Recensione nel mio amore
Recensione a cura di mavic
Per il debutto nella regia Susanna Tamaro gioca in casa e si affida al suo racconto "L'inferno non esiste", tratto dal libro Rispondimi. Il film e' un vero e proprio manifesto programmatico del pensiero della scrittrice, calibrato su tempi lenti e che lasciano affiorare la bellezza del creato come antidoto al dolore. La pellicola e' ambientata in Friuli, terra d'origine della Tamaro: Stella (Licia Maglietta) e' una donna che ancora giovane ha provato tutta la gamma della sofferenza umana, ad inizio film la sua famiglia e' distrutta, il figlio 15enne Michele morto, la figlia, con la quale il rapporto non e' mai stato sereno, partita per l'Inghilterra, il marito appena morto d'infarto. E' a questo punto della sua vita che Stella decide di ritornare nella casa avita dei genitori, cercando un lenimento al suo tormento di donna e alla sensazione di fallimento esistenziale. Il film ripercorre in flashback tutta la vicenda, e sappiamo così che l'inferno può esistere se in una famiglia non alligna l'amore e la comprensione; Stella e il marito Fausto (Urbano Barberini) non hanno saputo dall'inizio costruire l'amore, e il rapporto si deteriora quando Fausto non accetta il secondogenito, temendo di non esserne il padre. La tragedia e' dietro l'angolo, Michele muore in un incidente causato involontariamente dal padre, e l'inquadratura dall'alto della regista incornicia una scena da compianto sul Cristo morto, con la mater dolorosa che stringe al petto il figlio ormai esanime. Nel suo ritorno alla vita Stella sarà decisivamente aiutata da un amico di Michele alquanto misterioso, che solo nel finale svelerà la sua vera natura.
Tecnicamente molto curato, si avverte la continua ricerca della giusta composizione dell'immagine, il film presenta uno svolgimento a tesi, che inevitabilmente finirà per compiacere alcuni spettatori e scontentarne altri, procede per affermazioni apodittiche ("e' la bellezza che ci lega al mistero", "dovremmo cercare di essere il bene più che farlo") e si chiude, senza sorprese, con l'esaltazione dell'unica verità che ci rende liberi, la fede. Come al solito mirabile l'interpretazione della Maglietta, che regge da sola tutto il film con il volto segnato, mentre Urbano Barberini e' un po' sopra le righe nei suoi continui accessi d'ira che francamente paiono a volte artificiosamente eccessivi, vedi la tirata un po' spiccia su un Gesù privo di nerbo che non seppe evitare la Crocifissione.
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