venerdì 30 maggio 2008

Recensione SANGUEPAZZO

Recensione sanguepazzo




Regia di Marco Tullio Giordana con Monica Bellucci, Luca Zingaretti, Alessio Boni, Maurizio Donadoni, Giovanni Visentin, Luigi Diberti, Paolo Bonanni, Mattia Sbragia, Alessandro Di Natale, Tresy Taddei

Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,0)

La vita di Luisa Ferida (1914-1945) e Osvaldo Valenti (1906-1945), la storia dell'amore più appassionante e disperato della storia del cinema italiano, meriterebbe un paragrafo a parte: anche se alle nuove generazioni i loro nomi non dicono niente, la loro vicenda è emblematica sia delle difficili o contestabili scelte individuali, sia del doloroso passaggio dell'Italia tra la fine della Seconda Guerra Mondiale e la nascita della Repubblica Parlamentare di oggi.
Luisa Ferida era bella, bruna, ricca di sensualità, facendo sfoggio di quel glamour (qualcuno direbbe "di regime") che in un certo senso rispecchiava le dive dell'epoca, su tutte Doris Duranti.
Valenti era un'attore dotato di una forte caratterizzazione, forse enfatico ma certamente non "estremo" come riferiscono le cronache dell'epoca, comunque quasi Falstaffiano nella sua possenza, privilegiando (ma non per causa sua) ruoli di villain, spregevoli o inquietanti (come quello del rivale perenne di Nazzari ne "La cena delle beffe").

Marco Tullio Giordana ha riproposto la loro storia, costellata da episodi della breve carriera di ciascuno (una decina d'anni entrambi, trenta film per la Ferida e quarantasette per Valenti all'attivo), proponendo improbabili sequel di "Capitan Fracassa", "Enrico IV" o (ancora) "La locandiera", girato a Venezia, seguendo un criterio tutto sommato fedele alla cronaca nel rievocare la storia che lega l'amour fou dei due amanti-attori.
Certamente è facile recriminare su alcune scelte, come la discussa sequenza saffica della Bellucci presso la famigerata Villa Koch (più un'espediente glamour per corteggiare lo spettatore) o sul personaggio completamente inventato di Goffredi impersonato da Alessio Boni, sorta di "amante perduto" (o impossibile) che sembra uscito dalle pagine di un feulleiton d'autore.

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Recensione DEAD MAN'S SHOES

Recensione dead man's shoes




Regia di Shane Meadows con Paddy Considine, Gary Stretch, Toby Kebbell

Recensione a cura di matteo200486 (voto: 10,0)

Ho viaggiato tra molti popoli e su molti mari
e giungo qui, fratello, per donarti queste misere cose
in offerta come ultimo dono di morte
e per parlare invano alla muta cenere,
poiché la sorte mi ha strappato proprio te,
oh povero fratello toltomi ingiustamente,
ora tuttavia ricevi queste offerte, come triste dono
portate secondo il culto degli antenati,
grondanti di molto pianto fraterno,
e per sempre, fratello, addio.

(Carme 101-Catullo)

Presentato alla 61a edizione della Mostra del Cinema di Venezia, "Dead Man's Shoes" è uno di quei film che, seppur acclamato da critica e pubblico durante il festival, non ha avuto alcuna distribuzione a livello nazionale, mentre in Gran Bretagna è divenuto un vero e proprio cult, consacrando definitivamente il regista inglese Shane Meadows.

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giovedì 29 maggio 2008

Recensione GOMORRA

Recensione gomorra




Regia di Matteo Garrone con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra, Salvatore Abruzzese, Marco Macor, Ciro Petrone, Carmine Paternoster

Recensione a cura di ferro84 (voto: 9,0)

E' comunemente attribuita all'intellettuale Vincenzo Cuoco una considerazione sul nascente Regno di Napoli secondo la quale "[...]sbaglia chi considera come la nazione napoletana, in realtà sono due: distinte tra loro due secoli e due gradi di clima... la prima non vede la seconda perché ha lo sguardo rivolto a Londra o Parigi [...]"
Cosa resta oggi della "nazione napoletana" descritta da un lungimirante Cuoco? Soffocata da cumuli di immondizia in fiamme, avvelenata fin nel ventre della sua terra, assoggettata ad una modernità che le ha corrotto l'animo, la Napoli di oggi sembra avere conosciuto solo gli effetti negativi della modernità, del benessere e della democrazia.
Eppure immutabile nelle sue contraddizioni, la Napoli di questi anni sta mostrando un volto inedito, la cui spietatezza e crudeltà non risulta più essere inquadrabile in una semplice analisi storica- sociologica.

