venerdì 30 marzo 2007

Recensione LA BAMBOLONA

Recensione la bambolona


Regia di Franco Giraldi con Ugo Tognazzi, Lilla Brignone, Isabella Rei, Filippo Scelzo, Ignazio Leone, Giorgio Arlorio, Susy Andersen, Marisa Bartoli, Margherita Guzzinati, Bruna Beani, Brizio Montinaro

Recensione a cura di Matteo Sonego

Giulio Broggini (Ugo Tognazzi), avvocato romano appartenete all'alta borghesia, si invaghisce morbosamente della diciassettenne Ivana (Isabella Rei).Giulio, abituato ad avere sempre tutto e subito, si accorge però che conquistare la ragazza non è poi così semplice...

Tratto dall'omonimo romanzo di Alba De Céspedes del 1967, "La bambolona" è la prima commedia girata da Franco Giraldi. Per la sceneggiatura, il regista triestino si avvale dell'aiuto dell'amico Ruggero Maccari, mentre per le musiche sceglie Luis Bacalov, il quale aveva già collaborato con lui in "Sugar Colt", e con il quale collaborerà ancora in quasi tutti i film successivi. Il ruolo di protagonista, che inizialmente spettava a Marcello Mastroianni, viene assegnato poi ad un altro grande interprete della commedia all'italiana, Ugo Tognazzi. Isabella Rei, la protagonista femminile, è invece all'esordio assoluto nel cinema.

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Recensione 300

Recensione 300




Regia di Zack Snyder con Gerard Butler, Lena Headey, David Wenham, Dominic West, Vincent Regan, Michael Fassbender, Tom Wisdom, Andrew Pleavin, Andrew Tiernan, Rodrigo Santoro

Recensione a cura di Jellybelly (voto: 7,0)

Frank Miller è un autore piuttosto eterogeneo.
Affermatosi presso il grande pubblico firmando un intenso ciclo di episodi della serie "Daredevil" della Marvel, ha poi ideato e pubblicato alcune tra le più importanti graphic novel d'oltreoceano, quali "Sin city" e "300". Beneficiando del rinato interesse dell'industria cinematografica per il mondo dei fumetti inteso in senso lato, molti dei lavori di Miller si sono affacciati al cinema sotto forma di produzioni tanto imponenti quanto inadeguate, quali gli adattamenti di "Daredevil", "Elektra" o"Sin city".

Nell'approcciarsi a "300, Zack Snyder sceglie però una direzione completamente diversa dalla spocchia che già aveva caratterizzato il progetto "Sin city", dando vita ad un film assolutamente privo di qualsivoglia velleità, salvo quella di divertire il pubblico pagante.

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mercoledì 28 marzo 2007

Recensione DIVORZIO ALL'ITALIANA

Recensione divorzio all'italiana




Regia di Pietro Germi con Marcello Mastroianni, Stefania Sandrelli, Daniela Rocca, Leopoldo Trieste

Recensione a cura di Marlon Brando (voto: 10,0)

La trama: il barone Ferdinando Cefalù, detto Fefè, si innamora della cugina diciottenne Angela. La ragazza, spigliata e moderna, ricambia l'amore del barone ed è pronta a sposarlo. Purtroppo Fefè è già sposato con Rosalia, donna brutta e gelosissima che non lascia mai un attimo il marito e lo sfinisce con le sue apprensioni. Ai due amanti viene in aiuto l'arrivo inaspettato di Carmelo Patanè, un pittore di poche speranze di cui Rosalia era stata profondamente innamorata in passato. Nonostante Rosalia sia una moglie fedele e integerrima Fefè tenta di riavvicinarla con diversi stratagemmi. Alla fine la macchinazione riesce e Ferdinando, colta in flagrante adulterio Rosalia con Carmelo, la uccide. Appoggiato dall'articolo 587 del codice penale che allora giustificava il cosiddetto delitto d'onore, Ferdinando è accusato e condannato a una pena molto breve. Uscito dal carcere, nella generale approvazione dei concittadini che lo vedono come un esempio da seguire, Fefè può finalmente sposare Angela. Peccato che di lì a poco la giovane e bella cugina inizi a essergli infedele.

