venerdì 29 novembre 2013

Recensione IL PASSATO (2013)

Recensione il passato (2013)




Regia di Asghar Farhadi con Bérénice Bejo, Tahar Rahim, Ali Mosaffa, Sabrina Ouazani, Pauline Burlet, Elyes Aguis, Babak Karimi, Valeria Cavalli, Jeanne Jestin

Recensione a cura di Mimmot

Conosciuto un po' ovunque dopo il successo internazionale (e l'Oscar) riscosso con il precedente "Una separazione", il regista iraniano Asghar Farhadi stavolta si è trasferito in Francia dove ha girato uno dei più bei film francesi degli ultimi anni, il cui breve e sintetico titolo, "Il passato", sintetizza e contiene in sé tutta l'essenza della storia che narra.
Quel passato che spesso riaffiora nelle nostre vite per ricordarci che noi tutti siamo ciò che è stato. Quel passato la cui eredità pesa e condiziona il nostro presente. Quel passato i cui residui inquinano non solo l'oggi ma anche il domani. Quel passato che ci ha formato e ci zavorra nella sua complessità e contraddizioni e da cui è difficile emanciparsi.

Ciò che colpisce subito de "Il passato", oltre alla forma elegante e raffinata, di scrittura e regia, è il tema ricorrente, che lo lega al precedente, bellissimo, lavoro di Farhadi: quello dell'atto finale di un matrimonio. Ma mentre nel primo la separazione avviene in quello stesso preciso momento, nel secondo la separazione è già avvenuta da un pezzo, è già stata elaborata e metabolizzata. Si tratta solo di formalizzarla e renderla definitiva dal punto di vista legale.
Per questo un uomo iraniano, Amhad, da Teheran fa ritorno a Parigi per firmare le carte del divorzio dalla sua ex moglie Marie. Una pura formalità se non fosse che le cose, come sempre accade nel cinema di Farhadi, quasi subito si complicano a partire dal loro incontro all'aeroporto quando Marie lo convince ad alloggiare nella sua casa, invece di accompagnarlo in albergo come lui avrebbe voluto.
Ben sapendo che in quella casa, dalla quale si era allontanato quattro anni prima, per motivi che non sapremo mai perché tutte le volte che cercherà di spiegarlo la ex moglie e gli altri personaggi in scena non glielo permetteranno mai, oltre a lei e le sue due figlie, nate da una precedente relazione, l'inquieta adolescente Marie e l'ancora bambina Lea, vivono il suo attuale compagno Samir, di cui scopriremo presto essere incinta, e il figlioletto di lui Fuad.

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mercoledì 27 novembre 2013

Recensione KILLING MRS. TINGLE

Recensione killing mrs. tingle




Regia di Kevin Williamson con Katie Holmes, Helen Mirren, Barry Watson, Marisa Coughlan

Recensione a cura di dubitas (voto: 6,5)

Leigh Ann è una giovane studentessa che mira a prendere una borsa di studio fuori dalla sua città, ma per fare ciò ha bisogno di passare l'esame finale di storia e ottenere la valutazione massima A. L'amico, di cui è infatuata, Luke (Barry Watson) e l'amica Jo Lynn (Marisa Coughlan) tentano di aiutarla nella difficile impresa, e rubano la copia dell'esame della severissima e crudele insegnante Mrs. Tingle.

La sorte vuole che proprio nel momento dell'imbroglio, Mrs. Tingle entri nella palestra e scopra i tre ragazzi, dirigenodosi poi direttamente verso la presidenza per espellerli. I ragazzi cercheranno - la notte stessa - di convincere Mrs. Tingle dell'assoluta innocenza di Ann, tentando prima di ragionare con lei (fallendo), poi minacciandola ed infine legandola ad un letto nella speranza di trovare una soluzione migliore.

