Recensione frankenstein
Recensione a cura di Marco Iafrate
Il "Frankenstein" di Kenneth Branagh si può tranquillamente considerare un coraggioso tentativo di capolavoro, in parte fallito. Le buone intenzioni c'erano tutte; le basi forse no. L'eredità lasciata all'allora trentacinquenne regista inglese da autentiche perle della cinematografia mondiale come il "Frankenstein" del 1931 di James Whale e del successivo "La moglie di Frankenstein" dello stesso regista, gli devono aver pesato come un macigno, vista la necessità di dare alla pellicola quell'impronta megalomane e narcisista di cui il film è pregno.
Incline e fortemente attratto dagli spettacoli teatrali, Branagh ha fatto della teatralità il suo punto di forza, trasmettendo a tutti i suoi film quell'energia che spesso è sfociata in delirio di onnipotenza; a questo delirio non si è sottratto il film in questione, che ha nella ridondanza il proprio punto debole.
"Frankenstein" nasce, ancor prima di entrare nell'immaginario collettivo con le numerose trasposizioni cinematografiche, nella fertile mente della giovane Mary Wollstonecraft in Shelley un po' per gioco ed un po' per scommessa una sera d'estate del 1816. La ragazza ha 19 anni e già l'esistenza le ha riservato pene, dolori e lutti, sopportati e li' da sopportare, e proprio a quest'opera affida il suo carico di morte, le sue mortali fantasie.
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