Come Cuoco a suo tempo accusò una parte di Napoli di non avere il coraggio di guardare in faccia i suoi mali, oggi Saviano con il suo romanzo-verità "Gomorra" si rivolge all'Italia, troppo presa dalle sue magagne politiche, da non rendersi conto della deriva economica e sociale di parte del suo territorio.
Venduto in più di un milione di copie e tradotto in 33 lingue, "Gomorra" è stato il fenomeno editoriale degli ultimi anni, un libro scritto in perfetto equilibrio tra romanzo e reportage giornalistico.
Il merito di Saviano è quello di presentarci una camorra inedita, più vicino al mondo della finanza e dell'imprenditoria; un'evoluzione del fenomeno malavitoso, sempre più pericoloso e soprattutto non più confinato alle regioni meridionali.

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Recensione SETA

Recensione seta




Regia di François Girard con Keira Knightley, Michael Pitt, Koji Yakusho, Alfred Molina, Mark Rendall, Sei Ashina, Leslie Csuth

Recensione a cura di Zero00

Hervè Joncour (Michael Pitt), figlio del sindaco di Lavilledieu, paesino francese non meglio identificato, si innamora e sposa Hèléne Fouquet (Keira Knightley). Abbandonate le aspirazioni militari (non tanto sue quanto del padre), si improvviserà commerciante di bachi da seta, spinto soprattutto dalle parole e delle idee dello strano Baldabiou (Alfred Molina), proprietario di tutte le filerie del paese.
Quando un'epidemia attaccherà i maggiori allevamenti europei e africani, Joncour sarà costretto a spingersi fin nello sconosciuto Giappone pur di procurarsi bachi da seta sani, ma di contrabbando.
Sarà proprio in Giappone che la vita del giovane Hervè verrà sconvolta perchè sarà lì che conoscerà Hara Key (Kôji Yakusho), signorotto di un villaggio, e la sua conturbante geisha, di cui si invaghirà perdutamente.

Presentato in anteprima alla Festa Internazionale del Cinema di Roma, "Seta" suscitò diverse aspettative, più o meno cospiscue.
Diretto dal semi sconosciuto François Girard ("Il Violino Rosso", "Peter Gabriel. Secret Word Live", "Trentadue Piccoli Film su Glenn Gould") e con quella faccia da "Dawson's Creek" di Michael Pitt ("Ingannevole è il cuore più di ogni altra cosa", "The Dremers", "Last Days") nel ruolo del protagonista, il film si è rivelato un lento e soporiforo prodotto perfettamente confezionato ma che nulla aggiunge (o semmai toglie) al romanzo breve da cui è stato tratto.
Ed è in effetti difficile che un lungometraggio possa rivelarsi bello tanto quanto il romanzo da cui viene ispirato. Se poi quel romanzo è un piccolo capolavoro come "Seta" (edito da Rizzoli, nel 1996) di Alessandro Baricco, allora il confronto è sicuramente impari. Baricco ha un modo di scrivere avvolgente e naturale, ed è in grado di dosare ironia e poesia, amalgamando perfettamente le due cose a quel pizzico di erotismo che non guasta mai. La leggenda vuole che abbia scritto Seta di getto e che, in un secondo momento, abbia tolto le parti in eccesso, smussando il suo lavoro come uno scultore con lo scalpello la sua creatura di marmo.

