martedì 11 gennaio 2005

Recensione MELINDA E MELINDA

Recensione melinda e melinda




Regia di Woody Allen con Chiwetel Ejiofor, Will Ferrell, Jonny Lee Miller, Radha Mitchell, Amanda Peet, Gene Saks, Chloë Sevigny, Wallace Shawn

Recensione a cura di GiorgioVillosio

Non stupiamoci se, al 38° appuntamento registico, anche la vena di un grande come Woody Allen denoti una certa stanchezza. E non tanto per gli aspetti formali, altrettanto validi ma pur sempre ineccepibili ed eleganti, quanto per la sostanza stessa dei contenuti. Nel film, infatti, continua a prorompere con prepotenza l'ego strabordante del regista, quasi non esistesse mondo al di fuori di lui; e tutti i personaggi, per quanto scintillanti, non risultano altro che la visione speculare della sua personalità. Intendiamoci, è naturale che un'opera parli sostanzialmente della vita psico-intellettual-emotiva dell'autore! Ma, in genere, il lavoro diventa grande quando il tasso di soggettività si desume a livello subliminale, quasi non esistesse, per la capacità di volare più alto e riconoscersi in un universo allargato. Conscio di questo, forse, Woody Allen cerca di ovviare nel film in questione con due stratagemmi: affidando la parte tradizionalmente da lui interpretata ad un altro attore (Will Ferrel), e riflettendo ad alta voce proprio sulle problematiche sopraccitate. Cioè su quanto influisca nello sviluppo di un racconto la soggettività dell'autore; di qui la genesi di "Melinda e Melinda", dove due scrittori, seduti al tavolo di un bar, discutono su come costruire il personaggio di un copione in comune: se comico o drammatico. L'idea, fin troppo cerebrale, da comédie savante, è molto curiosa, e va letta in chiave metaforica; anche perché la personalità degli individui, e la vita in genere, sono in effetti la risultante di una serie di componenti di segno opposto, bontà e cattiveria, bellezza e bruttezza, carnalità e spiritualità, e, per finire, risi,sorrisi e pianti!

Da cui le due facce di Melinda, che i due autori potrebbero rendere, ad libitum, allegra o triste, felice o infelice, comica o drammatica; quasi disponessero, per un prodigio del caso, delle facoltà "fatali" degli dei greci, cui toccava il diritto di concedere o meno la loro benevolenza ai poveri mortali. Vista in tal senso l'idea di Woody Allen assume ben altra nobiltà di quella apparente, suonando come riflessione filosofica più profonda ed elevata di quanto a lui solito. Forse che, invecchiando, il suo genio ebreo voglia librarsi maggiormente in alte sfere, distaccandosi dalla prospettiva minimalista della nevrosi quotidiana dei piccoli individui; ed è quello che, magari, ci aspetteremmo tutti, dopo 38 film, da uno dei registi universalmente più amati ed apprezzati.

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