giovedì 30 dicembre 2004

Recensione PER UN PUGNO DI DOLLARI

Recensione per un pugno di dollari




Regia di Sergio Leone con Clint Eastwood, Gian Maria Volontè, Marianne Koch, Bruno Carotenuto

Recensione a cura di paul (voto: 9,5)

Il primo western di Sergio Leone, regista che se non per tutti ha rivoluzionato il western, ha sicuramente rivoluzionato il cinema. Dopo questo film il modo di girare e di concepire la violenza sul grande schermo cambierà completamente. Già dalla sigla (che verrà poi ampiamente "completata" ne "Il Buono, Il Brutto e il Cattivo") si capisce che ci troviamo di fronte a qualcosa di mai visto prima e le inquadrature iniziali lo dimostrano.La fotografia originalissima è di Massimo Dallamano ma Leone ci mette del suo.
Gira in Andalusia con due lire (120 milioni) e incassa uno sproposito in tutto il mondo (oltre 20 miliardi di allora). Tra l'altro a tutt'oggi Leone è l'unico regista non anglofono ad essere penetrato nel mercato americano direttamente dalla porta principale.
Mi spiego meglio: quando esce o usciva un film europeo, questo veniva sempre distribuito su una sorta di mercato parallelo. Vale a dire che, per fare un esempio, se un abitante di New York avesse voluto vedersi un film di Bunuel o Kurosawa allora, come un film di Roberto Benigni o Kusturica oggi, questi film venivano proiettati in cinema diversi da quelli dove venivano proiettati i film statunitensi o britannici.
Da qui il perchè film di grande successo come "La dolce vita" ad esempio, hanno in realtà incassato in America più sulla carta che nei dati di fatto. "L'ultimo imperatore" di Bertolucci, il più grande successo europeo negli States prima de "la vita è bella", non arrivò ai 20milioni di dollari di incasso. La vita è bella ne ha incassati 70, ma fa eccezione.
Leone invece è sempre riuscito a farsi distribuire sul normale circuito, in pratica i suoi film erano normali film americani che uscivano nelle sale in cui poteva a fianco venire proiettato un blockbuster del momento.
Per la verità fino al 1966 (l'anno de "Il Buono, Il Brutto e il Cattivo") i film di Leone non erano ancora stati distribuiti: lo saranno appunto nel '66, quando verrà lanciata sul mercato americano, a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, l'intera trilogia del dollaro, ottenendo il successo di pubblico che tutti sanno.

Incredibile e indovinatissima la scelta di Clint Eastwood come protagonista, il quale tutt'oggi deve tutto al regista italiano (anche se ci volle molto a convincere Leone sul ruolo dell'uomo senza nome assegnato all'allora sconosciuto Clint. Leone infatti avrebbe preferito Charles Bronson, ma questi rifiutò, mentre la successiva scelta cadde su James Coburn, ma il cachet richiesto dal suo agente era troppo oneroso). Eastwood rappresenta l'eroe cinico, che bada più al proprio tornaconto che al bene dell'umanità.
L'attore, monoespressivo, ha trovato in ogni caso in quella sua imperturbabilità del viso,una sorta di nuova concezione dell'eroe. Scorsese disse di essersi ispirato ad Eastwood per disegnare il suo taxista del celeberrimo film interpretato da De Niro. Con questo film Leone entra nel mito e disegna il mito (sono certi i riferimenti a Shakespeare, oltre che all'"Arlecchino servo di due padroni" di Goldoni).

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mercoledì 15 dicembre 2004

Recensione UNA STORIA VERA

Recensione una storia vera




Regia di David Lynch con Richard Farnsworth, Sissy Spacek, Harry Dean Stanton, Everett McGill

Recensione a cura di Blutarski

"La cosa peggiore della vecchiaia è il ricordo di quand'eri giovane". David Lynch racconta, commuove e torna a far riflettere sui temi importanti della vita, in modo dolce e poetico come solo un genio dietro la macchina da presa sa affrontare. La vecchiaia, l'importanza della famiglia, i ricordi e la saggezza, la vita e la morte, il regista abbandona momentaneamente gli incubi, le sue ossessioni e lo studio dei sogni per affrontare temi più forti e allo stesso tempo delicati con una storia incredibilmente straordinaria, basata su un fatto realmente accaduto.