La prima commedia di Pietro Germi doveva essere una storia drammatica, ispirata ad alcune vicende italiane di cronaca nera che raccontavano di delitti d'onore compiuti da mariti traditi e da donne disonorate.
"Stavo pensando da tempo a un film sul matrimonio in Italia", ricorderà il regista. "I soggetti non mancavano di certo, se ne trovavano a decine sui giornali ogni mattina, fatti di cronaca, qualche volta pittoreschi ma per lo più tragici. In Italia i matrimoni male assortiti vanno a finire spesso in tragedia, con maggior frequenza che in altre nazioni proprio perché qua da noi vigono ancora dei costumi medievali che sono troppo in contrasto con la realtà che stiamo vivendo. Pare che certi uomini non si rendano conto che il tempo passa e si illudano con quattro rivoltellate di poter inchiodare le sfere dell'orologio. Può esserci una cosa più assurda del delitto d'onore?"

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martedì 27 marzo 2007

Recensione I CAVALIERI DEL NORD OVEST

Recensione i cavalieri del nord ovest




Regia di John Ford con John Wayne, Joanne Dru, Ben Johnson, John Agar, Harry Carey jr.

Recensione a cura di Giordano Biagio (voto: 9,0)

Secondo film della trilogia militare di Ford (Fort Apache nel 1948, I cavalieri del Nord Ovest nel 1949, e Rio Bravo nel 1950).
Film pacifista, ricco di atmosfere epiche, con una fotografia dai colori indimenticabili, paesaggi western straordinari per bellezza e carica poetica. I cieli variopinti, insuperabili per luminosità e contrasti occupano sovente buona parte dello schermo e in ciascuna scena svelano particolari diversi legati allo scorrere delle ore delle giornate. Cieli che si presentano come cupole irregolari evocanti un culto di adorazione, fulgenti di rosso all'alba e carichi di suggestione violacea al tramonto.

Fortissime le emozioni suscitate dalla coreografia naturale del territorio, teatro degli episodi: piane rosse e dorate perdute in meravigliosi e immensi spazi richiamano arcani e smarriti desideri sensibili al selvaggio.
Ford ci immette gioiosamente in un spettacolare e invitante infinito spaziale. Si entra all'improvviso e increduli nel noto e favoloso scenario della Monument Valley che tanto ci ha fatto sognare da ragazzi. Territorio magico che si trova oggi al confine tra L'Utah e l'Arizona. Una zona del west suggestiva, punteggiata qua e là da gigantesche guglie solitarie (mesas), protese superbe verso il cielo. Cime di roccia da favole fantascientifiche. Ricche sorprendentemente di ossido di ferro (ciò spiega forse il colore rossastro dei monti).

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Recensione SAW 3

Recensione saw 3




Regia di Darren Lynn Bousman con Tobin Bell, J. LaRose, Angus Macfadyen, Debra McCabe, Dina Meyer

Recensione a cura di cash

E infine venne il terzo. Gigsaw è, com'è noto, un distinto malato terminale che per coerenza avrebbe dovuto passare a miglior vita nei pressi del primo episodio.
Ma visto l'inaspettato successo del primo Saw, i produttori gli hanno dato altri 2 film di vita.
Ecco, in questo piccolo serial killer con metodo Di Bella incorporato c'è tutta la pochezza della saga di Saw, una serie di film "vorrei ma non posso", che si autoalimenta non solo con la presunzione della trama da osteria numero 5, ma anche con l'assurda pretesa di fungere da cubo di Rubik, come degli schematici rompicapi la cui soluzione sia fonte di soddisfazione per lo spettatore che ipotizza i vari sviluppi.

Prima di avventurarci nella complessa e fitta trama, una notizia buona e una cattiva: la cattiva è che nemmeno era uscito il terzo capitolo che già si annunciava il quarto. La buona è che il livello di emoglobina raggiunge finalmente il livello di decenza, pur senza toccare i masterpiece del genere.
E finalmente; ci sono voluti tre episodi per traghettarci nel magico mondo di ciò che si cela sotto la pelle umana, ragion per cui non è assurda l'ipotesi di coloro che ritengono che il sesto capitolo possa essere addirittura un bel film, uno di quelli che si ostenta con orgoglio nella propria videoteca.

