giovedì 3 dicembre 2009

Recensione IL CASTELLO ERRANTE DI HOWL

Recensione il castello errante di howl




Regia di Hayao Miyazaki con voci: Chieko Baisho, Takuya Kimura, Akihiko Miwa, Christian Bale

Recensione a cura di Enzo001 (voto: 9,0)

Nella terra di Ingary, dove realmente esistono cose come stivali delle sette leghe e mantelli che rendono invisibili, accade che, per una curiosa serie di coincidenze, una ragazza appena maggiorenne venga trasformata in un'arzilla e brontolona vecchietta. Sophie Hatter è la primogenita di tre sorelle in un reame dove la primogenitura è considerata una grossa sfortuna. Fa la cappellaia nel negozio del defunto padre con la stessa passione di chi lavora perché deve, intessendo rapporti d'amicizia con nastri e velette colorate. Ma Market Chipping è davvero un posto dove può succedere di tutto, specie quando è la Strega delle Lande Desolate a perdere la pazienza. Sophie è così costretta a partire, affrontando un viaggio che la porterà a stipulare un patto con un demone e ad entrare nel castello sempre in movimento del Mago Howl, ma soprattutto a ritrovare se stessa attraverso nuovi e inaspettati orizzonti.

Detta così potrebbe anche sembrare la trama della classica fiaba occidentale: magica come i racconti della Disney che fu, ammaliante quanto le avventure della letteratura steampunk, un po' paurosa come spesso sono le fiabe dei Fratelli Grimm. In realtà "Il castello errante di Howl" è questo e molto più: fatte le doverose premesse, Miyazaki ci prende per mano e ci conduce direttamente nella sua privatissima fabbrica dei sogni.
Come in un sogno, tutto accade così velocemente da rendere futile ogni sorta di spiegazione razionale: castelli che camminano, fuochi animati e antiche maledizioni, incantesimi che indagano la vera natura dell'animo. La fiaba segue una logica interiore paragonabile a dei sospiri intensi con cui Hayao Miyazaki riesce a comunicare l'idea che la tenerezza e l'ironia, i sentimenti e l'intelligenza possano convivere e organizzarsi in una voce calda e vibrante. Con un'andatura apparentemente dimessa ma che mostra al suo interno una geometria perfetta, tanto da far pensare ad un dipinto preordinato secondo criteri pitagorici o euclidei, Miyazaki ci offre spaccati di vita che, nello svolgersi, trovano implicazioni inimmaginabili e imprevedibili eppure coerentemente saldate alla psicologia dei personaggi.

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