Recensione l'amore tradotto
Recensione a cura di peucezia
Un po' fuorviante nel cotitolo italiano anche se non del tutto fuori luogo, (Amore tradotto come traslato di condotto, in quanto i due protagonisti si innamorano o sono sul punto di farlo perché indotti o condotti dallasituazione in atto) il film minimalista al punto giusto narra della affinità elettive di dueanime perse nella solitudine della fredda Tokyo.
All'inizio il film assume le vesti di un documentario su usi e costumi della capitale nipponica, abbondano infatti le inquadrature sui giovani in trance davanti ai videogiochi ipertecnologici nonché i soliti stereotipisui tipici convenevoli in uso tra i giapponesi e ci sono lunghe scene silenziose con i protagonisti alla scoperta di questa città moderna e antica nello stesso tempo.
Murray non brilla certo per espressività ma forse è proprio la sua fissità a rendere meglio il suo stato d'animo di uomo stranito ed estraneo, deluso da tutto e apatico ad ogni possibile modifica della sua vita.
La regista cade nello stereotipo anche quando fa tradurre "Guardi verso la telecamera" una frase lunghissima pronunciata dal regista dello spot pubblicitario, sicuramente una trovata che potrà soddisfare i palati facili ma che comunque vuole ingenuamente rendere il titolo originario e cioè la difficoltà oggettiva di capire il prossimo se ci si deve affidare a una traduzione. La satira contro la televisione giapponese prosegue quando il protagonista accetta di intervenire come ospite in un popolare quiz. L'espressione del malcapitato e l'atteggiamento di chi lo circonda contribuisce a rendere il disagio di Murray e anche il disappunto per ilgrado di insipienza dei programmisti nipponici (da quale pulpito poi?).
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