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lunedì 26 maggio 2008

Recensione CACCIA SPIETATA

Recensione caccia spietata




Regia di David Von Ancken con Pierce Brosnan, Liam Neeson, Angie Harmon, Anjelica Huston, Jimmi Simpson

Recensione a cura di Mimmot

Arrivato in Italia con due anni di ritardo rispetto alla sua prima apparizione americana nel 2006 e distribuito in poche sale in tutto e per di più con un'improponibile traduzione del titolo originale ("Seraphim Falls"), che fa pensare più ad un action-movie di serie B piuttosto che ad un film che si muove nel solco della tipologia di uno dei generi fondanti del cinema americano, e più in generale di quello occidentale, "Caccia spietata" è un film duro, cruento, sanguigno e sanguinolento, un new-western inusuale (almeno nella sua accezione odierna), che racconta paradossalmente la più usuale delle storie western: la caccia all'uomo per vendetta.
Un rewind-western, dunque, intenso e appassionante, cupo ed eroico, metafisico a tratti.
Un film che lascia il segno come pochi, girato con rigore quasi esistenziale e che, dopo anni di oblio, segna la rinascita di un genere che ha acceso il nostro immaginario eroico-avventuroso, e che si è progressivamente evoluto, passando dalla rappresentazione tipicamente americana del mito della frontiera, ad una serie infinita di generi e sottogeneri, filoni e sottofiloni, con caratteristiche sempre più prettamente autoriali e di nicchia.

Il merito di ciò è da attribuire al giovane ed eclettico regista David Von Anken (qui anche co-sceneggiatore), al suo primo lungometraggio.
Formatosi alla scuola TV (sue sono le regie di un cortometraggio di successo e di alcune serie televisive di qualità come "NY", "CSI", "Numb3rs" e "Californication"), il giovane regista ha saputo affrancarsi dalla tecnica televisiva, costituita essenzialmente da azioni rapide e sintetiche, sottolineate da un linguaggio verboso ed esplicito, in favore di uno stile personalissimo (che ricorda molto il cinema di Sergio Leone) e molto lontano dai canoni TV, che si esplicita attraverso una struttura narrativa che tende a privilegiare l'ostilità della natura selvaggia o gli istinti primordiali dell'animo umano, sui dialoghi (qui ridotti all'essenziale e costituiti principalmente dai mugugni e dai lamenti degli uomini, dai rumori e dai silenzi della natura), e sulla classica contapposizione tra buoni e cattivi (impossibile distinguere chi sia l'uno e chi l'altro), o tra bianchi e indiani o, ancora, sulla dura fatica dell'uomo per la conquista del selvaggio west.

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Recensione VITA DA CAMPER

Recensione vita da camper




Regia di Barry Sonnenfeld con Robin Williams, Cheryl Hines, Jeff Daniels, Kristin Chenoweth, Josh Hutcherson, JoJo, Chloe Sonnenfeld

Recensione a cura di GiorgioVillosio

Una famiglia un po' sgangherata noleggia una motor-home e parte alla volta del Colorado. Un viaggio in mezzo alla natura diventa, grazie al camper, l'occasione per conoscere tante altre famiglie e riscoprire i valori della propria.

Potrà sembrare un po' retorico, ma chi conosce il camper non si stupirà affatto che questo possa avere un effetto "catartico" sugli umori di persone e famiglie.
Il contatto con la natura, raro per chi abita in città, la coesione di un gruppo, mai a distanza così ravvicinata, le occasioni di frequentazioni diverse, impossibili coi ritmi monotoni della vita quotidiana e la forzata sinergia tra i componenti dell'equipaggio sanno creare una miracolosa comunione di intenti, di simpatia e di vicinanza. Anche perché, se tale armonia non si realizzasse, si potrebbe sempre scendere dal camper in qualsiasi momento e tornarsene a casa in treno.
Tale verità è confermata da ricerche molto serie: i figli dei camperisti veri sono mediamente più intelligenti, colti, precoci e socievoli dei loro coetanei stanziali, abituati alla sola vita di casa.

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giovedì 22 maggio 2008

Recensione IL PAP'OCCHIO

Recensione il pap'occhio




Regia di Renzo Arbore con Renzo Arbore, Roberto Benigni, Andy Luotto, Diego Abatantuono, Mario Marenco

Recensione a cura di peucezia

Il film, uscito nel 1980, ebbe alterne vicissitudini: accusato di vilipendio alla religione, fu quasi immediatamente ritirato dalle sale e quando fu scagionato nel 1998 ebbe una scarsa visibilità a causa di un certo ostracismo ma anche per un notevole insuccesso al botteghino.
In seguito però divenne uno dei titoli di punta per i cultori del trash nazionale.

