martedì 5 aprile 2011

Recensione BLACK DEATH

Recensione black death




Regia di Christopher Smith con Sean Bean, Eddie Redmayne, Carice van Houten, David Warner, Kimberley Nixon

Recensione a cura di L.P. (voto: 7,5)

Parliamo del cinema di genere, o di quello che il cinema di genere dovrebbe essere. Intrattenimento, certo, evasione, una specie di luna park visivo in cui smarrirsi per un paio d'ore, senza porsi problemi né domande.
Non è sempre stato così. Spesso il genere è soltanto un mezzo per riflettere su noi stessi, sulla società che ci circonda, raccontando storie che diventano parabole, paradigmi in cui specchiarsi e riconoscersi peggiori di quello che credevamo di essere. Negli ultimi anni, e soprattutto nell'horror, questo utilizzo di un cinema all'apparenza disimpegnato e che in realtà ci metteva di fronte alle nostre peggiori sporcizie e paure, si è perso del tutto. La necessità principale dello spettatore è diventata quella di spegnere il cervello, salire sull'otto voltante e sfogare i più bassi istinti tramite la visione prolungata di frattaglie, effettacci e, possibilmente, tette e culi in abbondanza. Non che ci sia nulla di male in questo e tonnellate di film più o meno riusciti lo dimostrano quotidianamente. È una formula che funziona. Solo che per venti "Saw VII" o "Piranha 3D", ogni tanto esce un "Black Death" e si ha la sensazione di tornare a respirare cinema, dopo aver vagato per anni in un mare di grossolana spazzatura.

Christopher Smith è un giovane regista britannico che sembra avere una chiara e profonda visione del cinema dell'orrore e lo dimostra sin dal suo esordio, il non riuscitissimo "Creep", in cui però già si intravedeva la capacità fuori dal comune di narrarci di mostri immaginari per affrontare quelli reali. Con "Severance", una commedia splatter al vetriolo, Smith aggiusta il tiro e dimostra di saper usare l'ironia come pochi altri (forse solo, restando in Inghilterra, Edgar Wright). Dopo "Severance" è la volta di" Triangle", una delle più sconcertanti e acute riflessioni sulla maternità e sul senso di colpa mascherata da slasher surreale. E alla fine arriva questo "Black Death" che, con tutti i suoi difetti e limiti, lo consacra definitivamente come una promessa mantenuta. Non erano casi fortunati, i suoi film precedenti, erano parte di un discorso coerente e d'autore, attuato attraverso l'uso sapiente dei meccanismi del cinema di genere.

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