Recensione the company
Recensione a cura di aura tiralongo
Nel panorama poco edificante dei film sulla danza, certamente "The Company"si distingue quanto meno per l'apprezzabile intenzione di un regista della statura di Robert Altman di restituire all'arte tersicorea parte del suo faticosamente e non del tutto conquistato statuto, anche per quanto riguarda la possibilità di una sua messa in scena attraverso lo strumento cinematografico.
La proposta parrebbe voler essere quella di costruire un film effettivamente "sulla danza", con particolare rilievo all'elemento coreografico e al suo rapporto con la macchina da presa.
Le coreografie sono indubbiamente ottime sia per tecnica (perfetta nei ballerini chiamati a recitare nella parte di loro stessi, eccezion fatta per la Campbell, che ha tutte le ingenuità tipiche della ballerina non professionista), che per impatto visivo. Il montaggio e la resa delle immagini gestiscono magistralmente l'ovvio limite della performance non fruita dal vivo, e alcune inquadrature dei danzatori durante gli spettacoli strappano l'applauso. L'impressionismo della resa cromatica, la dirompente forza della musica che incornicia la solidale figura del corpo di ballo, incantano per potenza e, semplicemente, bellezza.
Qui si riconosce la firma Altman, per l'attenzione alla coralità delle coreografie, l'allusione allo spirito aggregativo del gruppo proiettato al comune obiettivo, e tuttavia rimane, mai ricomposto, lo strappo intuitivo (senza dubbio intenzionale) fra narrazione e immagini.
Nonostante i velleitari e ripetuti input sul rapporto fra cinema e danza, o meglio, fra immagine e movimento (discorso che difficilmente si lascia sorvolare, Bergson e Deleuze su tutti non sono passati invano), la sensazione finale è quella di un film approssimativo, che milita al di qua o al di là di un confine da lui stesso creato.
O dalla parte della coreografia, o dalla parte della storia, che per quanto sapientemente delineata manca al suo posto, togliendo efficacia all'opera nel suo complesso.
Altman ci propone infatti una trama ossificata, con sceneggiatura quasi assente, dialoghi scarni e scarsi di contenuto, ripercorrendo polemicamente (con malcelato passo incerto) il consueto clichè degli sporadici film sul balletto, solitamente relegati ad una sottocategoria del genere cinematografico.
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