Raccontare la trama del film è quasi impossibile; si parte dalla proposta, all'epoca considerata fantascientifica ma di fatto azzeccata, di un centro televisivo vaticano. Gli artisti ingaggiati per lo spettacolo inaugurale appartengono tutti al gruppo di Arbore dell'epoca, lo zoccolo duro de "L'altra domenica" - un programma cult alternativo a "Domenica in"; si passa così dalle allora giovanissime Isabella Rossellini e Milly Carlucci alle alternative Sorelle Bandiera a Michel Pergolani al Roberto Benigni decisamente lontano anni luce da Dante e da "La vita è bella" ma molto più prosaicamente innamorato di Berlinguer, ultimo leader comunista, e Bobby Solo.

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martedì 20 maggio 2008

Recensione CONTROL

Recensione control




Regia di Anton Corbijn con Sam Riley, Samantha Morton, Craig Parkinson, Joe Anderson, Alexandra Maria Lara, Harry Treadaway, Toby Kebbell, Tim Plester

Recensione a cura di quadruplo (voto: 8,5)

Existence-well what does it matter
I exist on the best terms I can
The past is now part of my future
The present is well out of hand

L'esistenza allora che importanza ha?
Io esisto meglio che posso
Il passato fa parte ora del mio futuro
Il presente è inafferrabile

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venerdì 16 maggio 2008

Recensione RACCONTI DA STOCCOLMA

Recensione racconti da stoccolma




Regia di Anders Nilsson con Oldoz Javidi, Bahar Pars, Mina Azarian, Cesar Sarachu, Lia Boysen, Peter Engman, Simon Engman, Bibi Andersson, Reuben Sallmander, Per Graffman, Nisti Stêrk

Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,0)

Stoccolma, capitale della Svezia, è una città molto particolare: dall'entrata - non del tutto indolore - nell'Unione Europea ha visto l'allentamento delle restrizioni riguardo le concessioni di licenze per bar e ristoranti (notizia particolarmente interessante solo se si fa riferimento a uno dei tre episodi del suddetto film) e, contemporaneamente, un numero notevole di residenti stranieri e di comunità etniche. In effetti se pensiamo alla Svezia, pensiamo a Bergman collocando il cinema dei paesi nordici tutt'al più alla metafisica del finlandese Kaurismaki, che già di suo aveva raccontato una società alla deriva fin dagli esordi, ben diversa dagli stereotipi di luoghi perfetti di cui è intessuta la tradizione nordica (ma in particolare la stessa Svezia).

"Racconti da Stoccolma" sembra quasi una risposta alle kitchen stories del cinema indipendente Usa (non a caso "Kitchen stories" è uno dei titoli più originali e suggestivi del recente cinema nordico), con un'occhio particolare a Inarritu e al suo cinema "a incastro" - soprattutto "Babel" - di cui Nillson riproduce una certa enfatizzazione tecnica votata in questo caso più alla metafora e alla didascalia che alla funzione reattiva e a tratti retriva della spettacolarizzazione formale del "messaggio". A dire il vero, anche "Babel" di Inarritu finisce per mascherare dietro le enormi potenzialità del messaggio un certo qualunquismo che finisce per diventare puro manierismo. Probabilmente il cinema più pericoloso e dannoso è quello di titoli come "Ai confini del paradiso", "Sotto le bombe", e via dicendo, tutte opere formalmente perfette ma che per ragioni misteriose "devono passare sempre per l'esaltazione dei media e vincere qualche premio": film di cui è tassativamente proibito parlar male (è antitetico alla massa ed è poco cool), che ti obbligano a parteggiare per una serie di motivazioni (sociali?) non certo pertinenti ad assolvere le intenzioni dei cineasti.

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giovedì 15 maggio 2008

Recensione FASTER PUSSYCAT, KILL! KILL!

Recensione faster pussycat, kill! kill!