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lunedì 26 marzo 2007

Recensione SUBCONSCIOUS CRUELTY

Recensione subconscious cruelty




Regia di Karim Hussain con Brea Asher, Ivaylo Founev, Eric Pettigrew, Christopher Piggins

Recensione a cura di Aenima (voto: 5,5)

Il cervello umano è diviso in due metà, unite al centro della cavità cerebrale da un tessuto (corpo calloso). Per curare certe anomalie,come l'epilessia, qualche volta le due metà del cervello venivano separate chirurgicamente. Dalle esperienze e dalle osservazioni fatte dalle persone che si sono sottoposte a questo tipo di intervento, si è scoperto un fatto notevole. Da un punto di vista generale, la metà sinistra del nostro cervello funziona in maniera diversa da quella destra. Ciascuna di esse vede il mondo in maniera differente.
La metà sinistra percepisce il mondo in maniera lineare [...].
L'emisfero destro, invece, percepisce schemi interi [...].
Per dare una definizione approssimativa si potrebbe dire che l'emisfero sinistro è quello RAZIONALE, mentre quello destro è IRRAZIONALE.
- Gary Zukav -

"Destroy the left brain. Destroy your lies." - Subconscious Cruelty -

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Recensione IN MEMORIA DI ME

Recensione in memoria di me




Regia di Saverio Costanzo con Christo Jivkov, André Hennicke, Marco Baliani, Fausto Russo Alesi, Filippo Timi, Stefano Antonucci, Rocco Andrea Barone

Recensione a cura di kowalsky (voto: 7,5)

Se per "noir" consideriamo qualcosa che travalica il confine di un genere letterario e cinematografico rappresenta prima di tutto uno stato d'animo, allora "In memoria di me", opera seconda di Saverio Costanzo, è indubbiamente un "noir". Sembra che l'autore voglia riflettere e al tempo stesso indagare nel significato recondito e universale delle cose, lasciando però che il mistero dell'esistenza e dello spirito diventino tangibili forme di interazione personale. Ogni spettatore, davanti a un film come questo, è libero di interrogarsi e di trarne le debite conseguenze. E' come un processo interiore che appartiene tanto alla scelta quanto al distacco formale, spesso superbo, sia del protagonista che dello stesso regista. "In memoria di me", pur ispirato a un romanzo autobiografico ("Il Gesuita perfetto" di Furio Monicelli) dà l'impressione di un'opera fortemente scevra da pregiudizi e retaggi anche letterari, indipendente e neutrale come certi film - inchiesta italiani degli anni Settanta ("Matti da legare" di Bellocchio sul tema della schizofrenia) e stranamente incoerente con la visione conservatrice della Chiesa di oggi, come se fosse ancora possibile (e plausibile) proporre un messaggio etico, religioso, scientifico, teologico sul tema della Fede. E non a caso il film sembra ribaltare lo schema laico del pretenzioso film di Bellocchio, "L'ora di religione", addottando la Ricerca dell'Uomo come formula equidistante e parallela all'ateismo e al "dogma" astratto della negazione dello spirito. Se "nessuno può conoscere il proprio peccato senza aver conosciuto Dio" è altrettanto semplice dedurre che nessuno può liberarsi dai dubbi impostando la propria "fede" attraverso l'etichetta di Credente (Devoto a Dio) o ateo (devoto all'Umanità?). Il film di Costanzo sembra collocarsi come viatico possibile tra l'abnegazione di Bellocchio (cfr. nel disconoscere la propria scelta, come i personaggi di Fausto o Zanna) e l'attrazione rigorosa e fideistica dell'inglese Joseph Losey.

"In memoria di me" è il ritratto di Andrea, giovane benestante e insoddisfatto delle sue conquiste terrene ("Per il mondo ero un vincente") che entra nella Confraternita dei Gesuiti nell'isola di San Giorgio a Venezia alla ricerca di una via di redenzione (o di fuga?) spirituale da una vita che non riconosce più come sua. Ma col trascorrere dei giorni, Andrea non sembra (pre)occuparsi di se stesso e della sua Nuova Vita ma vivere in simbiosi delle sue reazioni in relazione con gli altri confratelli: egli giudica, osserva, spia, provando un distacco sempre più forte per un mondo che lo aliena ancora più di prima, e che non riesce a vivere individualmente.

