di un passato indelebile e di una colpa immotivata e inesplicabile.
Anni addietro Kai aveva involontariamente provocato, con la sua fuga, un incidente in cui un'intera famiglia era stata spazzata via. L'unico sopravvissuto, un bambino della sua età, era sparito quella notte, e Kai forse finora non si era mai chiesto che fine avesse fatto quel ragazzo.
Ma adesso che è tornato a casa non può più sopprimere il violento emergere dei ricordi e dei sospetti. E la natura onirica di gran parte di questi non li renderà meno consistenti o efficaci, quando verrà il momento di tirare le somme e fare i conti con un passato che non è mai stato possibile archiviare. Neanche con la fuga.
La madre di Kai è un archetipo del cinema horror: la temutissima madre castigatrice che tortura i bambini e li rende nella migliore delle ipotesi vulnerabili e insicuri, nella peggiore degli assassini.
Kai non sfugge al destino dei suoi confratelli di sciagura, e si presenta molto insicuro e parecchio vulnerabile. Al punto da vedere la madre morta negli specchi o in altre circostanze, anche dopo essersi personalmente assicurato dell'avvenuto e irreversibile decesso della genitrice.
Dal momento in cui entra nella casa della sua infanzia Kai regredisce di colpo e ritorna quel ragazzino spaventato che non ha mai smesso di essere.
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