Recensione avanti c'e' posto!
Recensione a cura di peucezia (voto: 7,0)
"Avanti c'è posto", uscito nel lontano 1942 per la regia di Mario Bonnard, segna il debutto di due nomi eccellenti nel mondo del nostro cinema: Federico Fellini, per il momento come semplice sceneggiatore (anche se nei titoli di testa è indicato solo come Federico) ed Aldo Fabrizi come attore cinematografico. Il titolo del film è ispirato tra l'altro a una gag teatrale portata sui palcoscenici proprio da Fabrizi: il personaggio del bigliettaio sulle linee autofilotranviarie di Roma.
Al di là di queste piccole curiosità, la trama del film risulta a suo modo innovativa e trasgressiva.
Siamo in pieno conflitto ma la parola "guerra" non è ancora mai stata sfiorata nella cinematografia dell'epoca né tantomeno si è mai fatto cenno alle difficoltà oggettive della popolazione: se pure nelle ultime scene si assiste alla sfilata dei soldati in procinto di partire, alla cosa non viene data quell'aura retorica da regime bensì una legittima malinconia per la sorte di queste giovani vite.
Il dialetto, bandito da Mussolini, che mirava a una decisa omologazione della popolazione, torna sia pure di straforo in questo film. Per la prima volta non ci sono dei popolani che si esprimono con termini appropriati e perfetta dizione ma accennano alla loro cadenza locale e qualche volta si concedono un intercalare nella loro "lingua" (la cosa è evidentissima con Fabrizi che si esprime con la cadenza romanesca e con il veneto Carlo Micheluzzi, attore goldoniano d'elezione). Possono sembrare degli elementi minimali, così come minimale e senza dubbio antediluviano è l'intreccio del film: storiella di una povera camerierina derubata che rimasta senza lavoro si affida al buon cuore del bigliettaio Fabrizi e si innamora del giovane conducente del filobus destinato però a partire in guerra.
Bonnard però, con l'introduzione di queste novità, abbandona il genere dei telefoni bianchi che da oltre dieci anni imperversava sugli schermi nazionali (d'altronde i vari divieti imposti dal regime consentivano solo una filmografia alquanto superficiale con una visione del tutto stereotipata e finta della vita della popolazione) e anticipa o precorre di qualche anno il neorealismo. Persino la scelta di Fabrizi come protagonista, attore poco cinematografico per la sua stazza e per la sua indole paciosa, lontano quindi dall'immagine virile che la cinematografia fascista voleva imporre, mostra un certo coraggio da parte del produttore del film.
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