Alvin Straight (Richard Farnsworth) ha settantatré anni, vive a Laurens nell'Iowa con la figlia Rose (Sissy Spacek), una madre ritardata alla quale hanno portato via i figli. Le sue condizioni di salute sono pessime: oltre a non vedere bene - che non gli consente di avere la patente -, convive, infatti, con un principio di enfisema polmonare e un'artrite che lo costringe ad usare ben due bastoni. Presto viene a sapere che il fratello Lyle del Wisconsin è molto malato e si avvicina alla morte. Malgrado non si parlino da tanto tempo a causa di un banale litigio e le proibitive condizioni fisiche non glielo permettano, Alvin decide di mettere da parte l'orgoglio e di intraprendere un viaggio lungo più di 350 miglia attraverso gli stati dell'Iowa e del Wisconsin, con un vecchio tosaerba che traina un piccolo rimorchio - la sua "casa" durante il viaggio -. Tra lande sterminate e paesaggi mozzafiato nel cuore dell'America, ripresi da raffinate inquadrature panoramiche, Alvin trascorre quasi due mesi di viaggio e incontra tanta gente, dispensando autentica saggezza e suscitando infinita tenerezza. Un pellegrinaggio interiore dunque, che si sublima con il ricordo sbiadito e nostalgico di un cielo stellato. La pellicola è una grande metafora del tempo e della sua ineluttabilità sottolineata magistralmente dalle scelte registiche; geniale in tal senso introdurre il gruppo di giovani ciclisti che sfrecciano ad alta velocità accanto al vecchio Alvin, in contrasto con la sua ponderatezza e la sua flemma, resa perfettamente con movimenti dolci dell'inquadratura e dalla splendida interpretazione di Farnsworth. Sembra quasi che questo voglia sottolineare la fretta e la furia di arrivare tipica dei giovani d'oggi, che non si fermano mai, che hanno un'ansia instancabile di crescere, paragonata alla serenità e lentezza di chi conosce il valore del tempo. E il viaggio di Alvin, in una visione più generale, potrebbe essere comparato alla vita stessa, fatta d'incontri e di un gran numero d'esperienze, nella quale forse il punto d'arrivo non è importante quanto il percorso in sé: non conta dove riusciamo ad arrivare, ma il panorama che il viaggio ci riserva.

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venerdì 10 dicembre 2004

Recensione VOLEVO SOLO DORMIRLE ADDOSSO

Recensione volevo solo dormirle addosso




Regia di Eugenio Cappuccio con Giorgio Pasotti, Cristiana Capotondi, Eleonora Mazzoni, Carlo Freccero

Recensione a cura di peucezia

Secondo film di Eugenio Cappuccio e pellicola da protagonista assoluto dopo i successi cinematografici (Dopo mezzanotte) e televisivi (Distretto di polizia) per Giorgio Pasotti, il film porta lo spettatore nel cuore della Milano post da bere dei giorni nostri.
Il protagonista del film è Marco Pressi giovane formatore, benvoluto in azienda e di sicuro avvenire che un giorno riceve l'ingrato compito di licenziare i rami secchi.

