Recensione pather panchali - il lamento sul sentiero
Recensione a cura di amterme63 (voto: 10,0)
L'India ha una storia cinematografica particolare. In quella nazione il cinema rappresenta il mezzo più diffuso e popolare di divertimento e svago, e fin dagli anni '30 si è fissato in schemi che ricalcano il cinema americano di Hollywood. E' prima di tutto un'industria e come tale produce prodotti in serie, quasi tutti simili fra loro. Le storie sono per lo più melodrammatiche o avventurose, gli attori divi di grido fascinosi e teatrali, le location suntuose o tipizzate. C'è insomma un'atmosfera molto convenzionale, patinata, fatta esclusivamente di stereotipi. E' un cinema di pura evasione dalla realtà, quasi mai ritratta dal vero.
Altra caratteristica basilare del cinema indiano è il fatto che è infarcito di canzoni e balli. Le canzoni poi sono cantate in playback non dall'attore ma dal cantante di grido, tanto che i film sono diventati il mezzo principale per lanciare i successi musicali più popolari.
Ironicamente, proprio da un ambiente artistico così rigido e sfavorevole ai film anticonvenzionali è uscito un regista, Satyajit Ray, autore negli anni '50 di alcuni fra i film più veri, profondi e poetici mai realizzati.
Cresciuto in una famiglia di artisti, studia presso uno dei più grandi poeti indiani, Tagore. Diventa un disegnatore pubblicitario e durante il soggiorno in Inghilterra ha il colpo di fulmine per il cinema. Rimane colpito soprattutto dalla visione di "Ladri di biciclette". Ritornato in India, decide di dedicare la vita al cinema e all'arte. Avvia l'attività di importatore di pellicole e soprattutto fa l'assistente al regista Jean Renoir, che stava girando un film in India.
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