venerdì 6 maggio 2005

Recensione IO LA CONOSCEVO BENE

Recensione io la conoscevo bene




Regia di Antonio Pietrangeli con Enrico Maria Salerno, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi, Stefania Sandrelli

Recensione a cura di kowalsky

Gli anni del boom sono quasi un ricordo ma l'Italia vampirizzata esiste già: specchio di un futuro ahimè sempre più diffuso nei decenni successivi, squallidi personaggi si muovono e agiscono con l'aria di chi paventa già la prossima, definitiva, riabilitazione, o peggio la conseguente credibilità. E' strano che nello stesso periodo del film di Pietrangeli, che racconta l'"odissea" (fuga dai sogni di provincia) di una ragazza di campagna alle (ine)sperienze della città un film altrettanto "corale" e di costume, altrettanto pungente e satirico, fosse "Signore & Signori" di Germi, il contraltare antiborghese sui vizi deformi del popolo veneto. L'immagine è quella, moderna e antica insieme, della Mitologia del successo, quando oggi una ragazza come Adriana, vinte le illusioni di un'universo tanto stereotipato quanto falso (ma chi ci bada più ormai?) potrebbe realmente farsi strada. Non è tutta questione di apparenza, nè di perseguire degli obiettivi Adriana non è certo una creazione da laboratorio ma una ragazza che mantiene - con la sua apparente superficialità (che paradossalmente è voglia di vivere) tutta la dignità di tante imbarazzanti e traumatiche rinunce. Si "affida" agli altri soltanto per trovare la via di fuga impossibile da un mondo che ha già l'imperdonabile colpa di aver ucciso i desideri e le ambizioni di ciascuno. Per questo Adriana non è la Valentina che in un recente film di Muccino svuota tutti i meccanismi del business a suo favore.

Gioca, in tutto cio' la reticenza del mondo contadino, incapace a cogliere le inquietudini giovanili e il desiderio di librarsi in volo da una gabbia già incontestabilmente demodè ma fiera. Gioca a suo (s)favore il moralismo provinciale della famiglia, davanti a cui lei non si presenta come "star" ma specificatamente come "sgualdrina" (equazione che somma star-system e abbienza nella stessa terminologia secondo certi criteri). Un frutto puro, che non sta in un letto (come suggerito da un crudele spot di repertorio che storpia alacremente la sua immagine) "per lavorare". Bambola smarrita nel cuore della Capitale, pero' si butta da un'uomo all'altro, esalando promesse non mantenute e cercando disperatamente di trovare un'amore vero, una dimensione il più possibile vitale dall'illusione amara di dover crescere troppo in fretta, e incautamente. Sfilano, nel film, oltre a un'inconsueta galleria di personaggi spregevoli, vittime della stessa "tratta", segno irrequivocabile delle mutazioni temporali e di costume: come Baggini, ex guitto da avanspettacolo ridotto a patetica maschera di se stesso, interpretato da un superbo Ugo Tognazzi ("Nastro d'argento" come miglior attore non protagonista del Sindacato Giornalisti Cinematografici). Esemplare, in questo senso, è la festa organizzata dal press-agent Morganelli: i Vitellismi cedono il posto a una classe abbiente, disinvolta e meschina, con cui Franco Fabrizi conferma la capacità di rendere con insolente efficacia personaggi sgradevoli e negativi; il beffardo sarcasmo di Enrico Maria Salerno nei panni di un'attore ("quello lì l'ho lanciato io" suggerisce Tognazzi-Baggini prima della vorticosa, umiliante mise in scene del treno), il pubblicitario imbroglione Cianfanna di Manfredi.

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