Infarcito di gergo aziendale (disagio emotivo, ti stimo molto sono delle frasi molto presenti nel modo di esprimersi di Pressi) il film è forse uno dei primi in Italia accanto a Mi piace lavorare ad occuparsi dei problemi del lavoro anche se però con un ritmo da commedia sempre a metà strada tra il comico e il drammatico.
Comico sembra essere il buffo amico del protagonista che si dimette prima di venire a sapere di essere tra i licenziabili dell'azienda, comico è il collega Giorgio Bonghi (Massimo Mollea) meneghino fino al midollo con linguaggio e modi da paninaro in carriera (mi asciughi, è la sua frase standard), comico l'impiegato alle soglie della pensione che rifiuta di andar via prima del tempo. Patetica è l'impiegata condannata da un male incurabile che riceve la proposta di andar via "per dedicare più tempo a se stessa e alla famiglia" e patetico è lo stesso Pressi, giovane rampante che ha tempo solo per il lavoro, parla telefonicamente con la madre per pochi minuti e viene continuamente insultato dalla colf sudamericana per la scarsa cura verso la sua abitazione.
La protagonista femminile del film è la giovane Cristiana Capotondi che, dopo tanti ruoli secondari in fictions televisive e in film natalizi accanto a De Sica e Boldi in cui interpretava il ruolo della ragazzina romana un po' coatta, in questa pellicola sfodera un inaspettato e abbastanza perfetto accento meneghino.
La Capotondi è Laura, quasi fidanzata di Marco, ragazza vivace e un po' inconsistente che spinge Pressi a una vita notturna che lui detesta e che poi lo lascia delusa quando si accorge che lo scopo di lui era soltanto "dormirle addosso" come un bambino con il suo orsetto di pezza preferito.

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martedì 7 dicembre 2004

Recensione IL POSTO DELL'ANIMA

Recensione il posto dell'anima




Regia di Riccardo Milani con Silvio Orlando, Michele Placido, Claudio Santamaria, Paola Cortellesi

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 9,0)

Un film italiano, questo di Milani, uscito un po' in sordina, ma che avrebbe meritato maggiore pubblicità ed una distribuzione più congrua al reale valore dell'opera. "Il posto dell'anima" è un bel film, sostenuto da una solida sceneggiatura e dall'interpretazione magistrale dei tre bravi attori protagonisti: Silvio Orlando, Michele Placido, Claudio Santamaria.

I tre interpretano tre amici operai in una fabbrica di pneumatici della Carair, multinazionale americana. Insieme si oppongono al licenziamento di 500 operai coinvolti nella chiusura dello stabilimento.

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venerdì 3 dicembre 2004

Recensione THE MANCHURIAN CANDIDATE

Recensione the manchurian candidate




Regia di Jonathan Demme con Denzel Washington, Meryl Streep, Liev Schreiber, Jon Voight, Kimberly Elise, Jeffrey Wright, Ted Levine

Recensione a cura di Susanna!

Jonathan Demme torna al grande cinema con il remake dell'omonima pellicola di Frankenheimer del '62 (in Italia con il titolo di "Va' e uccidi") con Frank Sinatra come protagonista. Si tratta di un thriller di buona fattura, senza sbavature malgrado il temibile incontro fra elementi fantascientifici e la cruda realtà della narrazione di una campagna elettorale-tipo americana. La regia si sofferma appena sui ricordi che affiorano dagli incubi dei soldati, senza compiacimenti. Il racconto di quei terribili giorni emerge soprattutto dai volti scavati dei suoi protagonisti, dalle mani che tremano al ricordo, dal dolore e dallo smarrimento di non riuscire a capire cosa sia successo o cosa stia accadendo.

Denzel Washington, icona del cinema impegnato nero, interpreta bene il ruolo del soldato che cerca di capire la verità, salvo qualche piccola sbavatura, qualche smorfia e ammiccamento di troppo per un attore del suo calibro (un po' quello che fa sempre il nostro Stefano Accorsi, inchiodato nelle sue faccette fra il meravigliato e l'ebete).

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martedì 23 novembre 2004

Recensione IMMORTAL (AD VITAM)

Recensione immortal (ad vitam)




Regia di Enki Bilal con Linda Hardy, Thomas Kretschmann, Charlotte Rampling, Frédéric Pierrot, Thomas M. Pollard, Yann Collette, Derrick Brenner, Jean-Louis Trintignant

Recensione a cura di Pietro Salvatori

Se il fumetto alla francese incontra la computer grafica (succede un mezzo pasticcio)

Prendete un ambientazione alla Blade Runner, inserite in quel mondo luci, colori ed elementi di Stargate, immaginate personaggi alla Stalker e un'eroina alla Quinto Elemento, sognate una società controllata in modo poco chiaro dalla scienza medica come nell'universo di Gattaca e visualizzate tutto con una computer grafica alla Final Fantasy. Shakerate il tutto e avrete, grossomodo, Immortal (ad vitam), ultimo film dell'estroverso Enki Bilal.
Completamente ambientato nell'universo creato e disegnato nei fumetti dello stesso Bilal, Immortal è un'operazione stranissima, che coinvolge computer grafica, disegno animato, ma anche attori in carne ed ossa.