Regia di Russ Meyer con Stuart Lancaster, Susan Bernard, Lori Williams, Haji, Tura Satana

Recensione a cura di The Gaunt (voto: 8,5)

Il cinema indipendente americano non può non includere un cineasta, a suo modo particolare, come Russ Meyer.
La sua passione per il cinema si manifestò fin da giovanissimo, quando vinse un premio per giovani registi dilettanti; successivamente, durante la Seconda Guerra mondiale, fu aggregato in Europa al seguito del Generale Patton, realizzando filmati durante la sua avanzata verso la Germania nazista: materiale molto interessante, visto che fu usato come riprese di repertorio anche nella omonima pellicola di Franklin J. Schaeffner "Patton, generale d'acciaio".
Dopo la guerra si indirizzò verso produzioni commerciali, perlopiù filmati industriali, che affinarono la sua tecnica documentarista e che furono per Meyer un'ottima palestra di lavoro per un genere che lo stesso regista apprezzava.
Il primo approccio verso i "nudies" (film a carattere erotico) avvenne nei primi anni '50 con fotografie di pin-up in pose molto osè ed i primi cortometraggi, con protagoniste avvenenti spogliarelliste.
L'esperienza non fu tra le più felici, anche se redditizia: il regista si discostava nettamente dalla filosofia di questo tipo di film. Si trattava sopratutto di pellicole molto banali con storielle sempliciotte, utili soltanto a stuzzicare l'appettito dell'americano medio benpensante, senza che quest'ultimo si scandalizzasse eccessivamente per ciò che aveva visto. Meyer invece premeva per un approccio molto scanzonato e divertente, ma inserendo al contempo, spingendo molto sul grottesco e sulle fantasie morbose, anche una certa dose di violenza.
Ovvio che tali pellicole erano ritenute troppo oltraggiose per i produttori del tempo, intimoriti da prodotti potenzialmente invendibili, così Russ Meyer si dedicò alla sua carriera di fotografo dove si fece un nome molto importante fino ad essere nientemeno che il fotografo dei paginoni centrali di Playboy, la rivista di Hugh Hefner.
Dopo il suo debutto cinematografico vero e proprio nel 1959 con "The immoral Mr. Tease", si entra nel periodo migliore della carriera del regista americano, con una serie di film girati in bianco e nero.
"Lorna" fu il primo di questa serie, continuando con "Mudhoney", "Motorpsycho" e appunto "Faster, Pussycat! Kill! Kill!".

Tre provocanti ballerine, Varla, Rosie e Billie, scorrazzano sulle deserte strade americane con le loro automobili sportive. Un ragazzo, con la sua fidanzata, si ferma vicino alle loro auto e le sfida per una corsa. Sconfitto in maniera scorretta da Varla, il ragazzo prova a difendere la sua donna aggredita dal trio. Lottando con lei il giovane non ha speranza ed è ucciso; Linda invece, la fidanzata, viene rapita dalle tre.
Ad una stazione di benzina le ragazze si accorgono di un vecchio paralitico e del suo grande figlio scemo, entrambi molto ricchi; con una scusa riescono ad entrare nella loro fattoria, ma il carattere difficile dell'anziano, armato di fucile, le mette in guardia. L'uomo intuisce che la giovane è loro vittima e nonostante non ci sia fiducia, decide ugualmente di invitarle tutte a pranzo, con il secondo scopo di poter dare la ragazza proprio al grande figlio scemo. Poco dopo Linda riesce a fuggire, e nel deserto incontra un uomo al quale racconta la verità. Questo la riporta alla fattoria perché l'uomo è Kirk, il secondo figlio dell'anziano paralitico.
La giovane sequestrata riesce però a fuggire nuovamente, inseguita dal vecchio, dai suoi figli e da Varla.
Dopo diverse peripezie, la povera Linda riuscirà però ad avere la meglio sui propri aguzzini ed a fuggire via.

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martedì 13 maggio 2008

Recensione JUNO

Recensione juno




Regia di Jason Reitman con Ellen Page, Michael Cera, Jennifer Garner, Jason Bateman, Olivia Thirlby, Allison Janney, Rainn Wilson, J. K. Simmons

Recensione a cura di peucezia (voto: 7,5)

Trionfatore al Festival del Cinema di Roma e preceduto da una campagna che col vero senso del film ha ben poco a vedere, "Juno" resta comunque un discorso a se stante ben lontano dal genere "mamma è bello" che ultimamente spopola negli Stati Uniti, ed anzi non manca una velata ironia nei confronti del movimento pro-life, rappresentato nella storia da una ragazzina goffa e un po' sciocca di etnìa nipponica.

