Recensione caterina va in citta'
Recensione a cura di peucezia
Virzì prosegue il filone inaugurato con "Ovosodo" e proseguito con "My name is Tanino". Anche in questa pellicola lo spettatore è preso per mano dalla protagonista che fa da voce narrante e spiega cosa accade nel corso della storia.
Ironicamente si potrebbe sottotitolare il film "l'educazione di una giovane" perché il filo rosso che lega la vicenda è sempre lo stesso delle altre due pellicole: una adolescente che si affaccia alla vita e viene a contatto con altrettante delusioni e disillusioni. Se in "Ovosodo", forse la prova migliore di Virzì, si sceglieva di accompagnare il protagonista dalla nascita all'ingresso nella vita lavorativa secondo lo stile dei Bildungsromans ottocenteschi e in "My name is Tanino" è il viaggio all'estero a segnare l'iniziazione del protagonista, qui si accompagna la tredicenne Caterina per tutto un anno scolastico quello che porterà la ragazzina al superamento dell'esame di licenza media e quindi alla prima scelta importante della sua vita.
Interessante lo sguardo sul mondo decadente della scuola (già analizzato anche in "Ovosodo").
La scena iniziale si apre infatti con Castellito professore annoiato in una scuola di provincia che sfoga il suo malanimo davanti ad una platea di studenti del tutto apatici interessati solo a fuggire allo squillo della campanella liberatrice.
Castellitto interpreta un ruolo che potrebbe anche ricordare alla lontana tante interpretazioni di Sordi: il piccolo arrampicatore che cerca di occupare nella società un posto che non gli spetta per casta e che non esitaper questo a rendersi ridicolo e a perdere la dignità. Memorabili le discussioni affrontate nella classe frequentata da Caterina e la spiegazione qualunquista su persone di destra e di sinistra data da un suo compagno di classe.
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