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lunedì 25 novembre 2013

Recensione AUTOPSY

Recensione autopsy




Regia di Adam Gierasch con Ashley Schneider, Eric F. Adams, Michael Bowen, Jenette Goldstein, Arcadiy Golubovich, Ross Kohn

Recensione a cura di carsit (voto: 5,0)

"Autopsy" è un film che può essere preso come rappresentante dell'horror che si è fatto prepotentemente largo negli ultimi 10-15 anni.
L'horror, come ogni genere cinematografico, subisce continui cambiamenti ed evoluzioni che comportano variazioni del prodotto sul mercato.
Nel passato l'horror veniva presentato attraverso location molto suggestive, inquietanti e contornate da una trama con una lentezza dosata, atta ad aumentare il climax di terrore, che spesso esplodeva nelle sequenze finali.
"Amityville horror" di Rosenberg, "La casa dalle finestre che ridono" di Avati, " Profondo rosso" di Argento sono tutti esempi di questa categoria di pellicole.
Con il progredire del tempo si è percepito un cambiamento di registro abbastanza evidente, essendosi affacciato il genere del torture-porn, uno stile di film che ha come tematica principale quello dello splatter.
Esempi lampanti sono "Hostel" di Roth, "Martyrs" di Laugier, "Saw - l'enigmista" di Wan. In questo genere la trama diventa quasi accessoria, un elemento secondario, un qualcosa in più, non necessario ai fini del film.
Il regista, attraverso effetti speciali più o meno buoni, cerca di disgustare e lasciare sgomento lo spettatore attraverso scene di forte impatto visivo.
Autopsy rientra proprio in quest'ultima categoria.
Cosa funziona e cosa è da rivedere in questo film ?

"Autopsy", fin dalle prime battute, propone un gruppo di teenager che vivono la loro vita e, tra feste, sballi e divertimenti vari, il gruppo di ragazzi non ha motivo di annoiarsi.
L'incipit iniziale è in verità parecchio confusionario e poco chiaro, dato che i protagonisti vengono presentati attraverso sequenze di fotografie e di brevi video, frammentati da una regia "videoclippara" che rende poco chiaro il tutto, ma questo in fin dei conti non è realmente importante, perchè la trama risulta essere un qualcosa di non indispensabile (come detto prima ).
Il film ha il grandissimo pregio di non perdersi in lungaggini e preamboli francamente inutili, dato che i cinque ragazzi saranno presto coinvolti nell'incubo (da questo momento è possibile leggere SPOILER).

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giovedì 21 novembre 2013

Recensione QUANDO LA MOGLIE E' IN VACANZA

Recensione quando la moglie e' in vacanza




Regia di Billy Wilder con Tom Ewell, Evelyn Keyes, Sonny Tufts, Robert Strauss, Marilyn Monroe, Oscar Homolka

Recensione a cura di peucezia

Titolo originale del tutto diverso che tradotto suona come il prurito del settimo anno, riferendosi all'anno di matrimonio che tradizionalmente vedeva il coniuge di sesso maschile più incline a guardarsi intorno dopo anni di fedeltà. In Italia il titolo invece si riferisce alla trama che ruota intorno a un marito, lasciato momentaneamente solo dalla consorte partita per la villeggiatura, e dopo il grande successo della pellicola dette la stura alla realizzazione di film minori che vertevano su mariti in libertà durante i mesi estivi.

La pellicola americana uscita nel 1955 e diretta dal re della commedia americana, il grande Billy Wilder, è tratta da un lavoro teatrale del 1951. La scena ancora oggi considerata cult è quella che vede la protagonista femminile Marilyn Monroe (alla sua consacrazione grazie a questo film) con l'ampia gonna bianca del vestito estivo sollevata da un soffio di aerazione proveniente da una griglia. Molti registi riprodussero la sequenza ed è rimasta nella memoria recente quella presente in "La signora in rosso" con le vesti di Kelly LeBrock che si sollevano quasi analogamente.

