venerdì 9 gennaio 2004

Recensione MINORITY REPORT

Recensione minority report




Regia di Steven Spielberg con Tom Cruise, Colin Farrell, Samantha Morton, Max Von Sydow, Lois Smith, Peter Stormare, Tim Blake Nelson, Steve Harris, Kathryn Morris, Mike Binder, Daniel London, Spencer Treat Clark, Jessica Capshaw, Neil McDonough, Richard Coca, Patrick Kilpatrick

Recensione a cura di begood

Anno 2054 a Washington D.C. Qui John Anderton è a capo della polizia pre-criminale, un'istituzione che in sei anni ha praticamente ha annullato il numero di omicidi in città. Il sistema funziona grazie ai "Precog", tre persone su cui esperimenti scientifici hanno generato la particolare capacità di prevedere azioni delittuose. John ricostruisce gli omicidi visti dai Precog e riesce a neutralizzarli poco prima che vengano commessi.
John è un uomo che crede in questo progetto, anche perchè? coinvolto da vicende personali: la scomparsa di suo figlio di sei anni Sean ha modificato la sua vita, è stato lasciato dalla moglie, ha iniziato ad assumere droghe e vive nel ricordo del passato.
Tutto viene messo in discussione quando John scopre l'esistenza di un "rapporto minoritario" (quello che dà il titolo al film), una sorta di disaccordo tra le tre previsioni dei Precog.

Qualunque commento al film non può prescindere da un sonoro "ed ora basta!". Steven Spielberg continua a "sprecare" soggetti di altissimo livello realizzando film che non convincono, che si presentano come capolavori tecnici intrisi di aggiunte buoniste di cui non si sente assolutamente il bisogno.
Agli appassionati di cinema non resta che rimpiangere il mancato affidamento di un soggetto di questo tipo ad altri registi che avrebbero colto meglio la weltanschauung di Philip Dick (chi scrive pensa a David Cronenberg, ma non solo).
Tutti ricordiamo quanto fatto da Spielberg all'ultimo capolavoro in nuce di Stanley Kubrik, quell'A.I. che con il regista statunitense si è trasformato in una semplice favola tecnologica a metà tra Pinocchio e E.T. A Spielberg non è bastato, e pensare che in varie interviste rilasciate aveva più volte precisato che era giunto il momento di fare film che piacessero a lui e non più solo al pubblico, come gli avevano chiesto fino a quel momento: delle due l'una, o quello che piace a lui ormai coincide totalmente con le esigenze del botteghino (e quindi non vediamo alcuna differenza), oppure non ha più nulla da comunicare tranne un perfezionismo tecnico che gli va comunque riconosciuto. E poi, in una superproduzione come questa c'era veramente il bisogno di alcune pubblicita così poco occulte?

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