Recensione slevin - patto criminale
Recensione a cura di Simone Bracci
Non sempre puntare sul cavallo vincente porta bene. Specialmente se il cavallo in questione si chiama Slevin, come il Josh Hartnett protagonista del film diretto dal sottovalutato regista scozzese Paul McGuigan. E il prologo di "Lucky number Slevin" affina con denso rigore questa regola non scritta. "Patto Criminale", il sottotitolo italiano, è un perfetto meccanismo ad incastri, dove il noir riscopre il pulp e fondendosi assieme generano un gangster movie riveduto e corretto alla maniera moderna. Lontano dai soliti appellativi tarantiniani, etichette appiccicate ad un genere che partendo dal capostipite (Quentin) ha dimostrato di nutrire una notevole schiera di autori, l'opera di McGuigan appare lo specchio di un genere narrativo che fa della vendetta la sua portata principale.
L'uomo sbagliato al momento sbagliato è solo un pretesto per introdurre lo spettatore in un vortice di equivoci e situazioni al limite del farsesco che seducono e ammaliano, attraverso il forte charme emanato dai grandi interpreti della pellicola. Quelli sì, ognuno al proprio posto, dal sicario Willis, al boss Freeman, dal rabbino Kingsley alla coroner Liu, fino allo sventurato protagonista, un apprezzabile Hartnett. Il film ha due anime, il cuore e il cervello, separate nettamente come lo scorrer del racconto, che prima distoglie l'attenzione e poi affonda la sua lama noir nella morbosa curiosità di chi osserva stupito la mossa Kansas City: ti volti da una parte, mentre ti fregano dall'altra. Ovviamente tutto ruota attorno ad un plot estremamente coinvolgente e quantomeno grottesco, che partendo da un campo lunghissimo di un comune aeroporto a stelle e strisce prosegue con lo scambio d'identità di un ragazzo, Slevin appunto, che vedrà la sua vita deragliare verso circostanze composte da momenti drammatici ed altri prettamente ironici e tipici del pulp d'autore.
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