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martedì 19 novembre 2013

Recensione THE CANYONS

Recensione the canyons




Regia di Paul Schrader con James Deen, Lindsay Lohan, Nolan Gerard Funk, Gus Van Sant, Amanda Brooks, Tenille Houston, Lauren Schacher, Jarod Einsohn, Victor of Aquitaine, Matthew Hoffman

Recensione a cura di Terry Malloy

"The Canyons" è un thriller noir ambientato a Los Angeles che parla dei pericoli sia personali che professionali che derivano dall'ossessione per il sesso e per l'ambizione. La storia ruota attorno alla turbolenta relazione tra Tara (Lindsay Lohan), una giovane aspirante attrice, e Christian (James Deen), un giovane ricco produttore di film. La vicenda si complica quando nella vita di Tara si riaffaccia il suo ex, Ryan (Nolan Funk), in un'escalation di sangue, violenza, paranoia e crudeli giochi mentali.

Questa è la sinossi data dal Catalogo Adler Entertainment, la società di distribuzione del film in Italia, società che presenta "The Canyons" come uno dei suoi cavalli di battaglia, quando probabilmente dovrebbe configurarsi piuttosto il ronzino, il cavallino da traino, l'ultima ruota del carro del suo listino.

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lunedì 18 novembre 2013

Recensione THE MUDGE BOY

Recensione the mudge boy




Regia di Michael Burke con Emile Hirsch, Tom Guiry, Richard Jenkins, Pablo Schreiber, Zachary Knighton, Ryan Donowho, Meredith Handerhan, Beckie King, Sandra Gartner, Tara O'Reilly

Recensione a cura di dubitas (voto: 8,0)

Timido, sessualmente confuso, impacciato, Duncan è un ragazzo di 13 anni che vive nel modo più strano possibile: dopo la morte della madre, passa le giornate intere a giocare con delle galline e sviluppa la bizzarra abitudine di mettere il loro becco in bocca per "calmarle", indossando i vestiti della madre (un modo per colmare la sua mancanza) ed imitando la sua voce a pranzo.
Dall'altra parte c'è un padre sempre più freddo e distaccato, incapace di donare al figlio il meritato affetto. Duncan mette gradualmente piede nel mondo esterno, facendosi nuovi amici e conoscendo la differenza che lo divide dai suoi coetanei e lo fa sentire strano, scoprendosi attratto dall'amico Perry. Ma dovrà fare i conti con un aspetto della società che non aveva messo in conto: l'oppressione del diverso e la conformazione della società. Quello che è un vasto paesaggio rurale non è altro che una prigione eterna, ma al posto delle mura di pietra ci sono delle alte e innalzate colline.

"The mudge boy" è un dramma americano che si discosta in modo incisivo daltipico modello che siamo abituati a vedere. Michael burke ci racconta una storia apparentemente "già vista", parlando della sfortuna di coloro che vivono in una piccola città e devono conformarsi a dei valori anche quando questi vanno contro la loro natura. Il lavoro di Burke si basa sulla contrapposizione di due caratteri opposti : da una parte c'è Duncan, il "chicken boy" (così scherzosamente chiamato dai suoi coetanei), ragazzo in qualche modo impacciato e femminile, considerato "senza valore" dal padre, e dall'altra c'è Perry, il tipico adolescente pieno di testosterone, palestrato e "macho". E' in questa profonda differenza che si concentra il succo della narrazione.
E' un contrasto eterno che si può verosimilmente riscontrare in due tendenze opposte della società : il conformismo e la diversità. Il primo è qualcosa di artificiale, un modo blando e insipido per adeguarsi a delle convenzioni sociali, ed il secondo è l'elemento naturale che ci caratterizza: ognuno di noi è diverso, ed è proprio in questa diversità che sta la nostra forza e la nostra specialità e importanza. Ma c'è una cosa che le accomuna e che Burke non si dimentica di sottolineare: la sofferenza.
Chi è diverso soffre perché non si sente compreso, ostracizzato da una società che fa di tutto per farlo sentire debole, ancora di più di quello che già è per natura (e su questo potremo stendere altre considerazioni, come che l'uomo di per sé è debole). Il conformismo è una corazza che ci protegge dalla cattiveria, ma non ci garantisce la felicità né ci risparmia dalla sofferenza. Perry tenta di mascherare la propria infelicità comportandosi da tipico leader maschile, circondato da ragazze e sempre alla ricerca di un divertimento fine a se stesso, ma anche lui ha dei momenti di cedimento e non riesce a reggere al perverso gioco della società. Ed è proprio in uno di questi momenti che egli dà sfogo ai suoi autentici sentimenti, anche in modo piuttosto violento, verso l'amico Duncan.

