giovedì 8 luglio 2004

Recensione TRE COLORI - FILM ROSSO

Recensione tre colori - film rosso


Regia di Krzysztof Kieslowski con Irène Jacob, Jean-Louis Trintignant, Frédérique Feder, Jean-Pierre Lorit, Samuel Le Bihan

Recensione a cura di cash (voto: 10,0)

Con questo film si conclude la fortunata trilogia di Kieslowski dedicata ai tre colori della bandiera francese. Siamo di fronte ad un' opera poco classificabile; ultimo film del regista polacco in assoluto, e probabilmente involontaria summa in cui convergono tutte le poetiche a lui chiare. E' proprio per questo motivo che per molti si tratta del suo miglior film in assoluto, come se ci trovassimo di fronte ad un bignami, ad un piccolo prontuario d' intuizioni e concetti già espressi in passato con altri film. Ma è solo con "Film Rosso" che finalmente si ottiene un'armonizzazione delle varie parti; la sua struttura linguistica attinge in pieno dal grande paradigma della filosofia kieslowskiana, creando così un film che mette fine al complesso pensiero del regista. Torna il tema del doppio, del rapporto e messa in discussione del proprio io, il tema del condurre una vita che non si avverte come propria. E torna anche Irene Jacob, già protagonista de "La doppia vita di Veronica", affiancato da uno strepitoso Jean-Louis Trintignant.

Una delle domande chiave del film, se non LA domanda, è "si può vivere la vita di un altro in maniera del tutto simile, tranne che per piccolissimi particolari che la rendono drasticamente differente"? E in effetti, entrano in gioco due coppie.
Valentie e il vecchio giudice, Auguste e la sua ragazza. La prima coppia è dominata da quella che può essere definita una drammaturgia della voce. Essa è infatti il mezzo con cui Valentie comunica con il suo uomo per telefono, sempre assente. Ciò è dichiarato sin dall'inizio del film, quando una splendida sequenza ci mostra il "percorso" della linea telefonica, da un capo all'altro; ma è anche il mezzo con il quale il vecchio giudice in pensione decide di ascoltare le persone del suo quartiere. Con delle macchine per l'intercettazione telefonica, in maniera assolutamente illegale. Con quest'atto non si voglia intendere il gesto in sé come mero voyeurismo "telefonico"; è piuttosto un mezzo con il quale l'uomo può essere in grado di capire, per la prima volta nella sua vita, con assoluta certezza, dove risieda la verità. Evidentemente quest'uomo non è stato affatto soddisfatto dalla sua passata professione; il dubbio che inequivocabilmente comporta il fatto di giudicare le azioni di una persona, di poter disporre in quel dato momento di un potere che non si riesce a controllare; può un singolo uomo poter disporre della vita di una persona semplicemente ascoltando varie versioni di una stessa storia? Lo stesso giudice affermerà in seguito a Valentine che per ogni singolo caso, in quelle stesse condizioni, avrebbe fatto tutto ciò che avevano fatto le persone da lui giudicate e condannate. E si può, ritenendosi persona al di sopra delle parti ed onesta, abusare di tale potere? Per ciò che concerne il giudice indubbiamente sì, nel momento in cui veniamo messi al corrente che lui stesso non ha avuto esitazioni, una volta avuta l'occasione di vendicarsi dell'uomo che gli aveva in precedenza sottratto la donna amata... Il giudice si sente quindi giudicato a sua volta, da sé stesso in primis, da Valentie poi. Decide quindi di dedicare la sua vita intercettando le telefonate del quartiere. Sa tutto, conosce tutto ciò che la gente si dice, tutto ciò che la gente pensa. Ora finalmente riesce ad ottenere uno sguardo oggettivo nei confronti dei fatti. Ma a due condizioni: facendosi da parte, rinunciando di fatto alla sua presenza, e quindi del corpo; e rinunciando infine a giudicare. Il giudice, prendendo piena consapevolezza dell'assoluta e inequivocabile verità, inevitabilmente si sottrae alla realtà dei fatti. E' più di un osservatore esterno, è semplicemente un'astrazione dell'entità giudicante. Forse, farsi un'idea di come stanno le cose, anche le più semplici, oppure cose che riteniamo scontate, è più arduo del previsto. Il nostro coinvolgimento, a qualunque livello, tende già a mutare il concetto di verità.

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