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mercoledì 14 marzo 2007

Recensione DIARIO DI UNO SCANDALO

Recensione diario di uno scandalo




Regia di Richard Eyre con Cate Blanchett, Judi Dench, Bill Nighy, Andrew Simpson, Joanna Scanlan, Philip Scott

Recensione a cura di Gabriela

Uno dei film più controversi e audaci dell'anno è la produzione britannica Diario di uno scandalo, tratto dal romanzo What Was She Thinking: Notes on a Scandal, della scrittrice Zoe Heller, storia del complesso dramma di una professoressa che ha un legame con un suo allievo di 15 anni.

In modo maturo e solido, attraverso un disegno intelligente, il film racconta lo sviluppo non solo di questa relazione scandalosa, ma anche di altre che evidenziano le dimensioni della condizione umana, e lo fa con similitudini e senza eccessi grazie al talento del regista Richard Eyre. Come nel precedente Iris, i suoi personaggi sono esseri umani in carne ed ossa, con sentimenti, errori, debolezze, passioni e desideri, all'interno di una sceneggiatura vera ed effettiva che penetra nelle relazioni individuali senza convenzionalismi.

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Recensione PI GRECO - IL TEOREMA DEL DELIRIO

Recensione pi greco - il teorema del delirio




Regia di Darren Aronofsky con Sean Gullette, Mark Margolis, Ben Shenkman, Pamela Hart, Stephen Pearlman, Samia Shoaib, Ajay Naidu

Recensione a cura di ferro84 (voto: 8,5)

La cinematografia contemporanea è caratterizzata dalla presenza di nuove leve artistiche capaci spesso di non far rimpiangere i maestri del passato ma che nello stesso tempo, non riuscendo ad avere la necessaria visibilità, si ritagliano un piccolo ruolo nel cinema cosiddetto "cult": termine onnicomprensivo in cui rientrano registi da Tarantino a Deodato, da Christopher Nolan a Neri Parenti; insomma un termine abusato e spesso decisamente improponibile.
In questo genere possiamo catalogare Darren Aronofsky, regista americano che si è affermano nei circuiti cinematografici che un tempo si definivano "di mezzanotte", proponendo un cinema alternativo senza però rinunciare a creare opere che siano facilmente fruibili al grande pubblico.
Con "Pi greco - Il teorema del delirio" ci troviamo al cospetto di un film confezionato con pochi mezzi - appena 60.000 dollari - ma moltissime idee, a conferma, ove mai ce ne fosse bisogno, che con una sceneggiatura solida ed un talento visivo d'eccezione è possibile confezionare un'opera poco più che amatoriale che riassuma in sè le caratteristiche del grande cinema.Il film si apre con una breve panoramica su New York e la presentazione del protagonista, Max, un matematico alla ricerca di equazioni che riescano a spiegare e soprattutto prevedere i movimenti di borsa.
Il lavoro sarà snervante ma andrà oltre l'intento del matematico, portandolo a scoprire le regole matematiche che disciplinano la vita sulla terra, in una ricerca di un'equazione universale che lo porterà al contatto con il Divino, fino ad un delirio di onnipotenza.

Gli elementi caratterizzanti di questo film, oltre ad una prevedibile follia del personaggio, risiedono in una rappresentazione della realtà odierna angosciante. Le limitate ambientazioni, che per esigenze di budget non potevano essere altrimenti, vengono integrate perfettamente nella storia in modo da comunicare allo spettatore un senso claustrofobico che lo pervade sin dalla prima scena. Si evince la furbizia dei realizzatori che hanno trasformato un difetto o comunque un'inevitabile limitazione alla libertà creativa in un pregio, girando la maggior parte delle scene in un angusto appartamentino.
Lo stile di regia delinea quelli che poi saranno i segni distintivi del cinema di Aronofsky, con uso di immagini in movimento e tecnica da videoclip; tecnica questa spesso bistrattata, ma che in questo caso presenta una propria dignità.
L'uso del bianco e nero inoltre è perfettamente funzionale alla storia: probabilmente giustificato da motivazioni produttive, diventa però anch'esso un limite trasformato in una risorsa per l'economia del film.