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giovedì 14 novembre 2013

Recensione UNA PICCOLA IMPRESA MERIDIONALE

Recensione una piccola impresa meridionale




Regia di Rocco Papaleo con Riccardo Scamarcio, Rocco Papaleo, Barbora Bobulova, Sarah Felberbaum, Claudia Potenza, Giuliana Lojodice, Giovanni Esposito

Recensione a cura di peucezia

Seconda prova registica dell'attore lucano Rocco Papaleo dopo "Basilicata coast to coast", il film "Una piccola impresa meridionale" allarga la visuale del regista dalla terra natale lucana a un sud ipotetico che abbraccia idealmente un'area che va tra Campania e Puglia (accanto a Papaleo e al suo accento potentino c'è la cadenza nord-barese della Loiodice e di Scamarcio e quella campana dei due soci dell'impresa di ristrutturazione) malgrado sia stato girato in Sardegna.

Se il primo film, viaggio lungo tutta la Basilicata e viaggio interiore per i protagonisti secondo i parametri classici del road movie, sceglie la strada del simbolismo tout court privilegiando l'immagine e la riflessione all'azione, la tematica della seconda pellicola abbandona il surrealismo sfrenato per soffermarsi sugli outcast, i disadattati spirituali e sociali quali sono tutti i personaggi della storia.

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lunedì 11 novembre 2013

Recensione LA VITA DI ADELE

Recensione la vita di adele




Regia di Abdellatif Kechiche con Léa Seydoux, Adèle Exarchopoulos, Salim Kechiouche, Mona Walravens, Jérémie Laheurte, Alma Jodorowsky, Aurélien Recoing, Catherine Salle, Fanny Maurin, Benjamin Siksou, Sandor Funtek, Aurelie Lemanceau, Karim Saidi, Baya Rehaz

Recensione a cura di Stefano Santoli (voto: 9,0)

Uno sguardo innamorato

"La vie et rien d'autre", s'intitolava un film di Bertrand Tavernier; la vita (di Adele), e nient'altro, saremmo tentati di dire. Ma anche: la realtà, e nient'altro.

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giovedì 7 novembre 2013

Recensione VIA CASTELLANA BANDIERA

Recensione via castellana bandiera




Regia di Emma Dante con Emma Dante, Alba Rohrwacher, Elena Cotta, Dario Casarolo, Carmine Maringola, Elisa Parrinello, Giuseppe Tantillo, Sandro Maria Campagna, Renato Malfatti

Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,0)

Il primo fotogramma mostra un ragazzo che ispeziona i fondali marini. A ridosso di quest'immagine così naturale e suggestiva, si vede una donna anziana in un camposanto che va a visitare la lapide della figlia prematuramente scomparsa. La donna si sdraia supina sulla tomba, e in un primo istante si pensa al cliché tipico della Sicilia affine al culto della morte et similia, salvo sapere, successivamente, che la donna è di origini albanesi.

Esiste naturalmente un epilogo finale un poco triste e tuttavia quasi enfatizzato dall'assurdo nonsense della vicenda, tanto realistica quanto innaturale o perlomeno insolita.
E tra i titoli di coda Emma Dante, al suo esordio cinematografico, si concede un piano-sequenza eterno e inesorabile, quasi fosse un vezzo narcisista di un'autrice che sa fin troppo bene farsi notare; però è tanto facile codificarlo come un tributo contemporaneo a Pirandello e alla Commedia dell'Arte.

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