venerdì 15 settembre 2006

Recensione TAXI DRIVER

Recensione taxi driver




Regia di Martin Scorsese con Robert De Niro, Jodie Foster, Albert Brooks, Harvey Keitel, Leonard Harris, Peter Boyle, Cybill Shepherd, Norman Matlock

Recensione a cura di Laura Ciranna

Fra le nubi dei tombini, cresce il respiro di un sassofono alto, con il suo pianto ondoso... non un ottone ma un'estensione viva, una creatura dolente da consolare. "Taxi Driver" è come la sua musica: suadente fino a cavarti lacrime dal cuore, dentro di te fino a raggiungere una malinconia che non sapevi di provare, ma che era lì, come il ricordo di un attimo sottovalutato.
Una melodia struggente, mai stucchevole, che con grossi singhiozzi di suono, canta il fruscio delle strade bagnate, lo stridore intermittente del tergicristallo, gli sbuffi fumosi dalle grate, le vie imperlate di lampioni riflessi, il riverbero rosso su due occhi che vagano dietro un parabrezza.

Travis Bickle è un uomo che si porta dentro la solitudine come una custodia il suo strumento, non ha sonno e guida il taxi per spinger via la notte di New York.
Una New York ben diversa dalla metropoli sontuosa di Allen, o quella brutalizzata di Spike Lee, ma disperata e distratta, come una battona stanca, vestita solo del proprio trucco pesante. Una città di nebbia e vapore, in cui le luci al neon dormono nel fondo delle pozzanghere, totalmente deformata dalla visione smarrita di Travis.
Travis vaga per le avenue, le guarda farsi viscide di pioggia, accompagna i clienti in ogni quartiere, in ogni angolo buio. Arriva a destinazione, ma si sente perduto; perduto non solo nella città, ma soprattutto dentro di se. Le sue notti immutabili sono scandite dallo scorrere dei semafori, che pendono come luminosi decori natalizi.
Non conosciamo molto del passato di questo ragazzo, non sappiamo quali spettri l'abbiano seguito dal Vietnam, ci dice da subito di non avere un educazione scolastica, ma capiamo che ciò che gli manca è soprattutto un'educazione sociale. Travis Bickle è un guscio di incomunicabilità, non ha che un taccuino con cui confidarsi; ciò che scrive non è nulla di filosofico, solo piccole notazioni sul quotidiano, pensieri sciolti nel silenzio abitato della sua squallida stanza.

[...]

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