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venerdì 19 novembre 2004

Recensione SE MI LASCI TI CANCELLO

Recensione se mi lasci ti cancello




Regia di Michel Gondry con Jim Carrey, Kate Winslet, Kirsten Dunst, Tom Wilkinson, Elijah Wood, Mark Ruffalo, David Cross

Recensione a cura di Pietro Salvatori

Le sceneggiature di Charlie Kaufman destano sempre dibattito e interrogativi. La ricerca di artifici per perseguire una non linearità dello script sono una costante di quest'autore. Questa stessa dinamica autoriale è riscontrabile nel recente "Se mi lasci ti cancello", orripilante traduzione dell'americano "Eternal sunshine of the spotless mind". Ma, diciamocelo, non è la regia a non lasciar scivolare via il film come tanti altri dello stesso genere, ma, come già accennato, lo script. La storia in effetti è semplice, e non va oltre alla nascita, maturazione, e morte di un rapporto uomo-donna. Ma Kaufman si inserisce con divergenze "dal" e "nel" reale. L'elemento di discontinuità "dal" reale è la presenza di una società che opera una vera e propria cancellazione della memoria, alla quale prima si rivolge la lei della love story, una sorprendente Kate Winslet, quindi, per ripicca, il lui (Carrey). E qui s'inserisce con violenza la distorsione del reale, vero elemento portante e caratterizzante del plot. Il vero protagonista del film diventa la mente del protagonista, impegnata ad una lotta senza quartiere con gli "eraserhead" (il riferimento sarà voluto?), per salvare il ricordo della bella. Il piano di scena diventa quello di un immaginario personale in via di distruzione. Il che lascia molto spazio alla fantasia registica e all'istrionicità attoriale.

La ricerca dell'involuzione è abbastanza lucida e coerente, e la storia fila via liscia nonostante l'apparente criticità. Ma tutto sommato l'essere contorto è furbamente funzionale ad un opera che riscrive una commediola trasformandola allo stesso tempo in un potenziale campione d'incassi e in un film complesso-complicato, che riunisce il favore, abbastanza diffuso, della critica, e quello del pubblico. Se a tutto ciò aggiungete un finale non propriamente lieto come piace tanto a tutti (Durremat insegna), avrete un prodotto sicuramente fuori dalla norma, anche se non il capolavoro al quale tanti hanno gridato. Merito anche della prova attoriale di una sorprendente Winslet, che sicuramente sovrasta un Carrey un po' stereotipato e monocorde.

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mercoledì 17 novembre 2004

Recensione IL GRANDE LEBOWSKI

Recensione il grande lebowski



Regia di Joel Coen con Jeff Bridges, John Goodman, Julianne Moore, Steve Buscemi, David Huddleston, Philip Seymour Hoffman, Sam Elliott

Recensione a cura di Blutarski

Scritto e diretto da Joel ed Ethan Coen, autori di altri capolavori del calibro di "Fratello dove sei?" e del recente "Prima ti sposo, poi ti rovino", "Il Grande Lebowsky" è il prodotto di una comicità cinica e sagace, capace non solo di divertire ma anche di mettere seriamente in dubbio i più solidi principi della società americana, con una raffica di situazioni ridicole e battute pungenti che consacrano al mondo del cinema indipendente il lavoro di due menti davvero brillanti.

