Recensione fight club
Recensione a cura di MiaWallace
Tratto dall'omonimo romanzo di Chuck Palahniuk, Fight Club rappresenta uno dei tentativi più riusciti di espressione del disagio, del cinismo e del consumismo della società contemporanea.
Di fronte alla maniacale ossessione per l'arredamento funzionale Ikea, per gli interminabili spostamenti in aereo, per la bieca banalità delle giornate lavorative, un giovane (Norton) sceglie la via drastica della ribellione, del combattimento corpo a corpo, del terrorismo, seguendo il folle ed affascinante Tyler Durden (Pitt), incontrato in aereo. La figura scaltra, decisa e nichilistica di Tyler si insinua come una liberazione nella vita del giovane, in alternativa a quella abituale, fatta di crisi d'insonnia e di frequenti visite a centri di sostegno per malati terminali, giusto per tirarsi un po' su, per rincuorarsi della propria situazione che, a confronto di quella del povero Bob, gigantesco energumeno con le tette malato di cancro ai testicoli, non è poi così male.
Tyler diventa per Norton un maestro, una guida, quasi l'iniziatore di una setta, messianico e profetico, con i suoi brillanti aforismi ("l'automiglioramento è masturbazione".) Salverà la sua vita dal consumismo, dall'oblio, dall'irrealtà di un mondo patinato ed ovattato, terrbilmente vacuo, in cui tutto "è la copia di una copia, di una copia".
E allora, le soluzioni sono due: o si sale in aereo sperando ogni volta in uno schianto (cosa però ahimè non così probabile), o si segue uno come Tyler, ci si fa marchiare la mano con liquido corrosivo, si va a vivere in una casa disabitata lasciando ai deboli ogni comfort, e ogni mercoledì ci si rinunisce segretamente in uno scantinato, il Fight Club appunto, a massacrarsi di pugni a mani libere, senza alcun tipo di protezione.
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