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martedì 13 marzo 2007

Recensione BORAT - STUDIO CULTURALE SULL'AMERICA A BENEFICIO DELLA GLORIOSA NAZIONE DEL KAZAKISTAN

Recensione borat - studio culturale sull'america a beneficio della gloriosa nazione del kazakistan




Regia di Larry Charles con Sacha Baron Cohen, Pamela Anderson, Ken Davitian

Recensione a cura di Jellybelly (voto: 7,0)

Britannico di origini ebraiche, laureato in Storia col massimo dei voti, Sacha Baron Cohen è in realtà quanto di più lontano si possa immaginare rispetto ad un ingrigito accademico al servizio di Sua Maestà; il suo programma "Da Ali G Show" miete da anni consensi ed apprezzamenti a tutto tondo, grazie all'irriverente e dissacrante vis comica del suo estroso ideatore e dei suoi personaggi caricaturali: il rapper Ali G, il modello tedesco Bruno e l'inviato del Kazakistan Borat.

Forte del successo ottenuto sul piccolo schermo e consacrato dalla partecipazione nelle vesti di Ali G nel video di Madonna "Music", Sacha Baron Cohen decide di far sbarcare al cinema il suo personaggio più famoso nel film "Ali G", con risultati quanto meno mediocri. L'insuccesso non scoraggia il tenace Cohen, il quale ritenta la strada del grande schermo con "Borat", storia di un giornalista della "gloriosa nazione del Kazakistan" inviato nei più ridenti e floridi Stati Uniti d'America per carpirne segreti, abitudini e costumi da importare nella madrepatria kazaka a beneficio della crescita culturale ed economica del Paese. Inizia così uno sgangherato viaggio oltreoceano al fianco del fedele compare Azamat, ma l'incontro tra la civiltà kazaka e la più progredita cultura statunitense verrà osteggiato da diversi personaggi, non ultima l'icona californiana Pamela Anderson, che si rifiuterà di convolare a giuste nozze con Borat secondo il rito kazako.

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lunedì 5 marzo 2007

Recensione NOTTE PRIMA DEGLI ESAMI - OGGI

Recensione notte prima degli esami - oggi




Regia di Fausto Brizzi con Nicolas Vaporidis, Franco Interlenghi, Paola Onofri, Giorgio Panariello, Serena Autieri, Carolina Crescentini, Chiara Mastalli, Sarah Maestri

Recensione a cura di peucezia

Il 2007 passerà alla storia della cinematografia italiana come l'anno dei sequel "furbi". Dopo il successo commerciale di pellicole "carine" come "Manuale d'amore" e "Notte prima degli esami", registi e produttori si sono affrettati a realizzare una seconda parte per sfruttare l'onda precedente ma, come insegna l'esperienza spesso e troppo volentieri il seguito delude le aspettative, fallisce, allontana.

Il caso della nuova pellicola firmata da Fausto Brizzi è evidente. L'anno scorso il Nostro aveva realizzato un caso cinematografico interessante affrontando un periodo non tanto distante dall'epoca attuale, infarcendolo di motivetti orecchiabili e ancora fischiettati ed ascoltati e conquistando tutti i post-trentenni presi da un'irrefrenabile ondata di nostalgia.
Quest'anno si è basato molto sui giovani attori dell'altro film cambiando però la protagonista femminile, ma lo spirito della storia del 2006 è ahimè svanito.
Il cameratismo, l'amicizia, la paura per gli esami qui sono venuti quasi completamente meno ,con questa scelta forse Brizzi vuole metterci un pizzico di venatura polemica verso la riforma Moratti che ha svuotato completamente di qualsiasi pathos gli esami di stato, quindi vediamo i giovani protagonisti alle prese con mare e amorazzi piuttosto che con i libri.