Ed in fondo per i fratelli Coen, il protagonista di questa commedia, "Drugo" (nell'originale "the Dude") o meglio Jeffrey Lebowsky, non è che una faccia della medaglia, quella che vede nel bowling la medicina per tutti i problemi e per le difficoltà della vita; egli è il simbolo di quegli americani che vivono ancora negli anni '60, che si rifiutano di crescere e soprattutto di farsi fagocitare e corrompere dai moralismi di una società fasulla e venale - quella degli anni '90 -. Drugo, Donny e Walter - gli amici del Bowling - sono i figli disgraziati del Vietnam, conseguenze scomode e indesiderate di una guerra che in realtà nei cuori dei reduci non è mai realmente finita. Se Drugo è una delle due facce della medaglia, il sig. Jeffrey "The Big" Lebowsky è sicuramente l'altra: ricco e scorbutico uomo d'affari costretto su una sedia a rotelle, anch'egli è una vittima di un conflitto, quello in Corea, che ha intrapreso una strada diversa da quella di Drugo. E l'omonimia su cui è incentrata questa storia "piena di input e di output" é voluta non a caso per sottolineare come i due personaggi siano simili nella loro diversità: sono entrambi ancora visibilmente segnati dalla guerra ma hanno reagito diversamente, quindi lo scontro tra i due è inevitabile; mentre Drugo ha preferito la via degli "sbandati" e combattuto la sua rivoluzione sociale, il sig. Lebowsky ha preferito scalare la società, convinto che questo avrebbe legittimato il suo sforzo impiegato durante la guerra. Ma andiamo con ordine...
A causa di questa famigerata omonimia, Drugo si ritrova il tappeto urinato dagli scagnozzi di un creditore, tale Jackie Treehorn produttore di lungometraggi porno "dalla trama alquanto scadente", venuti a riscuotere il denaro per conto del capo. Su consiglio/costrizione dell'agguerrito e bellicoso Walter, decide di recriminare la vicenda al vero sig. Lebowsky. Drugo vuole solo riavere indietro quel suo tappeto, non perché avesse un inestimabile valore, ma tanto perché "dava un tono all'ambiente" di casa. Ma la vita è come una lunga strada da percorrere e come in tutte le lunghe strade capita di prendere delle buche, così basta un niente, un "piccolo" imprevisto, che una giornata ti va storta e ti cambia tutto: la tranquilla esistenza di Drugo, fatta di irrinunciabili partite di Bowling con gli amici, flebo di Whithe Russian, spinelli e qualche trip di acidi occasionale, sarebbe stata di lì a poco stravolta, catapultandolo tra improbabili inseguimenti in macchina, falsi rapimenti, sparatorie con bande di criminali nichilisti senza scrupoli, intriganti incontri amorosi, ma anche spiacevoli perdite, tutto questo condito da originalissimi e colorati intermezzi onirici - per non dire trip mentali -, delle vere e proprie clip musicali che intonano straordinariamente con l'atmosfera del film.

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martedì 16 novembre 2004

Recensione L'AMORE RITROVATO

Recensione l'amore ritrovato




Regia di Carlo Mazzacurati con Maya Sansa, Stefano Accorsi, Marco Messeri, Luisanna Pandolfi

Recensione a cura di peucezia

Liberamente tratto da "Una relazione", scritto da Carlo Cassola nel 1969, il film è una storia di sesso e passione consumatasi nel periodo antecedente alla guerra d'Africa (1936).
Giovanni (Stefano Accorsi), bancario sposato e padre, rivede casualmente Maria (Maya Sansa) una sua ex fiamma dal passato alquanto vivace. Tra i due rinasce la passione, caratterizzata dall'incessante brama di possesso di lui. Ma la storia non può avere un seguito.
Questa la trama, degna di un mélo d'altri tempi, o peggio di una soap o telenovela tanto in voga ai nostri giorni.

Sicuramente sulla carta questa pellicola aveva molti elementi di interesse: la trasposizione di un lavoro di Cassola (il suo celebre "La ragazza di Bube", proposto per il grande schermo nel 1960, ha consacrato come interprete drammatica l'allora giovanissima Claudia Cardinale), la presenza di due tra i più promettenti giovani attori italiani, la regia di Carlo Mazzacurati (ricordiamo tra i suoi lungometraggi "Il toro", con Diego Abatantuono), ma purtroppo quanto promesso non è stato reso.
Il film è stentato, gli attori sembrano molto a disagio, Maya Sansa ci regala i suoi celebri sorrisi ma sembra non "sentire" il ruolo; quanto ad Accorsi non è il massimo in quanto a mimica facciale giacché la sua espressione non cambia mai a prescindere da quanto stia dicendo o da quale azione stia svolgendo.

