mercoledì 14 marzo 2007

Recensione PI GRECO - IL TEOREMA DEL DELIRIO

Recensione pi greco - il teorema del delirio




Regia di Darren Aronofsky con Sean Gullette, Mark Margolis, Ben Shenkman, Pamela Hart, Stephen Pearlman, Samia Shoaib, Ajay Naidu

Recensione a cura di ferro84 (voto: 8,5)

La cinematografia contemporanea è caratterizzata dalla presenza di nuove leve artistiche capaci spesso di non far rimpiangere i maestri del passato ma che nello stesso tempo, non riuscendo ad avere la necessaria visibilità, si ritagliano un piccolo ruolo nel cinema cosiddetto "cult": termine onnicomprensivo in cui rientrano registi da Tarantino a Deodato, da Christopher Nolan a Neri Parenti; insomma un termine abusato e spesso decisamente improponibile.
In questo genere possiamo catalogare Darren Aronofsky, regista americano che si è affermano nei circuiti cinematografici che un tempo si definivano "di mezzanotte", proponendo un cinema alternativo senza però rinunciare a creare opere che siano facilmente fruibili al grande pubblico.
Con "Pi greco - Il teorema del delirio" ci troviamo al cospetto di un film confezionato con pochi mezzi - appena 60.000 dollari - ma moltissime idee, a conferma, ove mai ce ne fosse bisogno, che con una sceneggiatura solida ed un talento visivo d'eccezione è possibile confezionare un'opera poco più che amatoriale che riassuma in sè le caratteristiche del grande cinema.Il film si apre con una breve panoramica su New York e la presentazione del protagonista, Max, un matematico alla ricerca di equazioni che riescano a spiegare e soprattutto prevedere i movimenti di borsa.
Il lavoro sarà snervante ma andrà oltre l'intento del matematico, portandolo a scoprire le regole matematiche che disciplinano la vita sulla terra, in una ricerca di un'equazione universale che lo porterà al contatto con il Divino, fino ad un delirio di onnipotenza.

Gli elementi caratterizzanti di questo film, oltre ad una prevedibile follia del personaggio, risiedono in una rappresentazione della realtà odierna angosciante. Le limitate ambientazioni, che per esigenze di budget non potevano essere altrimenti, vengono integrate perfettamente nella storia in modo da comunicare allo spettatore un senso claustrofobico che lo pervade sin dalla prima scena. Si evince la furbizia dei realizzatori che hanno trasformato un difetto o comunque un'inevitabile limitazione alla libertà creativa in un pregio, girando la maggior parte delle scene in un angusto appartamentino.
Lo stile di regia delinea quelli che poi saranno i segni distintivi del cinema di Aronofsky, con uso di immagini in movimento e tecnica da videoclip; tecnica questa spesso bistrattata, ma che in questo caso presenta una propria dignità.
L'uso del bianco e nero inoltre è perfettamente funzionale alla storia: probabilmente giustificato da motivazioni produttive, diventa però anch'esso un limite trasformato in una risorsa per l'economia del film.

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