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Recensione COMIZI D'AMORE

Recensione comizi d'amore




Regia di Pier Paolo Pasolini con Cesare Musatti, Alberto Moravia

Recensione a cura di foxycleo (voto: 8,0)

Il film-inchiesta di Pierpaolo Pasolini, girato tra marzo e novembre 1963, venne presentato al festival di Locarno e all'epoca vietato ai minori di 18 anni.
Questo progetto avrebbe dovuto inizialmente intitolarsi "Cento paia di buoi", poi "Don Giovanni" infine come titolo si scelse "Comizi d'amore". Le sezioni che si succedono nel film sono quattro, ognuna dal titolo sicuramente originale ed efficace:
1 -"Fritto misto all'italiana": dove si tratta dell'educazione dei figli, del sesso, dei sentimenti e in cui si impone un contrasto forte tra il Nord industrializzato ed un Sud intatto nei suoi arcaici pregiudizi.
2-"Schifo o pietà": la cui questione principale è "l'anormalità sessuale".
3-"La vera Italia?": in cui pongono questioni riguardanti il divorzio e la libertà giudicata uguale o diversa per uomini e donne.
4-"Dal basso e dal profondo": ultima parte dell'inchiesta che riguarda lo scottante tema della prostituzione.

Durante il suo viaggio lungo l'Italia Pierpaolo Pasolini si sofferma a commentare le interviste da lui registrate con due noti intellettuali quali Alberto Moravia ed il fondatore della psicoanalisi italiana Cesare Musatti. Moravia si dimostra convinto dell'utilità di una tale inchiesta, in quanto in Italia sarebbe uno dei primi esempi di cinema-verità. Musatti, di contro, appare scettico poiché timoroso delle menzogne che gli intervistati avrebbero potuto sostenere.
Inoltre nel corso sue peregrinazioni Pasolini avrà l'occasione di scambi di opinioni con un poeta del calibro di Giuseppe Ungaretti; ancora con Oriana Fallaci, Adele Cambria, Camilla Cederna. Ed un imbarazzato Peppino di Capri.

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venerdì 2 marzo 2007

Recensione ANTONIO GUERRIERO DI DIO

Recensione antonio guerriero di dio




Regia di Antonello Belluco, Sandro Cecca con Andrea Ascolese, Eleonora Daniele, Paolo De Vita, Franco di Francescantonio, Arnoldo Foà, Marta Jacopini, Michele Melega

Recensione a cura di peucezia

Parafrasando un film poco noto di Rossellini, "Francesco giullare di Dio", dedicato ai fioretti di san Francesco, nella sua opera prima il regista padovano Antonello Belluco cerca di porre fine ad una grave mancanza della cinematografia: il grande schermo aveva difatti dedicato diversi film al poverello di Assisi - da una produzione hollywoodiana diretta da Micheal Curtiz fino all'ultima pellicola con la regia della Cavani e un insolito Mickey Rourke come protagonista - ma mai si era scomodato per il santo portoghese, che invece risulta essere la figura più popolare tra i santi dell'intero martirologio cristiano.

Qualche anno fa, complice l'inatteso interesse da parte delle emittenti nazionali pubbliche e private verso le figure mistiche, Canale 5 aveva dedicato una fiction al santo facendolo interpretare al bel Daniele Liotta, ma l'operazione non aveva ottenuto grande eco. Belluco prova invece ad occuparsi dell'ultima parte della vita del santo, quella che lo porta appunto in Italia e unisce come è d'uopo elementi reali a episodi totalmente di fantasia, che pure servono a rendere bene la relazione tra Antonio e il suo prossimo.
Il santo rivive grazie all'attore catalano Jordi Mollà, interprete internazionale che recita, senza doppiaggio, in un italiano con forte accento portoghese studiato con attenzione. Al suo fianco, degli attori italiani noti e poco noti di scuola solida e teatrale: da Arnoldo Foà, che si regala il ruolo del papa dell'epoca ma che appare forse un po' sbiadito anche a causa dell'età avanzata (più di novanta anni, al momento in cui si scrive) a Paolo De Vita, interprete di un personaggio di fantasia - un ex ladro divenuto seguace di Antonio e poi frate, a cui regala umanità e sincera ricerca di fede.

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