venerdì 16 maggio 2008

Recensione RACCONTI DA STOCCOLMA

Recensione racconti da stoccolma




Regia di Anders Nilsson con Oldoz Javidi, Bahar Pars, Mina Azarian, Cesar Sarachu, Lia Boysen, Peter Engman, Simon Engman, Bibi Andersson, Reuben Sallmander, Per Graffman, Nisti Stêrk

Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,0)

Stoccolma, capitale della Svezia, è una città molto particolare: dall'entrata - non del tutto indolore - nell'Unione Europea ha visto l'allentamento delle restrizioni riguardo le concessioni di licenze per bar e ristoranti (notizia particolarmente interessante solo se si fa riferimento a uno dei tre episodi del suddetto film) e, contemporaneamente, un numero notevole di residenti stranieri e di comunità etniche. In effetti se pensiamo alla Svezia, pensiamo a Bergman collocando il cinema dei paesi nordici tutt'al più alla metafisica del finlandese Kaurismaki, che già di suo aveva raccontato una società alla deriva fin dagli esordi, ben diversa dagli stereotipi di luoghi perfetti di cui è intessuta la tradizione nordica (ma in particolare la stessa Svezia).

"Racconti da Stoccolma" sembra quasi una risposta alle kitchen stories del cinema indipendente Usa (non a caso "Kitchen stories" è uno dei titoli più originali e suggestivi del recente cinema nordico), con un'occhio particolare a Inarritu e al suo cinema "a incastro" - soprattutto "Babel" - di cui Nillson riproduce una certa enfatizzazione tecnica votata in questo caso più alla metafora e alla didascalia che alla funzione reattiva e a tratti retriva della spettacolarizzazione formale del "messaggio". A dire il vero, anche "Babel" di Inarritu finisce per mascherare dietro le enormi potenzialità del messaggio un certo qualunquismo che finisce per diventare puro manierismo. Probabilmente il cinema più pericoloso e dannoso è quello di titoli come "Ai confini del paradiso", "Sotto le bombe", e via dicendo, tutte opere formalmente perfette ma che per ragioni misteriose "devono passare sempre per l'esaltazione dei media e vincere qualche premio": film di cui è tassativamente proibito parlar male (è antitetico alla massa ed è poco cool), che ti obbligano a parteggiare per una serie di motivazioni (sociali?) non certo pertinenti ad assolvere le intenzioni dei cineasti.

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