Recensione l'ultimo samurai
Recensione a cura di Speedy
Siamo nell'America del generale Caster, delle stragi di indiani e di un capitano Nathan Algren interpretato da Tom Cruise, stanco della sua vita, della sua pistola, di tutti quei morti innocenti; un uomo che ha perso il contatto con la sua anima, un uomo che vive di incubi in una bottiglia di whisky. Un giorno, vuoto come tanti, riceve un'offerta: insegnare, in unGiappone che vuole crescere, a dei ragazzi come sanare una rivolta di un rivoluzionario, Katsumoto. Parte solo per i soldi, per un viaggio che cambierà l'intera sua esistenza.
Perchè a differenza di molti suoi colleghi e superiori, un cuore, il capitano Nathan Al Gren lo aveva ancora, e ben presto lo avrebbe riscoperto. Catturato dai nemici rivoluzionari, comincerà avivere in questo piccolo villaggio, ospitato dalla moglie di un combattentesamurai ucciso da lui stesso. Comprenderà con il passare dei giorni, quella società per lui strana, quegli uomini spinti da invincibili tradizioni che combattono con la forza di spade e di mani, che non hanno paura del fuoco dei fucili, che sono pronti a morire in nome dell'onore. Scoprirà l'amore di due bambini che hanno perso il loro papà e di una vedova che non riuscirà ad odiarlo. Scoprirà pian piano quanto quella gente, che ben presto sarebbe diventata la sua famiglia, meritava più rispetto di quei vecchi comandanti americani pronti a puntare un dito contro dei bambini e delle donne indifese. Si alleerà al loro fianco in nomedi una causa che a detta del loro capo Katsumoto (interpretato da Ken Watanabe), era per l'imperatore. In una battaglia finale si scoprirà samurai, non solo nell'aspetto, ma nell'ardore, nella passione, nella ricerca e nella lotta per l'onore.
Come tutti i film del genere L'ultimo samurai evidenzia il classico americanismo nella produzione: grandi scenari, grandi battaglie; Tom Cruise sembra vagamente vestire i panni dell'impavido eroe di Braveheart, ma il regista Edward Zwick (produttore di importanti pellicole come Mi chiamo Sam, Abandon e Shakespeare in love) ha posto molta attenzione alle tradizioni, agli usi e i costumi di un Giappone in fase di sviluppo. Ha voluto evidenziare quanto una piccola casta di uomini era pronta a combattere contro un esercito di migliaia di soldati addestrati "americanamente", senza tirarsi indietro, ha voluto dipingere il ritratto di quel Giappone che lottava contro l'omologazione, che cercava di proteggere il proprio passato, contro un futuro tutt'altro che roseo.
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