Nome allegorico quello della protagonista: regina delle dee, moglie di Giove, prima tra tutte ma spesso tradita ed ingiuriata, carattere forte: la Juno del film un po' assomiglia alla divinità mitologica da cui prende il nome: anticonformista, amante della musica alternativa, lingua affilata, la giovane adolescente si trova da subito a combattere con gli altri, a cominciare dal venditore di test di gravidanza, ironico e disinteressato.
Eppure che questa gravidanza a sedici anni non deve e non può essere un dramma si vede dall'inizio: titoli di testa con un'allegra canzone country e tanto colore, Juno come un cartone animato si scola litri di succo per il suo test della verità.

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Recensione 4 MESI, 3 SETTIMANE E 2 GIORNI

Recensione 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni




Regia di Cristian Mungiu con Adi Carauleanu, Luminita Gheorghiu, Vlad Ivanov, Anamaria Marinca, Alexandru Potocean, Laura Vasiliu

Recensione a cura di Marco Iafrate (voto: 8,0)

Telecamera fissa, una stanza, il disordine è imperante, una ragazza seduta su un letto disfatto fuma nervosamente, lo sguardo intimorito, accanto una valigia aperta, di fronte a lei un'altra ragazza. Le due stanno dialogando, l'atmosfera appare soffocante; a contrastare questo grigiore da dietro una finestra in fondo alla stanza cadono lievi dei fiocchi di neve; la ragazza in piedi esce dalla stanza, ci troviamo in un istituto, precisamente nella casa dello studente. Fuori il grigiore non cambia, un corridoio lungo e buio, altre stanze; in alcune si vendono prodotti cosmetici e pacchetti di sigarette a mo' di mercato nero, docce e bagni in comune, stesso senso di oppressione. La ragazza dopo un breve giro fa rientro nel suo alloggio, l'altra sta preparando la valigia, parlano di un problema da risolvere e su come gestire una somma di denaro. Quello che si evince è che il problema riguarda la ragazza che fumava nervosamente e che appare psicologicamente più fragile; l'altra, apparentemente più sicura, sembra intenzionata a risolverlo: prende dei soldi, indossa una giacca ed una sciarpa ed esce di nuovo dalla stanza.

4 mesi, 3 settimane e 2 giorni è il tempo che separa la bellezza di una gioia naturale dall'angoscia di un dolore paralizzante, è un interludio tra la possibilità di una nascita e la certezza di una morte.

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venerdì 9 maggio 2008

Recensione LA RAGAZZA DEL LAGO

Recensione la ragazza del lago




Regia di Andrea Molaioli con Valeria Golino, Toni Servillo, Omero Antonutti, Anna Bonaiuto, Fabrizio Gifuni, Fausto Maria Sciarappa, Heidi Caldart

Recensione a cura di GiorgioVillosio

In un piccolo paese del Friuli, un Commissario di polizia viene chiamato ad indagare su un presunto rapimento ed un omicidio. Risolverà il caso senza clamori, grazie ad un'indagine precipuamente psicologica degli inquisiti.

Quanto sarebbe sbagliato ridurre questa opera prima di Andrea Molaioli all'ambito di genere, del noir o del giallo poliziesco; vero che si tratta dell'indagine su un delitto (in realtà più d'uno), ma ne "La ragazza del lago" il giallo costituisce solo un'occasione per raccontare ben altro, frugando approfonditamente nelle pieghe più profonde dell'umano, in una disperante ricerca su mali e dolori dell'esistenza.
L'indagine del commissario Sanzio, incaricato delle indagini, senza i clamori ed i sensazionalismi tipici dei media odierni, non ha nulla dello scoop giornalistico ma sembra, al contrario, la ricerca minuziosa di un perito settore, che fruga scientificamente nei visceri della nostra interiorità, scoprendo le radici di una sofferenza drammatica di tutti, per volere di un fato crudele.
Purtroppo, nel condurre questa metaforica autopsia, il "medico incaricato" non riesce a mantenere il dovuto distacco, ma viene coinvolto emotivamente dalla vicenda e dai suoi personaggi, dimostrandosi così umano e credibile nella misura in cui, come tutti noi, proietta nel lavoro e nei rapporti le sue stesse sofferenze; il quale processo diventa infine, socraticamente, lo strumento migliore anche per conoscere il mondo esterno.

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