Recensione old boy
Recensione a cura di maremare
Un buon uomo dal nome rappresentativo, Dae-su Oh (letteralmente 'colui che è paziente e sereno con gli uomini') si ritrova, per cause misteriose, imprigionato in un loculo per quindici anni, con una vecchia televisione come unica compagna. Imbarbarito dalla inspiegabile reclusione, oltre che dai nefandi programmi televisivi trasmessi dall'osceno aggeggio, dopo quindici anni viene, altrettanto inspiegabilmente, liberato. Scopre con amarezza che la propria famiglia è stata sterminata e lui è ricercato dalla polizia, poiché considerato l'assassino. Si accorge di essere stato preso di mira da una mente diabolica: un simpatico, bello e ricco nullafacente. La cosa lo imbestialisce e armatosi di martello incomincia a randellare in giro.
Detta così sembrerebbe la classica trama del film seriale holliwoodiano sullo psicopatico di turno che perseguita il bravo e onesto cittadino.
In realtà le ambizioni di Park sono ben altre e, delineati i personaggi, ci cala in uno scenario da tragedia greca, dove nulla è quello che sembra e verità oscene si nascondono dietro l'angolo.
Tutto giocato sul registro del simbolico il film possiede molteplici chiavi di lettura (ad un 'voyeur' quale peggiore punizione del costringerlo a guardare immondizia televisiva per quindici anni?) e appare riuscito, in particolare, nelle sequenze più oniriche (meraviglioso lo svelamento del 'trauma' ispirato, visivamente, alle composizioni di Escher) e nei momenti chiave (basti pensare al pacco che Woo-jin Lee fa aprire a Dae-su Oh, così simile a quello che viene fatto trovare dallo psicopatico Spacey al poliziotto Pitt in 'Seven' e il cui contenuto, seppur differisca alquanto nella forma, non lo è affatto nella tragicità della sostanza).
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