mercoledì 2 dicembre 2009

Recensione NAKED

Recensione naked




Regia di Mike Leigh con David Thewlis, Katrin Cartlidge, Lesley Sharp, Ewen Bremner, Greg Cruttwell, Claire Skinner, Peter Wight, Susan Vidler, Deborah MacLaren, Gina McKee, Carolina Giammetta, Elizabeth Berrington, Darren Tunstall, Robert Putt, Lynda Rooke, Toby Jones

Recensione a cura di BdS*

Il disilluso Johnny, costretto a lasciare Manchester, passa a trovare la sua ex Louise, che ormai conduce nella capitale inglese una vita noiosa e piccolo-borghese per la quale il giovane intellettuale manifesta un sarcastico disprezzo. Annoiato dal contesto e dalla sfasata coinquilina Sophie che si affezionerà a lui ottenendo solo sesso e indifferenza, Johnny lascia presto l'appartamento per cominciare uno stanco vagabondaggio per le strade di una Londra livida e fredda, culla di solitudini e malinconie, un viaggio odisseico senza però nessuna meta, sancito da incontri fugaci e dialoghi tragicomici e raffinati, che spesso son monologhi "sofisti" espressi ad interlocutori passivi, sconosciuti incontrati per caso, all'ombra di una deriva esistenziale senza ritorno.

In un film come "Naked" l'aspetto tecnico passa quasi in secondo piano; la regia di Mike Leigh è certo delicata e funzionale, perfetta nel suo mettere al centro gli attori nascondendosi dietro di essi, ma a fare la differenza è soprattutto una sceneggiatura in parte scritta durante le riprese con la collaborazione degli attori, modus operandi da sempre caro al regista inglese, che regala perle di incommensurabile bellezza e poesia.
"Naked" vorrebbe essere allo stesso tempo divertente e drammatico, dolce ed amaro, grottesco e disperato, spezza la tristezza del quale è impermeato non solo grazie all'umorismo del suo protagonista ma anche utilizzando personaggi caricaturali come quello del glaciale e misogino padrone di casa o della buffa amica bacchettona di Louise che torna sconvolta dall'Africa (in questo il realismo di Leigh è ben più bizzarro rispetto a quello di altri esponenti della stessa corrente), eppure lascia addosso un tale senso di sconfitta ed impotenza da far inevitabilmente spostare i suoi equilibri verso la tragicità. Questo non è semplicemente cinema sociale, ma anche riflessione più alta sull'uomo e sulla sua condizione.

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