Recensione la stella che non c'e'
Recensione a cura di gerardo
La Cina non è più soltanto vicina: è già qui, tra noi. E quanto sia vicina lo dimostra la stessa attuale spedizione governativa e industriale italiana in quel paese, segno che un confronto socio-economico-culturale non è più procrastinabile.
Amelio, cinematograficamente avvezzo a viaggi e scoperte geografico-umane, ritaglia un personaggio italiano contemporaneo per inserirlo nel contesto del confronto tra la nostra cultura e quella dell'impero cinese. Con coraggio - bisogna riconoscerlo - Amelio affronta questo delicato discorso ponendolo sul piano dell'economia e del lavoro, che per forza di cose è necessariamente anche culturale.
Vincenzo Buonavolontà, il protagonista interpretato dal solido Castellitto, è un uomo della classe media operaia italiana, un manutentore dell'altoforno di un'acciaieria in dismissione. La crisi dell'acciaio, e più in generale della grande industria italiana, lo priva non solo del lavoro di sempre, ma anche dell'impianto a cui quel suo lavoro era dedicato. La dirigenza italiana trova conveniente vendere agli acquirenti cinesi l'altoforno di cui Vincenzo si occupava. E' una parte di sé che se ne va. Un altoforno di 30 anni da smantellare e trasportare dall'altra parte del mondo, un'esperienza lavorativa della medesima durata che finisce con quell'atto.
Per Vincenzo l'altoforno non è solo il cuore dell'acciaieria, ma il centro di tutta la sua esistenza, parte della sua anima. L'Italia, la vecchia Europa decadono, arrancano tra le maglie di un'economia in cambiamento, che ha allargato gli orizzonti, e dismettono il meglio delle loro creazioni a favore di nuovi antichissimi mondi/acquirenti in rapida disattenta espansione.
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