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venerdì 12 novembre 2004

Recensione LE CHIAVI DI CASA

Recensione le chiavi di casa




Regia di Gianni Amelio con Kim Rossi Stuart, Charlotte Rampling, Andrea Rossi, Alla Faerovich, Pierfrancesco Favino

Recensione a cura di peucezia

Torna Gianni Amelio con un film duro e asciutto che trafigge come una lama affilata e affronta un tema delicato: l'handicap visto dalla parte dei genitori di figli disabili.
Un giovanissimo padre volutamente bello (Kim Rossi Stuart) dopo quattordici anni di rifiuto accompagna il figlio disabile Paolo (Andrea Rossi) in Germania per delle visite mediche.
Paolo si accompagna ad un bastone, ha un andatura incerta e grossi problemi, ma cerca di affrontare la vita con ingenuità ed entusiasmo e -a poco a poco- suo padre se ne sente preso.
Il bisogno di affetto e il desiderio di essere autonomo di Paolo (le chiavi di casa simboleggiano la avvenuta indipendenza dei figli quando hanno raggiunto le soglie dell'adolescenza) superano i limiti del suo handicap e lo rendono per un attimo un adolescente come tanti altri con le sue pulsioni e la sua voglia di scoprire il mondo.
La storia raccontata nel film è tutto sommato molto semplice ma è resa speciale dalla straordinaria bravura di Andrea Rossi e dall'interpretazione sofferta e malinconica di Charlotte Rampling nel ruolo della madre di una ragazza con un grave problema di disabilità, mentre invece Kim Rossi Stuart appare alle volte troppo rigido e distaccato.

Di pellicole sui disabili ultimamente ce ne sono state molte (basti pensare a "Il mio piede sinistro" con Daniel Day Lewis o a "Rain man" interpretato splendidamente da Dustin Hoffman) ma Amelio è andato oltre.
Non si è avuto paura di mostrare veri disabili anche nella loro nudità, ci si è affidati ad una sceneggiatura lineare con dialoghi spesso ridotti all'osso e a volte ripetitivi resi però efficaci soprattutto grazie allo spiccato e simpatico accento romanesco del giovane coprotagonista.
Intorno a Paolo e a suo padre, Berlino e il suo clima freddo e la Norvegia d'inverno a fare da sfondo alla riappropriazione della paternità da parte di Gianni (Rossi Stuart).
Per un genitore di un figlio disabile c'è molta fatica ("il lavoro sporco delle madri" nelle parole della Rampling), momenti di crisi ma anche tanta gioia davanti ai piccoli progressi dei propri figli.
Delicata la citazione del libro di Giuseppe Pontiggia "Nati due volte" a cui il film è ispirato, tanto lieve da non correre il pericolo di diventare una pubblicità e azzeccata la colonna sonora (la canzone di Vasco Rossi sparata a tutto volume per strada).

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martedì 9 novembre 2004

Recensione COLLATERAL

Recensione collateral




Regia di Michael Mann con Tom Cruise, Jamie Foxx, Jada Pinkett Smith, Mark Ruffalo, Peter Berg, Bruce McGill, Javier Bardem

Recensione a cura di Pietro Salvatori

"Hey Max. Un uomo sale sulla metropolitana, qui a Los Angeles, e muore. Pensi che qualcuno se ne accorgerà?"

Uno dei finali più intensi e toccanti degli ultimi tempi chiude un film che non mostra mai la corda.
Azzeccata la colonna sonora, azzeccato un digitale che esplora la notte losangelina più di quanto farebbe l'occhio umano, azzeccata la scelta degli attori.
Unica pecca, forse, la sceneggiatura, che alcune volte si scorda che, come dice qualcun'altro, "parlare non è l'unico modo di comunicare".
Ma a questo film, e a Mann, glielo si perdona facilmente.

