venerdì 10 agosto 2007

Recensione IL GATTOPARDO

Recensione il gattopardo




Regia di Luchino Visconti con Burt Lancaster, Alain Delon, Claudia Cardinale, Rina Morelli, Paolo Stoppa

Recensione a cura di kowalsky (voto: 8,0)

"Il Gattopardo" venne scritto da Giuseppe Tomasi Di Lampedusa a cavallo tra il 1954 e il 1957, e successivamente distribuito, dopo la morte dell'autore, grazie all'aiuto di Giorgio Bassani che ne editò un'appassionata prefazione.
Ancor oggi è un'autorevole testo su cui si confrontano i rigidi schemi letterari scolastici, probabilmente per predisporre i giovani all'attualità del tema trattato.
E' un grande affresco storico, scritto attraverso una meditata e scrupolosa documentazione sulle origini familiari dello stesso autore, di cui il Principe protagonista della vicenda fu un illustre ascendente. Lo stesso titolo, "Il Gattopardo" riguarda lo stemma che rappresenta la famiglia dei Tomasi, anche se involontariamente, e in seguìto anche alla popolarità del film, qualcuno ne trasse interpretazioni più metaforiche e politiche. Nel 1963, Luchino Visconti decise di trarre un film dal celebre romanzo.

La storia si svolge in Sicilia tra il 1860, anno della spedizione dei Mille di Garibaldi, e il 1910.
Don Fabrizio Corbera, Principe di Casa Salina (Burt Lancaster nel film), uomo affascinato dall'astronomia e della matematica, sposato e padre di sette figli, assiste alle brusche mutazioni sociali e, quando Garibaldini e Piemontesi assaltano Palermo, alla fine del suo Regno. Molti si appropriano indebitamente di questo clima Rivoluzionario, a cominciare dall'amato nipote Tancredi, che cerca di convincere lo zio ad appoggiare la sua causa, ma i moti rivoluzionari di Palermo, con le truppe che assediano la città fino a ridurla in cenere, costringono la famiglia Salina a temporeggiare nella dimora estiva, a Donnafugata, nel Ragusano. Nella cittadina Don Fabrizio scopre che un uomo "del popolo", rozzo e poco istruito, ma soprattutto poco affidabile, Don Calogero (Paolo Stoppa), è diventato Sindaco della città.
L'uomo presenta al Principe la bellissima figlia Angelica (Claudia Cardinale), che viene ben presto attratta dal bel Tancredi il quale - già promesso sposo di Mafalda - si invanghisce a sua volta di lei.
Se Don Calogero è un uomo losco per il quale Don Fabrizio non prova alcuna simpatia, l'occasione di far sposare il nipote con la figlia dell'uomo si rivela invitante: venuto a conoscenza degli averi del rivale da parte del servitore Ciccio (Serge Reggiani) e innamorato segretamente di Angelica, Don Fabrizio decide di intercedere presso il padre di lei per combinare un matrimonio storicamente rilevante tra il nobile neo-rivoluzionario Tancredi e la figlia di un neo-borghese.
Del resto lo stesso Tancredi, fedele alla trasformazione culturale e politica in atto, diventa ufficiale e mette in discussione i suoi princìpi tardo-.rivoluzionari arrivando a compiacersi dell'esecuzione di alcuni disertori ("Una volta non avresti mai parlato così" lo sconfessa la delusa e disperata Mafalda in lacrime).
A detta del Principe, benchè titubante e confuso ("Un cavallo tra due pugni, e a disagio in tutti e due") questo "compromesso" s'ha da fare, cercando di riabilitare questa falsa certezza con la speranza illusoria e l'amarezza di una Resa alla Modernità vigente.
Don Fabrizio dimostra poca fiducia nel futuro della "sua" Terra ("Non vorranno mai migliorare perchè si considerano perfetti. La loro viltà prevale sulla miseria"), e poco propenso a partecipare al radicale Cambiamento all'indomani dell'Unità d'Italia.
Deluso dalla moglie e dal Presente storico e politico della Sicilia, ciononostante egli si adatta, ma arriva a rifiutare orgogliosamente il ruolo di Senatore del Regno d'Italia propostogli da un funzionario Piemontese, il Cavaliere Chevalley. Al suo posto, guardacaso, viene chiamato proprio il sempre più ambizioso e incoerente nipote Tancredi.
Il giorno del fidanzamento annunciato si prepara un fastoso Ricevimento, che ha il suo clou in un'interminabile e fastoso ballo collettivo: nel Rituale, che Visconti ricostruisce con assoluta precisione e rigore estetico, Don Fabrizio è diviso tra il desiderio di festeggiare come gli altri, e una certa, profonda, amarezza esistenziale.
Quando Angelica chiede allo "zio" il permesso di ballare un waltzer con lui, l'uomo si dimostra chiaramente commosso e accetta volentieri. Poco dopo, davanti al nipote Tancredi visibilmente geloso, non nasconde di amarla veramente. Quindi, nuovamente illuso, cerca di estraniarsi dalla folla e dal clima festoso, comprendendo che "proprio quello che ci voleva per la Sicilia" - secondo le parole di Don Calogero - non è esattamente il suo pensiero.

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