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lunedì 8 novembre 2004

Recensione NEL MIO AMORE

Recensione nel mio amore




Regia di Susanna Tamaro con Licia Maglietta, Urbano Barberini, Vincent Riotta, Damiano Russo, Alessia Fugardi, Chiara Lucisano, Sara Franchetti

Recensione a cura di mavic

Per il debutto nella regia Susanna Tamaro gioca in casa e si affida al suo racconto "L'inferno non esiste", tratto dal libro Rispondimi. Il film e' un vero e proprio manifesto programmatico del pensiero della scrittrice, calibrato su tempi lenti e che lasciano affiorare la bellezza del creato come antidoto al dolore. La pellicola e' ambientata in Friuli, terra d'origine della Tamaro: Stella (Licia Maglietta) e' una donna che ancora giovane ha provato tutta la gamma della sofferenza umana, ad inizio film la sua famiglia e' distrutta, il figlio 15enne Michele morto, la figlia, con la quale il rapporto non e' mai stato sereno, partita per l'Inghilterra, il marito appena morto d'infarto. E' a questo punto della sua vita che Stella decide di ritornare nella casa avita dei genitori, cercando un lenimento al suo tormento di donna e alla sensazione di fallimento esistenziale. Il film ripercorre in flashback tutta la vicenda, e sappiamo così che l'inferno può esistere se in una famiglia non alligna l'amore e la comprensione; Stella e il marito Fausto (Urbano Barberini) non hanno saputo dall'inizio costruire l'amore, e il rapporto si deteriora quando Fausto non accetta il secondogenito, temendo di non esserne il padre. La tragedia e' dietro l'angolo, Michele muore in un incidente causato involontariamente dal padre, e l'inquadratura dall'alto della regista incornicia una scena da compianto sul Cristo morto, con la mater dolorosa che stringe al petto il figlio ormai esanime. Nel suo ritorno alla vita Stella sarà decisivamente aiutata da un amico di Michele alquanto misterioso, che solo nel finale svelerà la sua vera natura.

Tecnicamente molto curato, si avverte la continua ricerca della giusta composizione dell'immagine, il film presenta uno svolgimento a tesi, che inevitabilmente finirà per compiacere alcuni spettatori e scontentarne altri, procede per affermazioni apodittiche ("e' la bellezza che ci lega al mistero", "dovremmo cercare di essere il bene più che farlo") e si chiude, senza sorprese, con l'esaltazione dell'unica verità che ci rende liberi, la fede. Come al solito mirabile l'interpretazione della Maglietta, che regge da sola tutto il film con il volto segnato, mentre Urbano Barberini e' un po' sopra le righe nei suoi continui accessi d'ira che francamente paiono a volte artificiosamente eccessivi, vedi la tirata un po' spiccia su un Gesù privo di nerbo che non seppe evitare la Crocifissione.

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mercoledì 20 ottobre 2004

Recensione I CENTO PASSI

Recensione i cento passi




Regia di Marco Tullio Giordana con Luigi Lo Cascio, Paolo Briguglia, Lucia Sardo, Luigi Maria Burruano

Recensione a cura di Pasionaria (voto: 9,0)

Il film tratta la storia vera di Peppino Impastato, un ragazzo di Cinisi, vicino a Palermo, fatto saltare in aria dalla mafia il 9 maggio del 1978, il medesimo giorno in cui fu ritrovato a Roma il cadavere di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse. Un fatto di tale gravità ovviamente oscurò in parte l'omicidio del giovane comunista siciliano, cui i maggiori quotidiani italiani dedicarono brevi trafiletti. La sua morte per anni fu attribuita al suicidio, solo ultimamente si è riconosciuto mandante dell'assassinio, il boss mafioso Tano Badalamenti (morto in carcere lo scorso inverno) e il fatto è tornato di attualità.

Con il suo film Marco Tullio Giordana ha offerto un notevole e meraviglioso contributo affettivo al sacrifcio del giovane Impastato, raccontando con sensibilità la scelta coraggiosa di un ragazzo (vissuto in anni ideologicamente impegnativi) di lottare apertamente contro la mafia. Il tema della mafia è trattato da Giordana in modo originale e unico rispetto alla filmografia classica di questo genere.

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